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Magistratura Indipendente

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

IL PRIMO PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE UNIFICATA

  Giudiziario 
 sabato, 8 giugno 2024

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MARIANO D’AMELIO E I LUNGHI ANNI DELLA SUA PRESIDENZA

di
Alessandro CENTONZE, consigliere della Corte di cassazione
Gianluigi PRATOLA, sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione

 
 

sommario:
1. Premessa: la figura di Mariano D’Amelio come espressione epigonale della cultura giuridica tardo-liberale italiana.
2. Il percorso professionale svolto da Mariano D’Amelio prima della sua nomina a Primo Presidente della Corte di cassazione.
3. La nomina di Mariano D’Amelio a Primo Presidente della Corte di cassazione e il contributo fornito all’omogeneizzazione della cultura giurisdizionale italiana nel solco della tradizione giuridica tardo-liberale.
4. Il lascito della Prima Presidenza di Mariano D’Amelio a cento anni dall’unificazione della Corte di cassazione: la funzione nomofilattica e la dialettica processuale tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità.

 

1. Premessa: la figura di Mariano D’Amelio come espressione epigonale della cultura giuridica tardo-liberale italiana

Ci siamo chiesti diverse volte, dopo la celebrazione del convegno sul centenario della Corte di cassazione unificata, svoltosi a Roma il 28 novembre 2023[1], alla presenza delle più alte cariche dello Stato, se fosse opportuno scrivere un intervento sul ruolo di Primo Presidente svolto da Mariano D’Amelio negli anni immediatamente successivi all’unificazione, avvenuta, com’è noto, nel 1923, in conseguenza dell’emanazione del r.d. 24 marzo 1923, n. 601.

Ce lo siamo chiesti, innanzitutto, perché questa figura così importante per il panorama giudiziario della prima metà del ventesimo secolo è sempre rimasta sullo sfondo del dibattito scientifico; e tale è rimasta anche nel corso del convegno sul centenario della Corte di cassazione unificata che si è richiamato, quasi che una sorta di damnatio memoriae la avvolgesse, più o meno, misteriosamente.

Ce lo siamo chiesti, inoltre, perché un’operazione di questo genere si presentava oggettivamente impegnativa, atteso che Mariano D’Amelio negli anni in cui fu Primo Presidente della Corte di cassazione, nel lungo arco temporale compreso tra il 1923 e il 1941, rappresentò tanti aspetti della magistratura italiana, spesso difficilmente decifrabili e non facilmente riscontrabili in altre figure del panorama giuridico italiano dell’epoca, che si innestano nella tradizione culturale tardo-liberale del nostro Paese, pur ricca di grandi Maestri del diritto[2].

La sovrapposizione cronologica della sua Prima Presidenza con il ventennio fascista, tra l’altro, rende ancora più problematica ogni analisi dell’apporto fornito da Mariano D’Amelio all’omogeneizzazione della cultura giurisdizionale del nostro Paese, facendoci, quantomeno in parte, comprendere le ragioni del lungo silenzio scientifico su questa imponente figura, che è sostanzialmente sconosciuta alle giovani leve della magistratura italiana.

Una tale disamina, in ogni caso, in assenza di opportune quanto doverose cautele metodologiche, corre il rischio di sconfinare nel territorio della ricostruzione storica più che dell’analisi giurisdizionale – inserendosi in un ambito estraneo ai nostri obiettivi – e la riprova di quanto si sta affermando ci proviene dal numero di interventi, relativamente limitato, su D’Amelio, che testimonia la difficoltà di confrontarsi, soprattutto dall’interno della giurisdizione italiana, con questa figura[3].

Abbiamo, però, deciso di confrontarci con questa impegnativa sfida, scegliendo, per quanto possibile, di utilizzare toni neutrali e asettici, evitando ogni valutazione sui profili non strettamente giurisdizionali o comunque istituzionali della lunga Prima Presidenza di Mariano D’Amelio, che altri osservatori, soprattutto di formazione storica[4], hanno fatto prima e meglio di noi, riguardando aspetti della sua figura estranei all’oggetto di questo lavoro.

E l’occasione per confrontarci con la figura – imponente e ingombrante –di Mariano D’Amelio ce l’ha finalmente fornita Il diritto vivente, che ringraziamo sin d’ora.

 

2. Il percorso professionale svolto da Mariano D’Amelio prima della sua nomina a Primo Presidente della Corte di cassazione

Mariano D’Amelio nacque a Napoli il 4 novembre 1871 da Camillo D’Amelio e da Luisa Manganelli in una famiglia dell’alta borghesia napoletana di estrazione cattolica, variamente presente nel mondo giurisdizionale italiano[5].

Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita nella sua città natale, Mariano D’Amelio entrò giovanissimo in magistratura, come uditore giudiziario, nel 1893.

Negli anni immediatamente successivi al suo ingresso in magistratura, tra il 1895 e il 1898, Mariano D’Amelio fu nominato assessore nel Regio Commissariato dei demani comunali in Sicilia; mentre, tra il 1899 e il 1905, fu magistrato in Eritrea, all’epoca colonia italiana.

