Gli uffici giudiziari non sono delle monadi: come comunicano con l’esterno Corti e Tribunali?[1]
Scandicci 16 maggio 2024
Qualche settimana fa una tale signora ha scritto una mail all’indirizzo istituzionale del Tribunale di Udine e rivolta al sottoscritto, quale presidente del Tribunale, chiedendo, sulla premessa di avere un interesse concreto, ma del tutto estraneo al Tribunale di Udine, se una determinata questione processuale riguardante il rito famiglia uscito dalla riforma Cartabia (concernente, in particolare, i termini per il deposito delle cd. memorie intermedie) trovasse o meno soluzione in una particolare clausola del Protocollo sottoscritto nel marzo 2023 dal Tribunale, dal COA di Udine e dalle associazioni degli avvocati familiaristi, che la stessa diceva di aver letto sul sito del Tribunale.
Dopo aver riflettuto e essermi confrontato con le colleghe della sezione famiglia, ho risposto alla mail, sempre attraverso la Segreteria, precisando che la questione non era stata oggetto del protocollo, che, quindi, non poteva trovare alcuna soluzione in esso e che, comunque, trattandosi di questione sicuramente controversa, in assenza di un orientamento consolidato presso il Tribunale di Udine, sarebbe stata verosimilmente oggetto di una delle riunioni ex art. 47 quater dell’Ordinamento Giudiziario.
Ora, vi prego di lasciare da parte la considerazione se ho fatto bene o male a rispondere e a rispondere in tal modo (magari, se volete, nel dibattito, mi direte cosa avreste fatto voi), ma vi invito a tenere a mente questo banale fatterello durante il corso di questa mia conversazione perché, mano a mano, troverete in esso gran parte delle virtù e delle criticità, per non dire vizi, del nostro modello di comunicazione.
E, infatti, la mia conversazione oscillerà costantemente tra l’essere e il dover essere, tra ciò che si dovrebbe fare in tema di comunicazione e ciò che si riesce a fare.
In verità, c’è ancora chi sostiene che la magistratura dovrebbe comunicare solo attraverso le sue decisioni; il che, tuttavia, finirebbe per privarla di una voce nel dibattito pubblico. Dall’altro canto, si sottolinea che la collettività ha il diritto di essere correttamente informata sul funzionamento del sistema giudiziario, al fine di esercitare un controllo sull’esercizio della giurisdizione (Grasso), quale contrappeso all’indipendenza della magistratura garantita dalla Carta Costituzionale.
Tuttavia, al di là di questo dibattito astratto, oramai, è condivisa largamente l’opinione che gli uffici giudiziari sono in forte ritardo nell’uso istituzionale della comunicazione.
Molteplici sono i motivi, le ragioni di un tale ritardo.
Si fa menzione di una sorta di ritardo culturale, se si pensa che per decenni l’unica forma di comunicazione nel sistema giustizia è stata la motivazione. E, come accennato, vi è ancora una sparuta minoranza che conserva tale posizione.
Certamente, la ragione principale risiede nella mancanza nell’organico negli uffici giudiziari di figure professionali specializzate in comunicazione, a differenza di quanto accade in altri Paesi Europei, come ad esempio l’Olanda o il Belgio.
Diretta conseguenza del motivo precedente, vi è il motivo consistente nell’impiego per la comunicazione istituzionale di personale amministrativo avente formazione ed esperienza in ambiti del tutto diversi e, come tale, poco avvezzo alle regole e alle insidie della comunicazione. Del resto, si tratta del medesimo modello distorto impiegato avuto riguardo al tema della manutenzione degli edifici e al tema dei contratti/appalti, lasciati, inopinatamente, a decorrere dal 2015, in mano a giudici, cancellieri, funzionari che nulla conoscono di manutenzione e che mai sono stati formati in merito.
Tutto ciò è aggravato da un’età media del personale amministrativo assai elevata.
Altro sicuro motivo di ritardo è rappresentato dalla totale carenza di risorse economiche destinate alla comunicazione. A ben vedere, presso le Corti non vi è alcun capitolo di bilancio avente a oggetto specificatamente e dettagliatamente spese per la comunicazione istituzionale (se si eccettua, forse, i costi relativi all’inaugurazione dell’anno giudiziario, a patto di considerare tale evento una forma di comunicazione tout court).
