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Magistratura Indipendente

PENALE  

Il processo in absentia

  Penale 
 domenica, 3 gennaio 2021

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La tutela processuale dell’imputato assente nel processo di cognizione e nel processo di esecuzione

di Alessandro CENTONZE, Consigliere della Corte di cassazione

 
 

Il processo in absentia e la tutela processuale dell’imputato assente nel processo di cognizione e nel processo di esecuzione*                             

Sommario: 1. L’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67: i fondamenti costituzionali e convenzionali della disciplina del processo in absentia. – 2. Il processo in absentia, il superamento del processo contumaciale e le condizioni necessarie alla dichiarazione di assenza dell’imputato. – 3. Il processo in absentia: uno sguardo d’insieme alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi a seguito dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67. – 4. Le conseguenze dell’inosservanza della disciplina del processo in absentia e i rimedi processuali riconosciuti all’imputato assente nel processo di cognizione. – 5. La disciplina transitoria introdotta dall’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118. – 6. La tutela dell’imputato dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna: il rimedio processuale previsto dall’art. 629-bis c.p.p.
 

1. L’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67: i fondamenti costituzionali e convenzionali della disciplina del processo in absentia

Occorre premettere che, su un piano generale, la legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», che ha introdotto il procedimento in absentia, è un tentativo di temperamento dei principi dell’ordinamento giuridico italiano in materia di contumacia con quelli di derivazione anglosassone, tendenti a garantire la presenza dell’imputato nel processo[1].

La comunità giuridica internazionale, infatti, prima dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67, aveva frequentemente censurato l’Italia per le modalità di svolgimento del processo contumaciale, ritenendo inconcepibile che potesse celebrarsi un processo penale in assenza del suo protagonista fisiologico, che è naturalmente l’imputato[2].

Da questa esigenza, divenuta improcrastinabile, deriva la necessità che la garanzia riconosciuta all’imputato di essere presente nel processo penale non sia esclusivamente formale e che da essa non si facciano discendere ex se conseguenze negative a carico dell’imputato sul piano processuale. Tutto questo, naturalmente, fatte salve le ipotesi in cui il complesso di garanzie riconosciuto all’imputato non sfoci in un’ipotesi di “abuso del processo”, così come ricostruita dalle Sezioni unite, secondo cui: «L’abuso del processo consiste in un vizio, per sviamento, della funzione, ovvero in una frode alla funzione, e si realizza allorché un diritto o una facoltà processuali sono esercitati per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce all’imputato, il quale non può in tale caso invocare la tutela di interessi che non sono stati lesi e che non erano in realtà effettivamente perseguiti»[3].

La riforma legislativa introdotta con la legge 28 aprile 2014, n. 67, pertanto, ruota attorno alla necessità di garantire la conoscenza effettiva del processo penale o quantomeno del procedimento instaurato nei confronti dell’imputato, che, a sua volta, si correla con il dovere di tale soggetto – acquisita la notizia della pendenza che lo riguarda – di interessarsi agli sviluppi della vicenda giurisdizionale nella quale è personalmente coinvolto.

Questa, dunque, è la ratio che emerge chiaramente dalla nuova disciplina normativa, che trae il suo fondamento costituzionale dalla previsione dell’art. 111, comma terzo, Cost., a tenore del quale «la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo». Tale disposizione, a sua volta, deve essere correlata con la previsione contenuta nel quarto comma della stessa disposizione, che prevede: «Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore».

Il riconoscimento dei diritti di difesa previsti dagli artt. 111, commi terzo e quarto, Cost. si correla ulteriormente alla previsione dell’art. 6, par. 3, CEDU, che, pur, non prevedendo espressamente il diritto dell’imputato, di essere presente al processo che lo riguarda, gli riconosce una serie di prerogative processuali irrinunciabili, tra cui quelle di «(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza».