Durante la sua permanenza in Eritrea, D’Amelio fu giudice e presidente del tribunale di Massaua, occupandosi, in tale veste, dell’istituzione del Tribunale di appello di Asmara, del quale, dopo la sua costituzione, fu anche il primo presidente. L’alto magistrato napoletano fu anche Presidente della Commissione per i codici eritrei, nel cui contesto ebbe rapporti di collaborazione diretta con l’allora governatore della colonia italiana Ferdinando Martini.

Dopo essere rientrato in Italia, nel 1905, D’Amelio prese servizio presso la Corte di appello di Milano, entrando, fin da subito, in contatto con i più grandi giuristi milanesi dell’epoca, come Cesare Vivante, Francesco Carnelutti, Alfredo Rocco e Angelo Sraffa, che dirigeva la “Rivista di diritto commerciale”, con cui Mariano D’Amelio cominciò a collaborare. Risale a questo periodo anche il suo matrimonio con Maria Goldman, che era imparentata con Irma Tivoli, la moglie di Angelo Sraffa[6], con il quale rimase sempre legato, sia sul piano umano sia sul piano scientifico sia sul piano intellettuale.

Immediatamente dopo il suo ritorno in Italia, a partire dal 1906, Mariano D’Amelio assunse importanti ruoli nel Ministero della Giustizia, ricoprendo, tra l’altro, l’incarico di Capo di gabinetto del Ministro, ricoperto tra il 1906 e il 1911; l’incarico di Direttore generale del Ministero delle Colonie, ricoperto tra il 1911 e il 1912; l’incarico di Direttore dell’Ufficio legislativo presso la Presidenza del Consiglio, ricoperto tra il 1916 e il 1918; l’incarico di rappresentante italiano alla Conferenza di Berna, ricoperto tra il 1917 e il 1918; l’incarico di Segretario generale della Commissione per il dopoguerra, ricoperto nel 1919; l’incarico di Delegato alla Conferenza di pace di Parigi, ricoperto tra il 1919 e il 1920.

Trascorso questo lungo periodo di importanti incarichi ministeriali, Mariano D’Amelio iniziò la sua scalata ai vertici della giurisdizione italiana, ricoprendo, nell’arco di appena un triennio, l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello di Parma, tra il 6 maggio e il 29 luglio 1920; l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, tra il 16 gennaio e il 6 febbraio 1921; l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello dell’Aquila, tra il 12 agosto e il 24 agosto 1921; l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro, tra il 12 marzo e il 26 marzo 1922; l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello di Parma, tra il 26 marzo e il 17 aprile 1922; l’incarico di Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliari, tra il 17 aprile e l’11 maggio 1922; l’incarico di Primo Presidente della Corte di appello di Casale Monferrato, tra l’11 maggio 1922 e il 4 febbraio 1923.

Meritano, infine, di essere segnalati, a completamento di questa ricognizione del percorso professionale svolto da Mariano D’Amelio precedente la sua nomina a Primo Presidente della Corte di cassazione unificata alcuni scritti scientifici, che ci forniscono dei chiarimenti utili sul pensiero giuridico dell’alto magistrato napoletano, prevalentemente orientato verso tematiche di diritto commerciale e di diritto coloniale, alcune delle quali verranno riprese nel corso degli anni.

Tra questi scritti giuridici si ritiene opportuno citare: I piccoli commercianti nella legislazione commerciale eritrea, pubblicato nel 1910[7]L’ordinamento giuridico della colonia Eritrea, pubblicato nel 1911[8]Il Disegno di legge sulla circolazione degli automobili e la responsabilità civile e penale, pubblicato nel 1911[9]; L’azienda commerciale nella successione ereditaria, pubblicato nel 1913[10].

 

3. La nomina di Mariano D’Amelio a Primo Presidente della Corte di cassazione e il contributo fornito all’omogeneizzazione della cultura giurisdizionale italiana nel solco della tradizione giuridica tardo-liberale

La svolta definitiva per la carriera giurisdizionale di Mariano D’Amelio si ebbe con il r.d. 24 marzo 1923, n. 601, con cui veniva disposta la soppressione delle Corti di cassazione regionali, costituite a Palermo, Napoli, Roma, Firenze e Torino, alla quale faceva contestualmente seguito l’istituzione della Corte suprema di cassazione unica del Regno, ubicata a Roma, composta da una sezione civile e una sezione penale, a capo della quale venne posto l’alto magistrato napoletano, all’epoca cinquantaduenne, contro il quale concorrevano numerosi, autorevoli, esponenti della magistratura italiana.

Sulle ragioni che portarono all’unificazione della Corte di cassazione non ci soffermeremo ulteriormente, essendosi, su di esse, diffusamente soffermati tutti gli illustri partecipanti all’incontro di studi svoltosi lo scorso 28 novembre 2023[11].