Il ritardo del servizio giustizia in tema di comunicazione, tuttavia, è stato accompagnato dalla consapevolezza della sempre maggiore importanza degli aspetti comunicativi nella vita degli uffici giudiziari, come precipitato dei principi di trasparenza e di accountability che governano la PA e quindi anche il servizio giustizia.
Di recente, questa sempre maggiore importanza della comunicazione ha trovato espressione, ad esempio, nel grande sforzo compiuto dall’ANM di cercare una nuova forma di contatto con la collettività, attraverso incontri organizzati a livello locale, intitolati “Dialoghi con la giustizia”, al fine di fornire al pubblico una narrazione sulla giustizia diversa da quella propinata spesso dai media e dalla politica.
Ancora, di recente, il Presidente della Repubblica Mattarella, in occasione della nuova intitolazione al prof. Bachelet del palazzo dei Marescialli (sede del CSM), ha posto l’accento forte sulla necessaria «credibilità» e sulla doverosa «trasparenza» della magistratura. E credibilità e trasparenza rimontano certamente alla nozione di una buona comunicazione.
Occorre, a questo punto, presentare una sorta di actio finium regundorum di questa relazione. In altri termini, di cosa tratterò?
Dopo alcune premesse di carattere generale e un accenno alle fonti, tenterò di dare vita a una sorta di catalogo dei mezzi di comunicazione a disposizione degli uffici giudicanti. Il tutto, come detto, in un continuo pendolo tra l’essere e il dover essere.
Tuttavia, non tratterò di tutti i mezzi a disposizione, di tutti i settori di intervento, bensì solamente di quelli che hanno punti di contatto con l’organizzazione dell’ufficio.
Quindi, restano fuori dei confini di questa conversazione:
- la comunicazione attraverso la motivazione dei provvedimenti;
- la comunicazione tipica degli uffici di Procura;
- i rapporti tra magistratura e media, se non sotto il profilo organizzativo;
- la comunicazione e la libertà di espressione del singolo magistrato;
- i comportamenti con valenza comunicativa del singolo magistrato;
- i profili disciplinari e penali della comunicazione.
Vale la pena di muovere da tre semplici domande tratte dall’esperienza della formazione francese: dobbiamo comunicare? come comunicare? quando comunicare?
Anche la delibera del CSM del 2018 (che affronteremo più avanti) risponde a simili domande in tema di comunicazione: chi fa cosa? quando? per effetto di quale impulso?
Come si vedrà dalle fonti, nella maggior parte dei casi le risposte provengono da regole di cd. soft law, da linee guida non vincolanti, ma costruite per fornire ausilio ai magistrati e agli uffici nelle scelte in tema di comunicazione, soprattutto esterna.
------
Come anticipato, credo siano utili alcune premesse generali in tema di rapporto tra giurisdizione e comunicazione esterna.
Credo di poter condividere con voi l’opinione che oggi tutto è comunicazione. E questo vale anche per la giustizia. I provvedimenti, i comportamenti, le risposte, i silenzi, gli ascolti, l’organizzazione sono altrettante forme di comunicazione. Persino le modalità di svolgimento delle udienze, in particolare, gli orari delle udienze finiscono per comunicare all’esterno, per essere un mezzo di comunicazione, uno strumento che descrive come lavora quel determinato ufficio, come si pone di fronte agli utenti. E della rilevanza esterna delle modalità di svolgimento delle udienze si è fatta grande esperienza durante il periodo della pandemia.
Ma, purtroppo, oggi è vero anche il contrario: la comunicazione è tutto. “Viviamo in un mondo dominato dall’imperativo della comunicazione” (Lingiardi), nel quale spesso il modo di comunicare è equiparato, se non addirittura è più rilevante, rispetto al contenuto della comunicazione. In fondo, anche la democrazia di questo torno di tempo è, come ha osservato Emilio Gentile, una democrazia recitativa. Ma non è solamente un problema dell’oggi. La polemica dell’uso della dialettica, delle parole, della comunicazione come mero strumento di consenso, di potere o di corruzione risale all’Atene di Pericle, almeno stando alle parole di Platone messe in bocca a Socrate nel Gorgia. E, peraltro, è lo stesso Socrate che ironizza in modo geniale sul potere delle parole e della comunicazione, quando, nell’Apologia, inizia la propria arringa davanti ai suoi accusatori in Tribunale dicendo: “avete parlato talmente bene che quasi quasi mi avete convinto della mia colpevolezza, ma poi mi sono svegliato”. Insomma, resta purtroppo un’utopia l’immagine di Omero che descrive la dialettica, le parole di Nestore come “fiocchi di neve che scendono dal cielo”.