Queste disposizioni, infine, si pongono in sintonia con la previsione normativa dell’art. 14, comma 3, lett. d), del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo dalla Repubblica Italiana con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, recante «Ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966». Da tale testo convenzionale, a ben vedere, traggono ulteriore alimento convenzionale le esigenze di tutela della posizione processuale dell’imputato assente, così come prefigurate dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, che si inseriscono sullo stratificato tessuto normativo che si è descritto.

 

2. Il processo in absentia, il superamento del processo contumaciale e le condizioni necessarie alla dichiarazione di assenza dell’imputato.

Inquadrato il contesto sistematico nel quale si inserisce il processo in absentia, occorre anzitutto evidenziare che l’effetto più evidente della riforma introdotta dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 è rappresentato dal superamento della figura processuale della contumacia, che ha il suo fondamento normativo nella modifica dell’art. 419 c.p.p.

L’istituto della contumacia, invero, per il presupposto giuridico su cui era basato, costituito da una presunzione di conoscenza del processo penale da parte dell’imputato svincolata dalle emergenze procedimentali, a partire dal decennio precedente, era incorso nelle reiterate censure della Corte EDU, che aveva lo stigmatizzato per la violazione dell’art. 6 CEDU. Si riteneva, in particolare, che tale meccanismo presuntivo operasse in senso ingiustamente sfavorevole all’imputato, non consentendo di verificare, in concreto, se tale soggetto fosse o meno a conoscenza del procedimento penale instaurato nei suoi confronti[4].

L’introduzione del processo in absentia, al contempo, non ha determinato alcuna modifica della disciplina delle notifiche degli atti processuali e delle condizioni prescritte per la dichiarazione di irreperibilità dell’indagato e dell’imputato, che rimangono disciplinate dagli artt. 157, 159 e 160 c.p.p., al contrario di quanto, talora, pur impropriamente, viene sostenuto, anche se, all’evidenza, i due ambiti applicativi normativi debbano ritenersi, tra loro, necessariamente connessi.

Con la legge 28 aprile 2014, n. 67, pertanto, il legislatore italiano ha mirato all’armonizzazione del sistema processuale con i principi affermati dalla Corte EDU in riferimento alla previsione dell’art. 6 CEDU, abrogando la contumacia e introducendo l’istituto dell’assenza dell’imputato, così come prefigurato dall’art. 420-bis, commi 1 e 2, c.p.p.

Appare, quindi, necessario muovere dalla disamina dell’art. 420-bis, comma 1, c.p.p., che stabilisce: «Se l’imputato, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza». Tale disposizione, a sua volta, deve essere integrata con quella contenuta nel secondo comma dello stesso art. 420-bis, a tenore del quale: «Salvo quanto previsto dall’art. 420-ter, il giudice procede altresì in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».

Infine, dopo che l’imputato è stato dichiarato assente dal giudice che procede nei suoi confronti, nel rispetto delle modalità rituali previste dall’art. 420-bis, commi 1 e 2, c.p.p., deve ritenersi legittimamente rappresentato in giudizio dal suo difensore, di fiducia o d’ufficio.

L’imputato, invece, è considerato presente, venendo rappresentato dal suo difensore, di fiducia o d’ufficio, laddove, dopo essere comparso in giudizio, si allontana ovvero, se presente a un’udienza, non compare a quelle successive, come previsto dall’art. 420-bis, comma 3, c.p.p.

Infine, laddove non vi è la prova della conoscenza del processo penale da parte dell’imputato, il giudice ne ordina la sospensione ex art. 420-quater c.p.p. e, successivamente, dispone nuove ricerche ex art. 420-quinquies c.p.p.

L’effetto principale di questa riforma normativa, attinente alla costituzione delle parti processuali, è stato quello di rendere superflua la norma che prevedeva la notifica dell’estratto contumaciale di cui all’art. 548, commi 2 e 3, c.p.p., che deve ritenersi abrogata a seguito dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67. Tale disposizione, infatti, traeva il suo fondamento sistematico dall’operatività del processo contumaciale e dalla correlata figura processuale dell’imputato contumace, che essendo stata superata dalla disciplina del processo in absentia non ha più ragione di esistere, occorrendo adesso la prova della conoscenza del processo da parte del soggetto accusato o comunque l’elevata probabilità che lo stesso abbia preso cognizione del procedimento, desumibile per facta concludentia[5].