Non può, tuttavia, non rilevarsi che l’unificazione rispondeva all’esigenza – istituzionale prima ancora che giuridica – di eliminare i problematici residui del regionalismo giudiziario legati alle legislazioni italiane preunitarie, che la pluralità delle corti tendeva a perpetuare nei distinti orientamenti interpretativi; esigenza, questa, alla cui meritoria soddisfazione la Prima Presidenza di Mariano D’Amelio fornì un contributo decisivo[12].

Deve precisarsi ulteriormente che questo al raggiungimento di questo obiettivo istituzionale, che ci consegna la figura che stiamo esaminando, sia pure problematicamente, come un esponente di spicco del pensiero giuridico della prima metà del Novecento italiano[13], Mariano D’Amelio contribuì partecipando al processo di elaborazione legislativa compiutosi, nella prima metà del secolo scorso, con l’emanazione di alcuni dei più importanti codici post-unitari[14].

A ben vedere, in questa complessa veste, istituzionale e scientifica, Mariano D’Amelio fu un continuatore della tradizione giuridica tardo-liberale nostrana, che rappresentò, nel passaggio storico dall’Italia liberale post-unitaria a quella fascista, concretizzatosi nella prima metà del secolo scorso, unitamente ad altre grandi figure del mondo giudiziario e accademico italiano, come, ad esempio, Vittorio Scialoja[15], Santi Romano[16], Arturo Rocco[17], Antonio Azara[18] e Gaetano Azzariti[19], che frequentemente – a torto o a ragione – vengono accomunati tra loro[20]. In questo peculiare contesto, Antonio Azara e Gaetano Azzariti sono una rappresentazione veramente assolutamente di quanto si sta affermando, essendo transitati, quali magistrati, dalla crisi cultura tardo-giuridica liberale all’avvento dell’epoca fascista, per giungere, infine, nell’Italia repubblicana, a ricoprire i vertici della giurisdizione italiana, arrivando, Azara, ad assumere la carica di Primo Presidente della Corte di cassazione, Azzariti, la carica di Presidente della Corte costituzionale.

Meriterebbe, invero, di essere inserito in tale contesto tardo-liberale italiano anche Lodovico Mortara, che è stato l’ultimo Presidente della Corte di cassazione di Roma, prima dell’unificazione del 1923, la cui figura, estremamente complessa, non può essere sintetizzata in poche parole, come il bellissimo saggio di Carmelo Sgroi di qualche anno addietro ci ha rappresentato vividamente[21]. Lodovico Mortara, del resto, fu la principale vittima del processo di unificazione della Corte di cassazione; il che rende difficile accomunare i giuristi sopra richiamati – che comunque non subirono alcun ostracismo né furono epurati dal regime fascista – allo stesso Mortara, pur facendo parte dello stesso contesto tardo-liberale al quale ci si sta riferendo[22].  

In questa cornice culturale, riteniamo opportuno segnalare anche il contributo di omogeneizzazione della cultura giurisdizionale italiana fornito da Mariano D’Amelio, nella sua duplice veste di parlamentare[23] e di vertice della magistratura italiana, alla conclusione dei Patti lateranensi del 1929, alla cui attuazione fornì un apporto importante, garantendo, quale Primo Presidente della Corte di cassazione, che a tali accordi, sul piano giurisprudenziale, fosse data integrale attuazione.

Il contributo fornito da Mariano D’Amelio all’omogeneizzazione della cultura giurisdizionale italiana, che trae origine dall’unificazione post-unitaria della legislazione italiana, è ulteriormente testimoniato dai suoi numerosi interventi, quale vertice della magistratura italiana e quale studioso di diritto commerciale, nelle materie, oggetto dei suoi risalenti interessi, dell’applicazione uniforme dei principi di diritto commerciale internazionale; del diritto dei trasporti; del diritto delle assicurazioni private; del diritto internazionale marittimo.

Il ruolo di Mariano D’Amelio nell’opera di omogeneizzazione della cultura giurisdizionale italiana della prima metà del secolo scorso, ancora, emerge dal suo contributo all’opera di riforma dei codici post-unitari avviata con le leggi-delega del 1923 e del 1925, portata a definitivo compimento nel 1942.

In questo contesto riformatore, Mariano D’Amelio ebbe un ruolo determinante nella sua qualità di presidente della Commissione reale per la riforma dei codici, insediatasi nel 1924 e articolata in quattro sottocommissioni. La prima di tali sottocommissioni inizialmente venne presieduta da Vittorio Scialoja, al quale subentrò Mariano D’Amelio, occupandosi della riforma del Codice civile, la cui emanazione costituisce uno dei principali meriti riformatori dell’alto magistrato partenopeo.

Il suo fondamentale contributo a questa radicale opera riformatrice, del resto, è documentato dai verbali della Commissione reale per la riforma dei codici, che consente di apprezzare lo sforzo con cui D’Amelio si impegnò nel portare a compimento tale profonda rivisitazione del panorama normativo italiano post-unitario.