Anche la giustizia ha a che fare con questo labirinto di problemi. Ci si deve chiedere se è preparata a tanto.
Ma oramai, come abbiamo visto, è consolidata l’idea che la giurisdizione non possa più snobbare la comunicazione, che non possa continuare l’opera di attuazione dei diritti e di soluzione dei conflitti senza preoccuparsi di spiegare agli utenti del sistema giustizia come si accede ad esso, chi è la giurisdizione, cosa fa, che scopi ha, verso che direzione si sta muovendo.
Infatti, il verbo “comunicare” ha nelle sue radici nella locuzione greca “κοινός”, aggettivo che significava comune, appartenente a tutti, quindi pubblico e nel termine latino “communì” che nasce dalla fusione di “cum”, ossia insieme e “munir”, ossia ufficio, dovere, funzione.
La comunicazione in ambito giudiziario, quindi, finisce per essere “bene comune”; di qui, la sempre maggiore rilevanza all’interno degli uffici giudiziari: una rilevanza, però, senza sopravalutazione, senza possibilità di superare o prevaricare i contenuti.
Spero, tuttavia, di poter condividere con voi anche la seguente osservazione: sebbene la giurisdizione nel suo complesso (giudici, p.m., personale amministrativo, uffici giudiziari) non possa esimersi dal comunicare, non si deve perdere di vista la peculiarità, l’originalità nativa, naturale della giurisdizione e dei suoi attori.
I valori di indipendenza e autonomia, assenza di gerarchia vera e propria, il prudente apprezzamento del giudice, il ruolo imparziale dei magistrati, la tutela dei diritti fanno sì che la comunicazione nella giustizia debba avere caratteri in parte diversi da quelli propri della comunicazione in generale.
In altri termini, la giurisdizione mai può essere trascinata nell’agone comunicativo.
Il diritto all’informazione e alla trasparenza deve tener conto delle limitazioni imposte dall’indipendenza della magistratura (v. Raccomandazione del Consiglio UE Rec(2010)12)
La magistratura, al di là degli ovvi profili di segretezza e di privacy, imposti, peraltro, a tutti i soggetti comunicatori, deve trovare il giusto, anche se arduo, equilibrio tra l’esigenza ormai imprescindibile della trasparenza della propria attività ai fini dell’accountability e l’opposta esigenza di non venir condizionata dalla comunicazione e dalle sue regole, dall’informazione e dai mezzi di informazione.
Non mi riferisco qui solo al possibile cedimento al narcisismo comunicativo (che riguarda il più delle volte il singolo magistrato), ma anche e soprattutto alle regole della comunicazione in generale.
E allora, credo che ogni qualvolta ci si appresti a organizzare occasioni, linguaggi e mezzi di comunicazione nell’ambito della giurisdizione occorre fermarsi un attimo e riflettere se ciò che si sta facendo è conforme ai principi di indipendenza e autonomia della magistratura e su quali possono essere le conseguenze della comunicazione, perché spesso la comunicazione è un istante che non si recupera più. Occorre, come suggerito da Gustavo Zagrebelsky, la “cura delle parole” che è esercizio di democrazia, occorre una riflessione analoga a quella del ragionamento giuridico, rifuggendo dal “pensiero corto”, oggi tanto in voga.
Ma la corretta comunicazione finisce per intercettare anche l’etica del giudicare, dell’essere giudice. Sotto tale profilo, va rimarcato come la giurisdizione debba applicare regole proprie e non debba scimmiottare regole di altri settori.
Non dobbiamo avere il timore di ricordare ancora che il servizio giustizia non sforna prodotti, non deve vendere alcunché, non cerca il consenso dell’opinione pubblica, ma solamente la fiducia del pubblico e delle parti: fiducia nella sua imparzialità, nella sua onestà intellettuale, nel suo rigore morale, nella sua competenza e nella sua capacità di giudizio; nessun consenso può surrogare una prova mancante o screditare una prova acquisita (Ferrajoli).