 

3. Il processo in absentia: uno sguardo d’insieme alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi a seguito dell’entrata in vigore della legge 28 aprile 2014, n. 67.

In questa, rinnovata, cornice sistematica, il primo problema che si pone è quello di stabilire in presenza di quali fatti possa presumersi che l’imputato sia a conoscenza del processo come previsto dall’art. 420-bis, comma 2, c.p.p. e che, conseguentemente, possa procedersi in sua assenza.

Alla risoluzione di questo problema, indispensabile per l’inquadramento sistematico del processo in absentia, si può dare risposta attraverso una breve panoramica della giurisprudenza di questa Corte.

In questa cornice, occorre anzitutto verificare se prima dell’accertamento della regolare costituzione delle parti processuali, effettuata ex art. 420-bis c.p.p., sia possibile ritenere che l’imputato, tenuto conto delle emergenze processuali cui si deve ancorare la declaratoria giurisdizionale di assenza, abbia avuto conoscenza del procedimento penale che lo riguarda, consentendo che si possa procedere pur non essendo presente in giudizio.

A tale quesito, occorre fornire risposta positiva, in linea con la previsione normativa dell’art. 420-bis, comma 2, c.p.p., richiamando il seguente principio di diritto: «In tema di processo di primo grado “in absentia”, l’elezione di domicilio da parte dell’imputato solo se effettuata prima dell’accertamento della regolare costituzione delle parti consente di presumere la conoscenza del processo e di conseguenza di addebitare all’imputato l’onere di tenersi informato sul prosieguo»[6].

Né potrebbe essere diversamente, atteso che, secondo il meccanismo processuale previsto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, recepito nell’art. 420-bis, comma 2, c.p.p., la dichiarazione e l’elezione di domicilio, che comportano la conoscenza della pendenza del procedimento penale da parte dell’imputato, devono necessariamente intervenire prima dell’accertamento della regolare costituzione delle parti, atteso che, solo laddove questi atti processuali intervengano prima di tale momento, potrà addebitarsi all’imputato l’inadempimento dell’onere di tenersi informato sulla vicenda processuale che lo riguarda e la mancata conoscenza degli atti successivi.

Viceversa queste conclusioni non possono trarsi per le ipotesi in cui l’elezione di domicilio o la dichiarazione di domicilio intervengano dopo la vocatio in iudicium dell’imputato, atteso che, in questo caso, non risulta provato che tale soggetto avesse conoscenza del processo in un momento anteriore al suo inizio e che sia stato posto in condizione di parteciparvi sin dal suo principio. Da tali atti processuali, del resto, non è nemmeno possibile evincere che l’imputato sia a conoscenza della pendenza del giudizio di primo grado, atteso che nel verbale di elezione e in quello di dichiarazione di domicilio nemmeno si afferma che l’imputato è sottoposto a processo, ma soltanto che si stanno svolgendo indagini preliminari nei suoi confronti.

In questa cornice, occorre distinguere ulteriormente le ipotesi in cui l’elezione di domicilio riguardi un difensore di fiducia da quelle in cui l’elezione di domicilio riguardi un difensore d’ufficio, atteso che, in questo secondo caso, è necessario un maggiore rigore nella verifica della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, in linea con quanto, da ultimo, ribadito dalle Sezioni unite, secondo cui: «Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa»[7].

Tale pronuncia, a sua volta, si innesta su un filone ermeneutico inaugurato con l’arresto giurisprudenziale, sostanzialmente coevo alla decisione delle Sezioni unite richiamata, consacrato dal seguente principio di diritto: «In tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dalla elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria»[8].

Non pongono, infine, problemi interpretativi di sorta le ipotesi residue, previste dall’art. 420-bis, comma 2, c.p.p., che riguardano i casi in cui l’imputato «sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».