Nella stessa direzione, occorre richiamare le leggi alla cui approvazione Mariano D’Amelio, a vario titolo, contribuì durante la sua lunga Prima Presidenza, come quella sulla formazione dei contratti per corrispondenza; quella sulla responsabilità degli albergatori per la perdita o il danneggiamento dei bagagli dei clienti; quella sulle assicurazioni obbligatorie degli automobilisti; quella sull’arbitrato nei rapporti internazionali di diritto privato.

Non possiamo, infine, non richiamare l’apporto prestato da Mariano D’Amelio all’omogeneizzazione della cultura giuridica del nostro Paese quale direttore del Nuovo Digesto italiano[24], che è un’opera fondamentale per l’Italia post-unitaria, che muove da radici lontane, richiamate nello stesso nome attribuito a questa compilazione collettanea, che si ispira latu sensu alle Pandette giustinianee[25].

Questa iniziativa scientifica venne avviata nel 1932 e si sviluppò grazie alla collaborazione di decine di giuristi, coordinati da Mariano D’Amelio con la collaborazione di Antonio Azara[26], che, in pochi anni, elaborarono oltre 10.000 voci, dando vita a una moderna enciclopedia delle scienze giuridiche, arricchita da una corposa bibliografia. La rilevanza di quest’impresa scientifica appare ancora più evidente se si considera che il Nuovo Digesto Italiano venne completato in appena pochi anni dal varo dell’iniziativa; il che colloca D’Amelio tra i principali elaboratori del diritto positivo dell’epoca pre-repubblicana, alla cui realizzazione contribuì sia come Primo Presidente della Corte di cassazione sia come studioso di fama.

Deve, infine, precisarsi che, a distanza di due anni dal suo pensionamento, il 19 novembre 1943, Mariano D’Amelio morì a Roma.

 

4. Il lascito della Prima Presidenza di Mariano D’Amelio a cento anni dall’unificazione della Corte di cassazione: la funzione nomofilattica e la dialettica processuale tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità

Dopo avere inquadrato la figura di Mariano D’Amelio e averla inserita nel contesto della cultura giuridica tardo-liberale del secolo scorso, della quale anche anagraficamente fu espressione epigonale, ci resta da affrontare un’ultima questione, relativa al lascito della sua Prima Presidenza a cento anni dall’unificazione della Corte di cassazione.

Tale operazione, per le ragioni esposte nel paragrafo di apertura[27], non è agevole, ma abbiamo deciso di affrontarla, concentrandoci su quella che riteniamo l’innovazione più significativa della lunga Prima Presidenza di Mariano D’Amelio, rappresentata dell’implementazione della funzione nomofilattica della Corte di cassazione quale organo di vertice della giurisdizione italiana[28].

Per compiere questa operazione occorre muovere dalla previsione dell’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario, approvato con il r.d. 12 gennaio 1941, n. 12, varato nella parte finale della Prima Presidenza di Mariano D’Amelio, che andò in pensione il 3 novembre 1941, che disciplina le attribuzioni della Corte suprema di cassazione, la più importante delle quali era – e tuttora è – quella di assicurare la corretta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, garantendo l’unità del diritto nazionale su un piano oggettivo.

L’importanza della funzione nomofilattica, nella prospettiva ermeneutica sostenuta da Mariano D’Amelio, è rappresentata dal fatto che dall’interpretazione uniforme delle norme da parte della Corte di cassazione – che corrisponde all’interpretazione convenzionalmente esatta delle stesse – non si può prescindere tutte le volte in cui il contenuto di una disposizione, nel suo significato oggettivo, costituisce il presupposto per il corretto esercizio dell’attività giurisdizionale.

In questa cornice, l’interpretazione della legge fornita dalla Corte di cassazione finisce per costituire una sorta di oggettivazione del significato convenzionale della norma, che, sul piano ermeneutico, è una conseguenza diretta dell’art. 65 Ord. giud., che attribuisce alla giurisdizione di legittimità il compito di valutare l’esatto significato delle disposizioni applicate dai giudici di merito, cassandole laddove oggetto di applicazioni inesatte.

La funzione nomofilattica, quindi, rappresenta l’esigenza di stabilizzare il contesto sociale ed economico del Paese, alla quale D’Amelio mirò sempre come obiettivo prioritario della sua Prima Presidenza, soddisfacendo, al contempo, l’obiettivo di garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge attraverso l’interpretazione – che deve essere connotata da “esattezza” – fornita dalla Corte di cassazione. L’esigenza di stabilizzazione del contesto socio-economico appare di grande attualità, come efficacemente osservato da Camilla Di Iasi in tempi recenti, soprattutto «nelle democrazie complesse che si muovono in circuiti globalizzati nel cui ambito la “crisi della legge” investe non solo il disordine nella produzione delle regole ma anche l’eventuale estemporaneità delle relative interpretazioni, compromettendo la fiducia nella giustizia e le stesse fondamenta delle istituzioni democratiche»[29].