Il più grande errore giudiziario della storia, del resto, l’ha commesso un giudice romano che ha scelto Barabba come chiedeva la folla, ma un giudice libero deve essere capace di condannare quando tutti chiedono l’assoluzione e di assolvere quando tutti chiedono la condanna (Ferrajoli).
Come ha osservato Pizzorusso, l’etica del magistrato esige che esso, attraverso la motivazione dei provvedimenti, operi anche come filtro e al tempo stesso come cassa di risonanza delle elaborazioni dottrinali.
Ecco, anche nella comunicazione esterna la giustizia deve essere filtro per tutelare i più deboli e cassa di risonanza ai fini della trasparenza del proprio operare, ma senza rincorrere il consenso dell’opinione pubblica.
Vari sono i diritti in gioco: libertà di espressione, diritto alla riservatezza, diritto all’informazione, diritto di difesa, diritto al giusto processo, presunzione di innocenza, diritti delle vittime di reato: occorre una visione olistica.
------
Nel panorama europeo, numerosi sono i documenti dedicati al tema dei rapporti tra giustizia, comunicazione e informazione. Si tratta, come detto, di testi di soft law, principalmente focalizzati sulla comunicazione istituzionale e sul dovere di informazione dell’opinione pubblica. A tali profili è possibile affiancare il rapporto tra la libertà di espressione e i doveri d’ufficio (Grasso).
Ecco un elenco delle principali fonti UE.
Le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri:
- sul ruolo del pubblico ministero nel sistema di giustizia penale e al di fuori di esso Rec(2000)19 e Rec(2012)11;
- sulla diffusione delle informazioni attraverso i media in relazione ai procedimenti penali Rec(2003)13;
- sui giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità, Rec(2010)12;
- su una nuova nozione di media, Rec(2011).
I Pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE):
- n. 7(2005) Giustizia e società;
- n. 14(2011) Giustizia e tecnologie dell’informazione (IT);
- n. 25(2022) sulla libertà di espressione dei giudici.
I Pareri del Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE) n. 8 (2013) sui rapporti tra il pubblico ministero e i mezzi di informazione.
Con un taglio pratico, va ricordata pure la Guida alla comunicazione dei tribunali e delle procure con il pubblico e i media della Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (CEPEJ) (2018).
Ancora le Raccomandazioni della Rete europea dei consigli di giustizia (European Network of Councils for the Judiciary, ENCJ) nel Rapporto sulla fiducia del pubblico e l’immagine della giustizia 2017-2018, sulla comunicazione “da e per” la magistratura.
Da ricordare è anche la Magna Carta dei giudici del Consiglio Consultivo dei giudici europei CCJE 17 novembre 2010, ove si legge all’art. 14: “La giustizia deve essere trasparente e debbono formare oggetto di pubblicazione informazioni sul funzionamento del sistema giudiziario”.
La Raccomandazione dell’OCSE 12 luglio 2023, dalla quale si ricava che il diritto di accesso alla giustizia si assicura non solamente rimovendo le barriere architettoniche e linguistiche, ma anche aiutando le persone ad avere una sempre più profonda consapevolezza dei propri diritti; e tale ausilio deve concretizzarsi in un bagaglio di informazioni semplici, chiare e a loro volta facilmente accessibili per tutti.
Le fonti sopra elencate individuano una serie nutrita di finalità della comunicazione nell’ambito della giurisdizione che vale la pena di sottolineare:
- assicurare la conoscenza dell’ordinamento giuridico, con la necessità di prestare particolare attenzione alle esigenze delle persone fragili o che non sono in grado di utilizzare le tecnologie informatiche;
- agevolare l’accesso al servizio giustizia, con le cautele di cui sopra;
- fornire informazioni sulle attività pratiche del sistema giudiziario in casi specifici;
- affermare il ruolo della giustizia nella società e l’indipendenza delle istituzioni giudiziarie, in particolare quando questa ultima viene messa in discussione;
- promuovere il rispetto per le istituzioni giudiziarie e i loro rappresentanti;
- rafforzare - o ripristinare - la fiducia del pubblico nelle istituzioni giudiziarie;
- prendere una posizione pubblica su questioni legate alla giustizia e alla società, laddove le circostanze lo giustifichino;
- correggere eventuali informazioni distorte;
- migliorare la comprensione del diritto da parte del pubblico;
- mantenere e migliorare l’immagine del sistema giudiziario;
- favorire la collaborazione con le altre istituzioni.
