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Magistratura Indipendente

TRIBUTARIO  

Gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario: gli orientamenti della Suprema Corte

  Tributario 
 lunedì, 4 luglio 2016

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di FRANCESCA PICARDI

 
 

Abstract: L’articolo si propone di offrire una ricognizione sintetica, ma esaustiva degli orientamenti della Suprema Corte relativi all’individuazione degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, soffermandosi in particolare sulla recente decisione delle Sezioni Unite, 2 ottobre 2015, n. 1970, concernente l’impugnabilità del ruolo e della cartella di pagamento non notificati, di cui il contribuente sia venuto a conoscenza grazie all’estratto di ruolo, ottenuto, su sua richiesta, da concessionario.
Sommario: 1. L’interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. 2. L’impugnabilità del ruolo non notificato. 3.Conclusioni. 4. Bibliografia.
1. L’interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte, l'elencazione degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1993, n. 546, ha natura tassativa, ma non preclude l’impugnazione degli altri atti con cui l'Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, attesa la possibilità di un'interpretazione estensiva in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448.
Si è, però, costantemente affermato che l'impugnazione, da parte del contribuente, di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma espressivo di una pretesa tributaria ormai definita, è una facoltà e non un onere, costituendo un'estensione della tutela, sicché la sua omissione non determina la cristallizzazione dell’obbligazione tributaria, né preclude la successiva impugnazione di un altro atto che manifesti la medesima pretesa tributaria, sia esso riconducibile all’elencazione tassativa di cui allo stesso art. 19 (Cass., 11 febbraio 2015, n. 2616 ma già Cass., 25 febbraio 2009, n. 4513 e Cass., 08 ottobre 2007, n. 21045) o un atto diverso, ma idoneo a manifestare la richiesta impositiva (Cass., 19 agosto 2015, n. 16952). Risulta, dunque, indispensabile distinguere tra gli atti direttamente inclusi nell’elencazione di cui all’art. 19 del d.lgs. 1992, n. 546 e quelli che vi sono solo parificati, atteso che per i primi l’omessa tempestiva impugnativa si risolve in una decadenza non più superabile (cfr., da ultimo, Cass., 11 novembre 2015, n. 23061, secondo cui, in tema d'imposta di registro, l'invito al pagamento di cui all'art. 212 del d.P.R. n. 115 del 2002 è l'unico atto liquidatorio, previsto dalla legge, dell'imposta prenotata a debito, con cui viene comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, sicché, a prescindere dalla denominazione, va qualificato come avviso di accertamento o di liquidazione, la cui impugnazione non è facoltativa, ma necessaria ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, pena la cristallizzazione dell'obbligazione, che non può più essere contestata nel successivo giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento).
In particolare, in base all’interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, si è ammessa l’impugnabilità dei seguenti atti:
• la comunicazione di irregolarità, ex art. 36 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, n. 600 del 1973, relativa all'indebita deduzione di somme versate a titolo di mantenimento del coniuge (Cass., 28 novembre 2014, n. 25297);
• il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass., 5 ottobre 2012, n. 17010; Cass. 15 aprile 2011, n. 8663; invece, come evidenzia Cass., 13 aprile 2012, n. 5843 non è impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie il provvedimento dichiarativo dell'improcedibilità dell'istanza di disapplicazione di norma antielusiva, poiché esso è atto di natura interlocutoria, che non respinge nel merito la stessa, ma ne rileva l'insuscettibilità di ogni plausibile valutazione, e non è, quindi, assimilabile al provvedimento di rigetto o agli altri atti di cui all'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che sono atti amministrativi definitivi con rilevanza esterna);
•  il rigetto di un'istanza di sgravio delle somme iscritte a ruolo (Cass., 22 luglio 2011, n. 16100);
•  gli avvisi bonari con cui l’Amministrazione finanziaria chiede il pagamento di un tributo (Cass., 18 maggio 2011, n. 10987, che, tuttavia, ha precisato che non ne è possibile l’annullamento per l’assenza dei requisiti prescritti dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, in particolare per l’omessa indicazione delle forme e dei termini per proporre ricorso alla commissione tributaria competente);