Tutto questo rende evidente che l’art. 65 Ord. giud., della cui adozione Mariano D’Amelio si mostrò sempre convinto sostenitore, pur essendo introdotto in un preciso contesto politico, di matrice autoritaria, esprime una visione del giudizio di legittimità come un’occasione di confronto interpretativo e, in linea con il pensiero espresso anche da Piero Calamandrei nei suoi scritti giuridici[30], come il luogo individuato dall’ordinamento giuridico per la risoluzione delle questioni di diritto affrontate dai giudici di merito nelle singole vicende processuali, che la Corte di cassazione deve però definire in termini generali, assicurando la tendenziale uniformità dell’applicazione giurisprudenziale.

La funzione nomofilattica svolta dalla Corte di cassazione, pertanto, non rappresenta l’espressione di una visione unilaterale e autoritaria di conformazione del diritto, ma esprime l’esigenza di garantire la coerenza del sistema, come evidenziato dallo stesso Mariano D’Amelio, quando affermò: «Mantenere l’uniformità dell’interpretazione della legge non è compito facile alla Corte di cassazione, specie quando essa, a causa del gran numero di ricorsi, sia costituita in più sezioni civili e penali e sia obbligata a un lavoro eccessivo e sollecito. Ecco perché tutte le corti di cassazioni devono registrare oscillazioni di giurisprudenza, che contraddicono al precipuo loro scopo. Non già che la giurisprudenza di legittimità debba irrigidirsi in una serie di massime da riprodursi quasi meccanicamente ogni volta che si presenti alla Corte la stessa legge da interpretare. Anzi il pericolo della cristalizzazione della giurisprudenza fu opposto per gran tempo ai progetti per l’unificazione delle cassazioni. La giurisprudenza, come ogni organismo vivente, è soggetta a evolversi, e ogni progresso della giurisprudenza, che si trasformi sotto l’influsso della critica giuridica, della dottrina scientifica o delle esigenze sociali è da accogliere con vivo compiacimento […]»[31].        

Secondo Mariano D’Amelio, l’effettività del vincolo costituito dalla giurisprudenza di legittimità resta affidata alle regole processuali che sovrintendono al funzionamento della Corte di cassazione, prevedendo l’ordinamento giuridico diverse possibili reazioni all’inosservanza di orientamenti giurisprudenziali consolidati da parte dei giudici di merito, la principale delle quali è rappresentata dalla possibilità che la decisione impugnata, laddove ritenuta non rispettosa di una determinata opzione ermeneutica, sia annullata per violazione o per erronea applicazione della legge[32].

Il corretto esercizio della funzione nomofilattica, dunque, secondo Mariano D’Amelio, consente di realizzare un equilibrio adeguato, seppur di difficile attuazione, tra le esigenze di uniformità della legge e quelle di evoluzione del sistema, assicurando una dialettica processuale regolamentata normativamente tra la giurisdizione di legittimità e quella di merito; dialettica che passa attraverso la motivazione dei provvedimenti, che assicura il controllo sull’esatta applicazione della norma al caso di specie, impedendo che l’operato del giudice possa essere – o anche solo sembrare – imprevedibile o non calcolabile[33].

Ancora una volta, appare utile richiamare le parole di Mariano D’Amelio, che, in proposito, quasi profeticamente, affermò: «Quelle che […] debbono ad ogni costo evitarsi sono le difformità prodottesi incoscientemente, cioè senza che il collegio sappia che vi sia stata altra decisione di altra sezione o della stessa in senso contrario e senza che abbia lungamente meditato su di essa prima di ripudiarla […]»[34].

La visione dialettica della funzione nomofilattica, pertanto, si dispiega attraverso un confronto rigoroso sulla motivazione dei provvedimenti di merito, sui quali la Corte di cassazione esercita i suoi poteri, indispensabili per assicurare l’omogenea interpretazione della legge, che deve essere garantita sia sul piano della ricostruzione fattuale della vicenda processuale sia sul piano delle norme applicate al caso di specie. Il controllo nomofilattico esercitato dalla Corte di cassazione, allora, diventa indispensabile per assicurare che l’applicazione delle norme si fondi su un confronto dialettico tra giudici di merito e giudici di legittimità, incentrato sulla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali sottoposti a impugnazione[35].

L’idea di una funzione nomofilattica come espressione del rapporto dialettico tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, dunque, è uno dei lasciti culturali di maggiore rilievo di Mariano D’Amelio, che muove dalla consapevolezza della natura, necessariamente bilaterale, del rapporto processuale che si instaura tra la sentenza di merito – oggetto d’impugnazione – e la decisione della Corte di cassazione.

Tali considerazioni, di stringente attualità, ci fanno comprendere che la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, secondo Mariano D’Amelio, non è espressione di un dominio verticistico della giurisdizione di legittimità, che, al contrario, possiede una centralità interpretativa, eminentemente funzionalistica, finalizzata ad assicurare l’omogenea applicazione della legge, garantendo l’uniformità delle decisioni di merito e l’omogeneo trattamento dei cittadini sottoposti a processo. Né potrebbe essere diversamente, atteso che è attraverso il giudizio di merito che la vicenda processuale viene esaminata dalla Corte di cassazione, che deve verificare la rispondenza delle argomentazioni giuridiche del giudice di merito alla giurisprudenza di legittimità consolidata, confermando la natura dialettica del rapporto esistente tra la giurisdizione di legittimità e quella di merito[36].