Se la comunicazione assolve, come abbiamo visto, a una pluralità di scopi, si ravvisa la necessità di un approccio sistematico. Nel Rapporto ENCJ si suggerisce di adottare una strategia di comunicazione globale, che dovrebbe applicarsi non solo ai membri dei Consigli di giustizia, ai presidenti e ai loro portavoce (e ad altre istituzioni all’interno del sistema giudiziario), ma a ogni singolo giudice e membro del personale giudiziario. Sul punto, si sottolinea che una strategia più intensa è necessaria se la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario è inferiore alla media, in calo o instabile.
Quanto ai soggetti responsabili della comunicazione, le fonti UE ci consegnano i seguenti suggerimenti.
La regola generale impone l’individuazione del responsabile della comunicazione, in nome dell’istituzione giudiziaria, laddove la scelta dipende dallo scopo della comunicazione prevista, ma anche dalle circostanze specifiche.
Sono certamente soggetti della comunicazione i Consigli di giustizia (CSM), le associazioni di categoria, gli uffici giudiziari e i singoli magistrati.
Le associazioni professionali dei giudici e/o dei pubblici ministeri possono comunicare su argomenti generali riguardanti la giustizia, il richiamo ai principi fondamentali (indipendenza della magistratura, presunzione di innocenza, ecc.) e a difesa dei tribunali, delle procure e/o dei singoli magistrati che vengono pubblicamente chiamati in causa.
Le corti possono comunicare sulla loro organizzazione, il loro funzionamento e le loro attività; possono anche prendere posizione su situazioni di interesse specifico, anche se del caso di procedimenti in corso, ma la possibilità di diffondere informazioni è limitata.
I singoli giudici dovrebbero, in linea di massima, astenersi dal commentare pubblicamente i procedimenti di cui sono responsabili.
I giudici e i pubblici ministeri possono essere chiamati a intervenire nel dibattito pubblico su altre questioni.
Riguardo ai singoli appartenenti alla magistratura, la guida della CEPEJ sottolinea che giudici e pubblici ministeri godono generalmente della libertà di espressione ma che, tuttavia, la libertà di espressione dei giudici, quando si presentano o sono presentati in tale veste, è limitata dal loro status speciale (segreto d’ufficio, doveri generali di riservatezza e dignità).
Sempre secondo le fonti UE (Raccomandazioni ENCJ) le modalità di comunicazione si attuano attraverso le seguenti regole.
Sono viste favorevolmente le linee guida, le buone prassi e i protocolli in tema di comunicazione esterna con le altre istituzioni e con gli ordini professionali coinvolti nel sistema giustizia.
È consigliata la realizzazione periodica (almeno ogni tre anni), in ciascun paese, di indagini sulla fiducia del pubblico, identificando le parti interessate (il pubblico in generale, gli utenti degli uffici giudiziari, i professionisti del diritto, i giudici e il personale giudiziario).
Dovrebbero essere organizzate periodicamente tavole rotonde, focus group o consultazioni formali con le principali categorie di portatori di interesse. E, in base ai risultati di tali consultazioni, si dovrebbe dar vita allo sviluppo di strategie di comunicazione, comprendenti la pubblicazione delle indagini sulla fiducia del pubblico.
Si suggeriscono monitoraggi dei media per fornire una sintesi delle informazioni rilevanti relative al sistema giudiziario e per valutare e identificare le tendenze concernenti le informazioni pubblicate o discusse dai media, per valutare e analizzare i riflessi positivi e negativi del sistema giudiziario sulla stampa al fine di affrontare le questioni ricorrenti (Grasso).
È di solare evidenza che il modello qui proposto non trova alcuna rispondenza nella situazione italiana, assai deficitaria da tale punto di vista, non essendovi occasioni, né risorse per le varie forme di consultazione o monitoraggio.