In stretta connessione a tale questione ermeneutica si pone il problema, che appare assolutamente speculare, relativo alla possibilità che, dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti, effettuata ex art. 420-bis c.p.p., il diritto a essere presente nel processo penale possa costituire oggetto di un’eventuale rinuncia da parte dell’imputato.

A tale quesito occorre fornire risposta positiva, richiamando il seguente principio di diritto: «La formale rinuncia dell’imputato a presenziare al dibattimento può essere revocata soltanto con una manifestazione di volontà che, sia pure esplicitata attraverso un comportamento concludente, abbia l’obiettivo significato di neutralizzare il precedente consenso espresso alla celebrazione del processo “in absentia”»[9].

Tali conclusioni, a loro volta, traggono il loro fondamento dalla giurisprudenza di legittimità, avallata dalle Sezioni unite[10], secondo cui è necessario che l’imputato neutralizzi, con un comportamento concludente e inequivocabile, la sua rinuncia formale a presenziare al dibattimento, rendendo privo di effetti processuali il suo precedente consenso alla celebrazione del processo in absentia.

Ne deriva che soltanto laddove tale condizione processuale venga effettivamente realizzata e sia concretamente accertata dal giudice del dibattimento, la rinuncia dell’imputato a presenziare al processo potrà dirsi efficace, sull’assunto della sua consapevolezza e della sua volontarietà. Nell’arresto giurisprudenziale citato, in particolare, le Sezioni unite aveva affermato il seguente, sostanzialmente insperato, principio di diritto: «La comparizione dell’imputato all’udienza per rendere l’esame, successivamente alla sua formale rinuncia a presenziare al dibattimento, non costituisce manifestazione di volontà idonea a neutralizzare (in difetto di comportamenti univocamente concludenti) gli effetti derivanti dal suo precedente consenso alla celebrazione del processo “in absentia”»[11].

 

4. Le conseguenze dell’inosservanza della disciplina del processo in absentia e i rimedi processuali riconosciuti all’imputato assente nel processo di cognizione.

Dopo avere inquadrato il contesto sistematico nel quale si inserisce il processo in absentia, occorre affrontare un ulteriore problema, rappresentato dalle conseguenze processuali dell’inosservanza della sequenza procedimentale prefigurata dall’art. 420-bis c.p.p.

Deve, innanzitutto, rilevarsi che l’inosservanza della sequenza procedimentale disciplinata dall’art. 420-bis c.p.p. comporta la nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado, della sentenza pronunciata in violazione delle norme sul processo in absentia, come da ultimo affermato da questa Corte, secondo cui: «La celebrazione del processo, non ricorrendo le condizioni di cui all’art. 420-bis, commi 1 e 2, c.p.p. e senza che il giudice abbia disposto la sospensione ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p., determina, in virtù dell’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., la nullità della sentenza equiparabile, quanto al regime di rilevabilità, ad una nullità assoluta, con conseguente obbligo da parte del giudice di appello di restituzione degli atti al giudice di primo grado»[12].

Tale arresto ermeneutico rimanda alla disposizione normativa dell’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., che, a sua volta, richiama espressamente gli artt. 420-ter e 420-quater c.p.p., prevedendo: «Nei casi in cui si sia proceduto in assenza dell’imputato, se vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’articolo 420-ter o dell’articolo 420-quater, il giudice di appello dichiara la nullità̀ della sentenza e dispone il rinvio degli atti al giudice di primo grado. Il giudice di appello annulla altresì la sentenza e dispone la restituzione degli atti al giudice di primo grado qualora l’imputato provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado. Si applica l’articolo 489, comma 2».

La disposizione dell’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., dunque, prefigura due ipotesi distinte di nullità assoluta e insanabile, prevedendo, per entrambi i casi, che il giudice di appello deve disporre l’annullamento della sentenza pronunciata in violazione della disciplina del processo in absentia e restituire gli atti processuali al giudice di primo grado, facendo conseguentemente retroagire il procedimento. Si applica, inoltre, secondo quanto espressamente previsto dalla seconda parte dell’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., l’art. 489, comma 2, c.p.p., per cui, se l’imputato prova che l’assenza nel corso dell’udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall’art. 420-bis, comma 4, c.p.p., viene rimesso nel termine per formulare le richieste di cui agli artt. 438 e 444 c.p.p.