[1] Ci si riferisce, in particolare, all’incontro di studi “I cento anni della Corte di cassazione unica”, organizzato dalla Struttura della Formazione decentrata della Corte di cassazione, della quale gli scriventi, all’epoca del seminario, facevano parte, a Roma, il 28 novembre 2023.

[2] Sulla tradizione giuridica tardo-liberale italiana, che si innesta sulla crisi dello Stato liberale post-unitario, che, a sua volta, apre le porte all’avvento del ventennio fascismo, ci si permette di rinviare, senza alcuna di esaustività, ai seguenti studi: : AA.VV., I giuristi e la crisi dello Stato liberale, a cura di P.L. Ballini, IVSLA, Venezia, 2005; AA.VV., I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia tra Ottocento e Novecento, a cura di A. Mazzacane, Liguori, Napoli, 1990; G. Albanese, La crisi dello Stato liberale e le origini del fascismo, in Studi storici, 2004, 2, pp. 601 ss.; M. D’Addio, La crisi dello Stato liberale e l’avvento dello Stato fascista, in Il Politico, 1999, 4, pp. 501 ss.; L. Mangoni, La crisi dello Stato liberale e i giuristi italiani, in Studi storici, 1982, 1, pp. 75 ss.

Sulle figure che, invece, meglio rappresentarono questo particolare fase della storia del diritto italiano, collocabile nella prima metà del secolo scorso, si rinvia al paragrafo 3 e ai riferimenti biografici contenuti nelle note 15-23 di tale paragrafo.

[3] Per ricostruire la figura di Mariano D’Amelio siamo partiti da AA.VV., Studi in onore di Mariano D’Amelio, Società Editrice del Foro Italiano, Roma, 1933, che è un’opera imponente, articolata in tre volumi, pubblicata al culmine della fortuna professionale dell’alto magistrato napoletano, che vede la partecipazione dei più importanti giuristi dell’epoca pre-repubblicana.

Partendo da quest’opera scientifica imponente, abbiamo sviluppato il nostro contributo traendo spunto da alcuni interventi, come detto non numerosi e di tenore prevalentemente biografico, sulla figura di Mariano D’Amelio, tra i quali si ritiene opportuno richiamare quelli di F. Auletta, Mariano D’Amelio, in Il giusto processo, 2009, 4, pp. 1131 ss.; C. Ghisalberti, La codificazione del diritto in Italia 1865-1942, Cacucci, Bari 1985; A.C. Jemolo, Commemorazione del socio Mariano D’Amelio, in Rendiconto dell’Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filosofiche, s. 8, III (1948), 5-6, pp. 255-68; L. Ferreri, Dai ricordi di un vecchio avvocato romano, Editoriale Arte e Storia, Roma, 1942; T. Labia, Mariano D’Amelio. Magistrato, giureconsulto, umanista, Tipografia Vecchi, Trani, 1983.  

[4] Su questi profili storici, ancora una volta senza alcuna pretesa di esaustività, ci si limita a richiamare gli studi di O. Abbamonte, La politica invisibile. Corte di cassazione e magistratura durante il fascismo, Giuffrè, Milano, 2003; A. Acquarone, Fra tradizione ed autorità: la formazione giurisprudenziale del diritto durante il ventennio fascista, Einaudi, Torino, 1966-1968; E. Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista, La Nuova Italia Scientifica, 1995; F. Maroi, Storia d’Italia nel periodo fascista, Einaudi, Torino, 1964; S. Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, 1987; P. Ungari, Alfredo Rocco e l’ideologia giuridica del fascismo, Morcelliana, Brescia, 1974.

[5] Occorre, in proposito, precisare che la presenza della famiglia D’Amelio nell’ambiente della giurisdizione italiana è testimoniata dal fatto che, oltre a Mariano D’Amelio, anche altri suoi due fratelli raggiunsero altri gradi nella magistratura; uno di questi, in particolare, Salvatore D’Amelio, raggiunse il grado di Presidente della Corte di appello dell’Aquila e fu, per diversi anni, il direttore della “Rivista di diritto pubblico”, che venne diretta da Mariano D’Amelio dopo la morte dello stesso fratello, avvenuta nel 1928.

[6] Angelo Sraffa (1865-1937) fu un docente universitario di commerciale, che insegnò nelle Università di Parma, Torino, Macerata e Milano Bocconi; fondò con Cesare Vivante la “Rivista di diritto commerciale” e fu direttore della sezione "Diritto privato" dell'Enciclopedia italiana "Treccani.

[7] Si veda M. D’Amelio, I piccoli commercianti nella legislazione commerciale eritrea, Cooperativa tipografica Manunzio, Roma, 1910.