Venendo ai singoli mezzi o strumenti di comunicazione suggeriti dalle fonti UE, essi possono essere così elencati: comunicato stampa, conferenza stampa (briefing con la stampa), intervista concessa a un giornalista da un giudice, un procuratore o un portavoce, risposte scritte a domande scritte, sito web, social media, conferenze e dibattiti pubblici su temi legati alla giustizia, messaggi filmati, trasmessi in televisione o su Internet (YouTube), documentazione a disposizione del pubblico, sportelli informativi, giornate aperte, trasmissione di specifiche udienze o di decisioni giudiziarie, siti internet accessibili a tutti, con appropriate misure per proteggere dati sensibili, contenenti i più importanti orientamenti giurisprudenziali
Sotto il profilo squisitamente organizzativo, il parere n. 7(2005) CCJE, raccomanda che all’interno degli uffici vengano create squadre (“team”) dedicati alla comunicazione e figure deputate a tenere i rapporti con i media (portavoce o responsabile delle pubbliche relazioni), anche con la partecipazione di professionisti dell'informazione, nonché l’introduzione di servizi di accoglienza e comunicazione, sotto la supervisione dei giudici.
Centrale è poi il rapporto tra comunicazione, giustizia e formazione.
Il parere n. 7(2005) CCJE raccomanda che «A.5. I giudici dovrebbero avere l'opportunità di seguire una formazione specifica sulle relazioni con il pubblico e i tribunali dovrebbero disporre di personale specificamente incaricato di tenere i contatti con gli organismi educativi».
Secondo la guida della CEPEJ, le istituzioni giudiziarie dovrebbero ricercare e offrire a giudici e pubblici ministeri una formazione adeguata in materia di competenze comunicative nell’ambito della loro formazione iniziale e continua.
Le fonti UE, avuto riguardo alla forma e al linguaggio, suggeriscono quanto segue.
La comunicazione deve (dovrebbe) soddisfare tanto le esigenze delle autorità, quanto le aspettative percepite e presunte del pubblico ed essere tempestiva; proporzionata e adeguata ai soggetti ai quali si rivolge. Inoltre, la comunicazione deve essere qualitativa, ossia caratterizzata dalla verità dei fatti, obiettività, chiarezza e scevra da speculazioni.
Quando, a ragion veduta, le fonti UE e quelle interne richiedono che la comunicazione sia chiara e comprensibile, cosa significa? in concreto come si fa?
Ora, premesso che qui non si tratta della comunicazione insita nella motivazione dei provvedimenti giurisdizionale (non oggetto, come detto, della presente relazione), l’accessibilità e la chiarezza del linguaggio impongono una serie di comportamenti che può essere così compendiata:
- occorre abbandonare il linguaggio tecnico specialistico (salvo che non vi siano alternative), aulico, esclusivo, autoreferenziale, talvolta imperativo, stentoreo, roboante;
- occorre convertire ogni parola, locuzione e frase in un linguaggio comune, chiaro, accessibile a tutti;
- occorre utilizzare un linguaggio nel complesso sobrio;
- si deve fare ricorso a frasi brevi ed evitare luoghi comuni, espressioni abusate o qualsiasi tipo di enfasi;
- si deve puntare sui fatti, piuttosto che sugli aggettivi;
- è necessario impegnarsi, spendere tempo e risorse;
- ogni valutazione va operata con spirito critico, occorre scendere dal piedistallo della specializzazione tecnica.
Un banale esempio dell’aspirazione alla chiarezza e all’accessibilità della comunicazione giurisdizionale può essere proposto prendendo a spunto l’art. 76 D.P.R. n. 115/2002, secondo il quale: “Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22. Salvo quanto previsto dall'articolo 92, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.”
Ora, il testo di legge potrebbe essere “convertito”, ad esempio, inserendolo nel sito web dell’ufficio giudiziario, in un testo del seguente tenore: “Che cos’è il patrocinio a spese dello Stato? È un beneficio che consente a chi fa una causa o a chi la subisce di non pagare il compenso dell’avvocato. Chi può godere del beneficio? Solo coloro che hanno un reddito annuale lordo non superiore a euro 9.296,22. Come si fa ad ottenerlo? Occorre presentare una domanda scritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati seguendo i moduli allegati. Come si calcola il limite di reddito? Si sommano tutti i redditi di colui che presenta la domanda e dei redditi delle persone conviventi con lo stesso, con le seguenti eccezioni: quando la causa riguarda diritti della persona, quali ad es. diritto alla vita, all’identità sessuale, al nome ecc.; quando la causa è tra familiari conviventi”. Ma gli esempi potrebbero essere numerosi e magari più significativi.