Tali conclusioni, secondo la Corte di cassazione, discenderebbero, oltre che dalla ratio che sorregge la legge 28 aprile 2014, n. 67, dai principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 9 dicembre 2009, n. 317, con cui veniva dichiarata l’illegittimità dell'art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte «in cui non consentiva la restituzione nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale all’imputato, che non avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, quando analoga impugnazione fosse stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato»[13].

La Corte costituzionale, infatti, basandosi sui principi elaborati dalla Corte EDU, con particolare riferimento alla disposizione dell’art. 6 CEDU, nella citata pronuncia, affermava che: «a) l’imputato ha il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico; b) lo stesso può rinunciare volontariamente all’esercizio di tale diritto; c) l’imputato deve essere consapevole dell’esistenza di un processo nei suoi confronti; d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso»[14].

Non potrebbe, del resto, ipotizzarsi una soluzione ermeneutica differente, atteso che ritenere che l’emissione dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato, nell’ipotesi in cui il processo debba essere sospeso ai sensi dell’art. 420-quater, comma 2, c.p.p., integra una nullità generale a regime intermedio destinata a rimanere sanata laddove non eccepita dal difensore di ufficio – come nel caso in cui l’imputato non è comparso e la nomina di un difensore d’ufficio rientra tra le ipotesi previste dall’art. 420-bis c.p.p. –, immediatamente dopo l’emissione dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato, significa consentire la celebrazione del processo penale in mancanza del “protagonista fisiologico” del procedimento, pur in difetto di una consapevole e volontaria rinuncia di quest’ultimo, con la conseguente lesione del diritto dell’accusato a un processo equo, consacrato dall’art. 111, commi terzo e quarto, Cost. e dall’art. 6, par. 3, CEDU, cui ci si è già riferiti[15].

La mancata tempestiva proposizione dell’eccezione di nullità da parte del difensore di ufficio non può certo ritenersi espressione della volontà dell’imputato, sia perché il difensore d’ufficio, in quanto tale, non trae i suoi poteri da una procura conferitagli dall’accusato, con il quale potrebbe non avere instaurato alcun rapporto professionale, sia perché l’illegittimità dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato impedisce che quest’ultimo possa ritenersi rappresentato dal suo difensore, ai sensi dell’art. 420-bis, comma 3, c.p.p.

Un’interpretazione che sia rispettosa dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU in materia di giusto processo, pertanto, impone di equiparare la nullità della sentenza di primo grado, conseguente al mancato rispetto delle regole che governano il processo in absentia – che prescrivono la sospensione del processo penale, laddove non ricorrano le condizioni per l’adozione dell’ordinanza che dispone procedersi in assenza dell’imputato – alla seconda ipotesi prevista dall’art. 604, comma 5-bis, c.p.p., che ricorre nei casi in cui l’accusato dimostri che la sua assenza è dovuta a un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado[16].

 

5. La disciplina transitoria introdotta dall’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118.

In questa cornice, si ritiene opportuno richiamare un ulteriore profilo interpretativo, riguardante la disciplina transitoria introdotta dall’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118, con cui veniva integrata la legge 28 aprile 2014, n. 67. La risoluzione di tale questione impone di verificare, caso per caso, se deve essere applicata la disciplina generale prevista dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 ovvero la disciplina transitoria introdotta dalla legge 11 agosto 2014, n. 118, da cui discende l’applicazione delle regole sul processo in absentia ovvero di quelle sul processo contumaciale.