[8] Si veda M. D’Amelio, L’ordinamento giuridico della colonia Eritrea, Società editrice libraria, Milano, 1911.

[9] Si veda M. D’Amelio, Il Disegno di legge sulla circolazione degli automobili e la responsabilità civile e penale, in Riv. dir. comm., 1911, 1, pp. 663 ss.

[10] Si veda M. D’Amelio, L’azienda commerciale nella successione ereditaria, in Riv. dir. comm., 1913, 2, pp. 1 ss.

[11] Su queste complesse tematiche ci si permette soltanto di rinviare a N. Picardi, Lodovico Mortara, magistrato, in Giust. civ., 1988, 4, p. 161, in cui, tra l’altro, si osserva: «Fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo la stagione dei “Grandi Tribunali” si avviava ormai al declino. Alla metà del secolo gli ordinamenti preunitari offrivano un quadro quanto mai composito delle magistrature supreme: vi erano Corti di cassazione di derivazione francese a Napoli, a Palermo, a Firenze ed in Piemonte; un Tribunale Supremo di terza istanza con sede a Vienna per il Lombardo Veneto; Tribunali Supremi di tipo misto nello Stato pontificio, a Parma e a Modena […]».

[12] Vedi infra, paragrafo 3.

[13] Vedi supra, paragrafo 1.

[14] Ci piace, allo scopo di chiarire quale fosse l’importanza di Mariano D’Amelio, nella cultura giuridica dell’epoca, richiamare l’episodio – citato da A. Lacchè, Storia della scienza giuridica italiana e storia della magistratura: metodo, problemi, intersezioni, in Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, 2022, 6, p. 35 –, secondo cui Dino Grandi definì la figura dell’alto magistrato partenopeo, in un appunto indirizzato a Benito Mussolini il 10 gennaio 1940, una “specie di dittatore del nostro diritto”.

[15] Santi Romano (1875-1947) fu un docente universitario di diritto costituzionale e ricoprì varie cariche istituzionali, tra cui quelle di Senatore del Regno d’Italia e Presidente del Consiglio di Stato, che ricoprì, ininterrottamente dal 1928 al 1944.

[16] Vittorio Scialoja (1856-1933) fu un docente universitario di diritto romano e ricoprì varie cariche istituzionali, tra cui quelle di Ministro della Giustizia, nel 1909; di Ministro degli Esteri, nel 1919; di Presidente del Consiglio Nazionale Forense dal 1926 al 1933.

[17] Arturo Rocco (1876-1942) fu un docente universitario di diritto penale ed è considerato il padre dell’indirizzo giuridico, fondamentale per l’evoluzione delle scienze criminali contemporanee, affermatosi nella prima metà del secolo scorso, definito dal suo stesso Autore “tecnico-giuridico”.

[18] Antonio Azara (1883-1967) fu stato un magistrato italiano ed è arrivato a ricoprire la carica di Primo Presidente della Corte di cassazione dal 1952 al 1953. Antonio Azara fu anche un uomo politico, partecipando, dopo il suo pensionamento, alla vita politica del secondo dopoguerra italiano, venendo eletto parlamentare nelle fila della Democrazia Cristiana nella II, III e IV Legislatura, e ricoprendo l’incarico di Ministro della Giustizia tra il 1953 e il 1954.

[19] Gaetano Azzariti (1881-1961) fu stato un magistrato e un esponente politico italiano, ricoprendo, tra l’altro la carica di Presidente della Commissione della razza e di Ministro della Giustizia. Dopo il passaggio al regime repubblicano fu giudice e Presidente della Corte costituzionale; carica, quest’ultima, che ricoprì dal 1957 e al 1961.

[20] La linea di continuità tra la crisi della cultura giuridica tardo-liberale italiana e l’avvento del fascismo ci sembra essere colta con particolare efficacia da S. Cassese, Lo Stato fascista, il Mulino, Bologna, 2010, p. 15, secondo cui tale omogeneità istituzionale «fu possibile perché il regime precedente era tutt’altro che liberale: aveva struttura autoritaria temperata da istituti liberali».

[21] Lodovico Mortara (1855-1937) fu un docente universitario di diritto processuale civile e un magistrato; fu, tra l’altro, l’ultimo Presidente della Corte di cassazione di Roma, prima della sua soppressione, avvenuta nel 1923; Lodovico Mortara fu anche Ministro della Giustizia, tra il 1919 e il 1920.

Quanto al saggio richiamato nel testo, ci si riferisce a C. Sgroi, La “missione” del magistrato nella concezione di Lodovico Mortara, in www.giustiziainsieme.it, 27 febbraio 2020; su questi temi, si veda anche F. Cipriani, Le “poche cose” e la lunga vita di Lodovico Mortara. Per la storia del pensiero giuridico moderno, in Quad. Fior., 1990, 19, pp. 85 ss.

[22] Si veda C. Sgroi, La “missione” del magistrato nella concezione di Lodovico Mortara, in www.giustiziainsieme.it, cit.