• la comunicazione di revoca della sospensione della riscossione, precedentemente concessa in attesa di verificare il diritto allo sgravio, trattandosi di provvedimento riconducibile, nella sostanza, ad un diniego di sgravio, idoneo ad esplicitare la volontà negativa dell'Ufficio rispetto all'istanza del contribuente (Cass., 12 gennaio 2010, n. 285);
•  il preavviso di fermo amministrativo ex art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Cass., S.U. 11 maggio 2009, n. 10672);
• la visura per consultazione di partita catastale, attraverso la quale una società aveva appreso l'entità della rendita catastale di un immobile acquistato da un fallimento (Cass., 18 novembre 2008, n. 27385).
In conclusione, pur restando il processo tributario un giudizio di tipo impugnatorio, in cui non sono ammesse azioni di mero accertamento, l’accesso del contribuente alla tutela giurisdizionale è stato facilitato ed anticipato grazie ad un’interpretazione estensiva dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, la cui elencazione tassativa non viene più riferita ai singoli provvedimenti nominativamente individuati, ma al “genus” a cui appartengono, individuato in relazione agli effetti giuridici prodotti.
2. L’impugnabilità del ruolo non notificato. In tale contesto va collocata la recente decisione delle Sezioni Unite, 2 ottobre 2015, n. 19704, secondo cui, pur non essendo impugnabile l’estratto di ruolo, mero atto riepilogativo del concessionario, in quanto non vi è alcun concreto interesse giuridico al suo annullamento, privo di conseguenze rispetto all’atto impositivo dell’ente impositore, consistente nel ruolo, sono immediatamente impugnabili la cartella e/o il ruolo, di cui il contribuente, in difetto di una valida notifica, sia venuto a conoscenza tramite l’estratto rilasciato, su sua richiesta, dal concessionario, dovendosi escludere che l’impugnazione dell’atto precedente non notificato unitamente a quello successivo notificato, prevista dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, sia l’unica possibilità di tutela.
In proposito occorre precisare che il ruolo - che, come si evince dagli artt. 10, 11, 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, è l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute per imposte, sanzioni ed interessi, formato dall’ufficio impositore per ciascuno degli ambiti territoriali in cui operano i concessionari alla riscossione, a cui deve essere consegnato - è espressamente ricompreso tra gli atti impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Tale previsione si giustifica pienamente, trattandosi di un atto amministrativo impositivo dell’ente creditore, che costituisce presupposto indefettibile di ogni attività di riscossione del concessionario ed a cui è espressamente attribuito il valore di titolo esecutivo.
L’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 specifica che la notifica della cartella di pagamento vale anche come notifica del ruolo, che può, dunque, essere impugnato davanti al giudice tributario entro sessanta giorni a decorrere da tale momento.
Le Sezioni Unite, sulla base di tale premessa, hanno sottolineato che, secondo i principi generali, il contribuente può impugnare il ruolo, in considerazione del suo interesse, non solo contemporaneamente ed unitamente alla cartella, ma anche da solo. Ad ogni modo, il suo annullamento travolgerà la cartella, in quanto atto da esso dipendente.
E’ stato, pertanto, definitivamente superato quell’orientamento secondo cui i ruoli sono atti interni dell'amministrazione, i cui vizi solo eccezionalmente ed in base a norme specifiche si riverberano sul rapporto tributario individuale e si rendono impugnabili (in questo senso si erano espresse Cass., 5 gennaio 2005, n. 4301; Cass., 5 settembre 2004, n. 139; Cass., 23 luglio 2004, n. 13848).
Il documento denominato estratto di ruolo non è, invece, espressamente previsto da alcuna disposizione normativa e consiste in un mero elaborato informatico formato dal concessionario, riassuntivo degli elementi della cartella e di quelli del ruolo che vi sono trasfusi. Non ha, quindi, valore impositivo, per cui non è impugnabile, atteso, peraltro, che il contribuente non riporterebbe alcuna utilità ove fosse eliminato il solo documento rappresentativo, senza alcun intervento sul contenuto in esso rappresentato.