Si consideri, in proposito, che l’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118, nel suo primo comma, stabilisce: «Le disposizioni di cui al presente capo si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado». Tale disposizione, a sua volta, deve essere integrata dalla previsione contenuta nel secondo comma, secondo cui: «In deroga a quanto previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge quando l’imputato è stato dichiarato contumace e non è stato emesso il decreto di irreperibilità».

La verifica giurisdizionale prescritta l’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118 deve essere compiuta alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: «In tema di sospensione del processo per assenza dell’imputato, le disposizioni introdotte dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, non si applicano – ai sensi della normativa transitoria di cui all’art. 15-bis della stessa legge, introdotta dalla legge 11 agosto 2014, n. 118 – ai processi in corso nei quali, alla data di entrata in vigore della legge n. 67, è stata emessa la sentenza di primo grado, né a quelli ancora pendenti in primo grado in cui, nei confronti dell’imputato dichiarato contumace, non è stato emesso il decreto di irreperibilità»[17].

Secondo quanto affermato nella stessa pronuncia di legittimità, queste conclusioni si impongono alla luce dei preparatori della legge 11 agosto 2014, n. 118, da cui si evince «da un lato, che la nuova ed organica disciplina, che ha interamente sostituito il precedente rito contumaciale, è volta a tutelare da possibili pregiudizi l’imputato non presentatosi al processo in conseguenza di situazioni d’irreperibilità, dalla quale fosse conseguita la mancata conoscenza di esso, e non già quello consapevolmente assente; e, dall’altro, che anche l’esigenza appena menzionata è stata considerata recessiva, a fronte del rischio che si determinassero incertezze applicative, connesse al regime delle impugnazioni avverso le sentenze emesse in passato nel corso di processi (di primo grado) celebrati e conclusi in regime di contumacia»[18].

Occorre, infine, precisare che l’art. 15-bis della legge 11 agosto 2014, n. 118 ha superato il vaglio di legittimità costituzionale, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale 24 aprile 2019, n. 102, con cui venivano respinte le censure di costituzionalità proposte con riferimento agli artt. 24, 97 e 111 Cost.[19]

 

6. La tutela dell’imputato dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna: il rimedio processuale previsto dall’art. 629-bis c.p.p.

Un’ultima questione riguarda la tutela dell’imputato dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti, per garantire la quale è necessario attivare gli strumenti propri del processo di esecuzione.

La questione ermeneutica che, in questo caso, si pone riguarda l’individuazione delle condizioni necessarie per ritenere effettivamente conosciuto dall’imputato il procedimento conclusosi con la sentenza della cui esecutività si controverte, che, a sua volta, postula la verifica delle condizioni richieste per l’attivazione dell’istituto della rescissione del giudicato, così come disciplinato dall’art. 629-bis c.p.p.

Dispone, in particolare, l’art. 629-bis, comma 1, c.p.p.: «Il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo, può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo».

Tale disposizione, a sua volta, deve essere integrata con la previsione del secondo comma dello stesso art. 629-bis c.p.p., a tenore del quale: «La richiesta è presentata alla corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento, a pena di inammissibilità, personalmente dall’interessato o da un difensore munito di procura speciale autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3, entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento».

La disciplina dell’istituto rescissorio, infine, si integra con gli ultimi due commi dell’art. 629-bis c.p.p. Dispone, in particolare, il terzo comma della norma in esame: «La corte di appello provvede ai sensi dell’articolo 127 e, se accoglie la richiesta, revoca la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Si applica l’articolo 489, comma 2»; l’art. 629-bis c.p.p., infine, si chiude con la previsione contenuta nel suo quarto comma, che stabilisce: «Si applicano gli articoli 635 e 640».

Tale disciplina, naturalmente, deve essere correlata alle regole che presiedono al funzionamento del processo in absentia, così come prefigurato dagli artt. 420-bis, 420-ter e 420-quater c.p.p., con la conseguenza che l’attivazione di questo strumento postula la verifica preliminare della posizione processuale dell’imputato, che deve essere effettuata alla luce del rapporto con il difensore che lo assiste in giudizio e tenuto conto delle emergenze procedimentali del caso concreto.