[23] Mariano D’Amelio fu nominato Senatore del Regno d’Italia l’1 gennaio 1924 e svolse le funzione di Vicepresidente di tale organismo parlamentare nel corso della XXVIII Legislatura.

[24] Si veda AA.VV., Nuovo Digesto Italiano, diretto da Mariano D’Amelio (con la collaborazione di Antonio Azara), Utet, Torino, 1937-1940.

[25] Com’è noto, i Digesta o Pandectae sono una compilazione di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell’imperatore Giustiniano I, promulgata il 16 dicembre 533 ed entrata in vigore il 30 dicembre dello stesso anno, costituita da una raccolta di materiale normativo e giurisprudenziale. Tale compilazione, a sua volta, componeva il Corpus iuris civilis, unitamente alle Institutiones, al Codex e a una quarta parte, le Novellae Constitutiones, aggiunta successivamente.

[26] Vedi supra, nota n. 18.

[27] Vedi supra, paragrafo 1.

[28] Per una prima ricognizione sui poteri nomofilattici della Corte di cassazione, innanzitutto, si rinvia a M. Taruffo, Note sparse sul precedente giudiziale, in Riv. dir. proc. civ., 2018, 1, pp. 126 e 127, che, tra l’altro, osserva: «Si può […] osservare che nomofilachia non significa affatto identità di decisione di tutti i casi simili, e può invece essere definita come garanzia della legalità della decisione nei singoli casi concreti, dovendosi ammettere, se si adotta una prospettiva «particolaristica, che la stessa norma venga validamente interpretata in modi diversi se viene applicata a fattispecie diverse […]». In una prospettiva interpretativa analoga, sia pure maggiormente ancorata alle norme costituzionali, si vedano A. Pizzorusso, Corte di cassazione (voce), in Enciclopedia giuridica Treccani, Treccani, Roma, 1988, IX, pp. 9 ss.; A. Proto Pisani, Principio d’uguaglianza e ricorso per cassazione, in Foro it., 2010, V, 65.

[29] Si veda C. Di Iasi, La fata ignorante (a proposito di Ufficio del massimario e funzione di nomofilachia), in Quest. giust., 2017, 3, pp. 84 ss.

[30] Tra i tanti interventi sull’argomento, si rinvia a P. Calamandrei, Per il funzionamento della Cassazione unica, in Riv. dir. pubbl., 1934, pp. 317 ss.; Id., Cassazione civile (voce), in Nuovo Dig. It., UTET, Torino, 1937, II, pp. 981 ss.; Id., Studi sul processo civile, CEDAM, Padova, 1930.  

[31] Si veda M. D’Amelio, La Corte di cassazione (voce), in Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma, 1933, XI, p. 538.

[32] Riteniamo opportuno sottolineare che l’impegno di Mariano D’Amelio nel senso di potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione si evince perfino dal suo necrologio, pronunciato dall’allora Primo Presidente Antonio Azara – riportato in G. De Nova, L’astrattezza delle massime e le origini dell’Ufficio del Massimario, in Contr. e impr., 1988, p. 518, in cui, tra l’altro, si affermava: «Non deve, tuttavia, ritenersi che il D’Amelio fosse un feticista della uniformità della giurisprudenza ad ogni costo [...]. Ciò sarebbe stato un errore, perché la giurisprudenza deve essere dinamica, non statica, o meglio, deve essere evolutiva [...]; i mutamenti di essa devono essere frutto di ben maturate deliberazioni, determinate da nuove norme giuridiche o da gravi motivi [...]. Il D’Amelio voleva che fosse evitato il mutamento, a dir così, d’impeto, determinato cioè da motivi meramente propri di un caso specifico» e senza confrontarsi con quelli che oggi definiremmo i precedenti in termini, suscettibili di costituire “sicuri dati di orientamento” per l’operatore».

[33] Su queste tematiche, che già si rinvengono nelle posizioni espresse da Mariano D’Amelio, si rinvia a N. Irti, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, pp. 11 ss.; Id., La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, pp. 36 ss.; si muove in una direzione analoga anche G. Canzio, Nomofilachia e diritto giurisprudenziale, in Dir. pubbl., 2017, 1, pp. 21 ss.; Id., Nomofilachia, valore del precedente e struttura della motivazione, in Foro it., 2012, V, 305.

[34] Si veda M. D’Amelio, La Corte di cassazione, cit., p. 538.

[35] Il tema della natura dialettica del rapporto tra giurisdizione di merito e giurisdizione di legittimità, tra gli altri, è stato affrontato da M. Taruffo, La Corte di cassazione tra legittimità e merito, in Foro It., 1988, V, pp. 237 ss.; Id., Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile, il Mulino, Bologna, 1991.  

[36] Si veda M. D’Amelio, La Corte di cassazione, cit., pp. 538-539.

 

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IL PRIMO PRESIDENTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE UNIFICATA: MARIANO D’AMELIO E I LUNGHI ANNI DELLA SUA PRESIDENZA.pdf | 171 Kb

 

 
 
 
 
 
 

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