Le Sezioni Unite hanno, pertanto, confermato l’orientamento secondo cui l'estratto di ruolo è atto interno all'Amministrazione e non può essere oggetto di autonoma impugnazione, non sussistendo interesse concreto e attuale ex art. 100 c.p.c. ad instaurare una lite tributaria, che non ammette azioni di accertamento negativo del tributo (così già Cass., 15 marzo 2013, n. 6610).
Le Sezioni Unite, dopo essersi soffermate sulla distinzione tra il ruolo (atto impositivo impugnabile) ed il suo estratto (mero documento rappresentativo non impugnabile), hanno, però, affermato che sia il ruolo sia la cartella di pagamento possono essere impugnati anche se il contribuente ne sia venuto a conoscenza non in virtù di una valida notifica ma dell’estratto del ruolo rilasciatogli, su sua richiesta, dal concessionario. Si è così escluso che l’atto tributario, in quanto recettizio, diventi impugnabile solo a seguito della sua notifica, che integra una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo del provvedimento. Più precisamente, ad avviso della Suprema Corte, l’omissione o l’invalidità della notifica non possono precludere l’impugnazione dell’atto, essendo la recettizietà strumentale alla tutela del contribuente, che deve risultarne aumentata e non menomata. Tale inadempimento dell’Amministrazione finanziaria impedirà, piuttosto la decorrenza e, quindi, la scadenza del termine d’impugnazione, di cui la notifica costituisce l’unico rilevante “dies a quo”. Difatti, l’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, nello stabilire che la mancata notificazione di un atto autonomamente impugnabile, adottato precedentemente a quello notificato, ne consente l'impugnazione unitamente a quest'ultimo, non intende limitare, ma piuttosto estendere la tutela, sicché l’impugnazione al momento della notifica dell’atto successivo deve essere considerata una delle possibili e non l’esclusiva forma di accesso alla giustizia tributaria. Del resto, solo tale interpretazione, che assicura un immediato accesso alla tutela giurisdizionale, riducendo il rischio di azioni esecutive infondate, appare costituzionalmente corretta, atteso che, da un lato, consente di superare un’ingiustificata disparità tra le parti del rapporto tributario e, dall’altro, contribuisce al buon andamento della pubblica amministrazione.
3. Conclusioni. L’odierna decisione delle Sezioni Unite costituisce un naturale sviluppo degli orientamenti assunti relativamente all’individuazione degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario. Difatti, risulterebbe incoerente subordinare l’ammissibilità del ricorso alla conclusione del procedimento notificatorio di uno degli atti tipici impugnabili dopo aver riconosciuto al contribuente la facoltà di ricorrere al giudice tributario anche prima della loro adozione, in occasione di un qualsiasi atto che porti a sua conoscenza una ben individuata pretesa tributaria, atteso il suo interesse ex art. 100 c.p.c. a chiarire la sua posizione già al momento di tale notizia. Sempre in conformità con gli orientamenti consolidati, tale estensione ed anticipazione della tutela non può, però, pregiudicare in alcun modo il contribuente, per il quale l’impugnazione anticipata resta una facoltà e non un onere, iniziando a decorrere il termine perentorio, dalla cui scadenza deriva la decadenza dal relativo potere, solo dalla notifica. Può seriamente dubitarsi, invece, della possibilità di applicare i principi affermati dalle Sezioni unite con la presente decisione agli atti atipici ricondotti nell’ambito applicativo dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, rispetto ai quali, in considerazione del loro tendenziale carattere informale e non autoritativo, la mancata conclusione di un valido procedimento di notificazione può indurre ad escludere la formazione di un’effettiva e stabile volontà dell’Amministrazione finanziaria circa il rapporto tributario in esame.
4. Bibliografia. Per un approfondimento degli argomenti trattati si rinvia a G. Chiarizia, Gli atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari sulla base degli ultimi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in Boll. Trib. d’informazione, 2011, 1269; A.Poddighe, Gli atti impugnabili dinnanzi alle Commissioni tributarie: rassegna di giurisprudenza di legittimità e dottrina, in Riv. dir. trib. 2012, 655; F. Tundo, Impugnabile il diniego di disapplicazione delle norme antieslusive? in Corr. trib. 2011, 1701.

 
 
 
 
 
 

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