Né potrebbe essere diversamente, dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo cui per la dichiarazione di assenza non può essere considerato, di per sé solo, presupposto idoneo l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, dovendosi individuare quale momento tendenziale al quale ancorare la presunzione di conoscenza del processo quello della vocatio in iudicium dell’imputato e non potendo, al contempo, il giudice prescindere dalla verifica della presenza di altri elementi, da cui desumere che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza la sua conoscenza del procedimento o la sottrazione volontaria dallo stesso[20].

Si muove, del resto, nella stessa direzione ermeneutica, che postula una verifica concreta del comportamento processuale assunto dall’imputato nel procedimento penale di volta in volta considerato, l’arresto giurisprudenziale secondo cui: «In tema di rescissione del giudicato, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium”, sicché non può desumersi dalla mera dichiarazione o elezione di domicilio operata nella fase delle indagini preliminari, quando ad essa non sia seguita la notifica dell’atto introduttivo del giudizio in detto luogo, ancorché a mano di soggetto diverso dal destinatario, ma comunque legittimato a ricevere l’atto»[21].

Nella stessa direzione, infine, occorre richiamare l’arresto delle Sezioni unite, intervenuto in tema di attivazione del rimedio processuale di cui all’art. 175, comma 2, c.p.p., nel testo previgente alle modifiche apportate dalla legge 28 aprila 2014, n. 67, secondo cui: «Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, c.p.p., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, l’effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di “vocatio in iudicium” sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell’accusa contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l’imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza»[22].



* Questo intervento riproduce, con alcune integrazioni funzionali a migliorare la comprensione del testo, la relazione svolta l’1 dicembre 2020, quale coordinatore del Gruppo di lavoro dedicato a “Il processo in absentia e la tutela dell’imputato”, costituito nell’ambito del Corso organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, con formazione da remoto, intitolato “Il punto sulle impugnazioni penali”, svoltosi dal 30 novembre 2020 al 2 dicembre 2020.

[1] Per un primo sguardo d’insieme sulle questioni ermeneutiche di maggiore rilievo, relative all’introduzione del procedimento in absentia nell’ordinamento giuridico italiano, si ritiene opportuno rinviare, senza alcuna pretesa di esaustività, agli interventi di R. Casiraghi, La rescissione del giudicato: molte questioni interpretative sul tappeto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 1, pp. 207 ss.;  A. Diddi, Novità in materia di impugnazioni e di restitutio in integrum, in Aa.Vv., Il giudizio in assenza dell’imputato, a cura di D. Vigoni, 2014, 1, pp. 215 ss.; D. Potetti, I casi tipici di giudizio in assenza dell’imputato, in Cass. pen., 2015, 6, pp. 2484 ss.; P. Tonini - C. Conti, Il tramonto della contumacia, l’alba radiosa della sospensione e le nubi dell’assenza “consapevole”, in Dir. pen. proc., 2014, pp. 514 ss.

[2] Sul punto, si rinvia a P. Tonini - C. Conti, Il tramonto della contumacia, l’alba radiosa della sospensione e le nubi dell’assenza “consapevole”, cit., pp. 514 ss.

[3] Si veda Cass. pen., Sez. un., 29 settembre 2011, Rossi, n. 155, in Cass. C.E.D., n. 251496-01; su questa fondamentale pronuncia e sull’elaborazione della nozione di “abuso del processo” che ne è scaturita, si vedano ulteriormente i commenti dottrinari di F. Caprioli, Abuso del diritto di difesa e nullità inoffensive, in Cass. pen., 2012, 7-8, pp. 2410 ss.; M. De Bellis, Giudice e abuso d’ufficio: la nuova strada dello sviamento di potere, in Riv. pen., 2012, 4, pp. 418 ss.; M.C. Marzo, Le nullità tra vivacità difensiva e abuso del processo, in Giur. it., 2010, 10, pp. 2141 ss.

[4] Si vedano Corte EDU, Baratta contro Italia, 13 ottobre 2015, n. 28263/2009; Corte EDU, Kizilyaprak, contro Turchia, 4 marzo 2008, n. 9844/2002; Corte EDU, Pititto contro Italia, 12 luglio 2007, n. 19321/2003; Corte EDU, Kollcaku contro Italia, 8 febbraio 2007, n. 25701/2003; Corte EDU, Sejdovic contro Italia, 10 novembre 2004, n. 56581/2000.

[5] Si veda D. Potetti, I casi tipici di giudizio in assenza dell’imputato, cit., pp. 2484 ss.

[6] Si veda Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 2020, Kabena, n. 11313, in Cass. C.E.D., n. 278924-01.

[7] Si veda Cass. pen., Sez. un., 28 novembre 2019, Ismail, n. 23948, in Cass. C.E.D., n. 279420-01; su questa fondamentale pronuncia e sull’elaborazione sistematica che ne è derivata si veda ulteriormente il commento dottrinario di F. Lazzeri, La sentenza delle Sezioni unite sui rapporti tra dichiarazione di assenza ed elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio. Abuso del diritto di difesa e nullità inoffensive, in www.sistemapenale.it, 7 settembre 2020.

[8] Si veda Cass. pen., Sez. II, 24 gennaio 2017, Seli, n. 9441, in Cass. C.E.D., n. 269221-01.

[9] Si veda Cass. pen., Sez. V, 20 giugno 2014, Martinelli, n. 46481, in Cass. C.E.D., n. 261526-01.

[10] Si veda Cass. pen., Sez. un., 17 ottobre 2006, Michaeler, n. 10251, in Cass. C.E.D., n. 235698-01; su questa fondamentale pronuncia e sull’elaborazione sistematica che ne è derivata si veda ulteriormente il commento dottrinario di F. Nuzzo, I limiti oggettivi dell’appello incidentale, in Cass. pen., 2007, 6, pp. 1125 ss.

[11] Si veda Cass. pen., Sez. un., 17 ottobre 2006, Michaeler, n. 10251, cit.

[12] Si veda Cass. pen., Sez. V, 1 luglio 2019 Della Torre, n. 37185, Cass. C.E.D., n. 277339-01.

[13] Si veda Cass. pen., Sez. V, 1 luglio 2019 Della Torre, n. 37185, cit.

[14] Si veda Corte cost., 9 settembre 2009, n. 317.

[15] Vedi supra, paragrafo 1.

[16] Si veda Cass. pen., Sez. V, 1 luglio 2019 Della Torre, n. 37185, cit.

[17] Si veda Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 2017, Frezza, n. 8654, in Cass. C.E.D., n. 272411-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., Sez. I, 9 gennaio 2017, Hussein, n. 20810, in Cass. C.E.D., n. 270614; Cass. pen., Sez. VI, 3 giugno 2015, Werasategui, n. 27549, in Cass. C.E.D., n. 264052-01.

[18] Si veda Cass. pen., Sez. I, 21 dicembre 2017, Frezza, n. 8654, cit.

[19] Si veda Corte cost., 24 aprile 2019, n. 102.

[20] Si veda Cass. pen., Sez. un., 28 novembre 2019, Ismail, n. 23948, cit.

[21] Si veda Cass. pen., Sez. VI, 18 giugno 2020, Cappelli, n. 21997, in Cass. C.E.D., n. 279680-01. 

[22] Si veda Cass. pen., Sez. un., 28 febbraio 2019, Innaro, n. 28912, in Cass. C.E.D., n. 275716-01; su questa fondamentale pronuncia e sull’elaborazione ermeneutica che ne è derivata, si veda ulteriormente il commento dottrinario di S. Ciampi, Condizioni legittimanti la celebrazione del processo in absentia: i dubbi sul ruolo da ascriversi all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, in Cass. pen., 2019, 12, pp. 1125 ss.; N. Rombi, Le Sezioni Unite sulla restituzione nel termine del contumace, in Giur. it., 2019, 10, pp. 1125 ss.

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