Un esempio paradigmatico è tratto da uno scritto di Elvio Fassone.
Si pensi alla formula di rito, barocca, involuta, del giuramento del testimone, magari “rovesciata” in fretta e accorciando le parole sul “malcapitato” teste, e culminante nell’imperativo “dica lo giuro”: “Consapevole della responsabilità morale………”.
Il testo si potrebbe convertire in una versione con un linguaggio meno aulico, ma più comprensibile, quale, ad esempio: “Le ricordo l’importanza del giuramento e le sanzioni in caso di falsa testimonianza…” aut similia.
A questo punto, però, occorre essere consapevoli che in ogni opera di semplificazione del linguaggio e della comunicazione, soprattutto laddove dovrebbe trionfare la tecnica, si nasconde il rischio di una sorta di banalizzazione dei saperi e dei conseguenti vuoti di professionalità.
Tuttavia, se la nuova missione è quella della trasparenza, occorre prendere esempio dalla dottrina della psicoanalisi moderna e passare da un “ascolto sospettoso” ad un “ascolto rispettoso” (Momigliano), occorre, parafrasando Hillmann, “aprire una finestra nelle aule giudiziarie”, contro i rischi dell’isolamento e dell’autoreferenzialità.
In un contesto sociale caratterizzato dalla paura-rifiuto della complessità, occorre prodigarsi per spiegare la complessità giuridica in modo semplice.
Ma, tornando alle domande iniziali: quando è opportuno o necessario comunicare?
Va premesso che la domanda concerne, non tanto la comunicazione avente ad oggetto le informazioni sull’accesso al servizio giustizia (che solitamente hanno carattere continuativo), quanto la comunicazione sull’attività svolta e sui processi.
La guida per la comunicazione esterna della CEPEJ 2018 individua i seguenti presupposti, per la verità assai generici: gravità degli eventi, popolarità delle persone coinvolte, principi applicati a situazioni specifiche (es. suicidio assistito), situazioni temporanee o stagionali o attenzionati dai media.
Le Linee guida del CSM del 2018 richiedono: presenza di effettivo interesse pubblico, controversie di obiettivo rilievo sociale, politico, economico o tecnico-scientifico. Siamo di fronte a criteri talmente generici, che spetta a ciascun responsabile della comunicazione adottare di volta in volta scelte fondate sul buon senso e sulle circostanze del caso concreto, ponendo attenzione sempre alle conseguenze della propria comunicazione.
Oltre alle descritte fonti UE, il tema della comunicazione esterna negli uffici giudiziari giudicanti è regolato anche da alcune fonti interne.
In primo luogo, vengono in rilievo l’art. 1 del d.lgs. n. 240 del 2006: «Sono attribuite al magistrato capo dell'ufficio giudiziario la titolarità e la rappresentanza dell'ufficio, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l'organizzazione dell'attività giudiziaria….»; e l’art. 2 del medesimo d.lgs.: «Il dirigente amministrativo preposto all'ufficio giudiziario è responsabile della gestione del personale amministrativo, da attuare in coerenza con gli indirizzi del magistrato capo dell'ufficio..»
Da questa fonte primaria si ricava che l’organizzazione della comunicazione è nella responsabilità del capo dell’ufficio, in coordinamento con il dirigente al quale spetta la messa a disposizione delle risorse (secondo un modello di dirigenza integrata).
Vi è poi l’art. 14 del codice etico dei magistrati, in base al quale il dirigente assicura “trasparenza ed equanimità nella gestione dell’ufficio”.
Va citato anche l’art. 51 d.lgs. N. 196/2003, comma 2, che recita: “le sentenze…depositate..sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste” dalla normativa sulla protezione dei dati personali.
E poi vi è la normazione secondaria del CSM.
Anzitutto, la delibera CSM 26.7.2010, “Uffici Relazioni con il Pubblico e modalità di comunicazione degli uffici giudiziari”, dedicata alla strategia comunicativa istituzionale.
Ancora, la già citata delibera CSM dell’11 luglio 2018, intitolata: «Linee-guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale», dedicata specificatamente al “rapporto tra uffici giudiziari e circuito dell’informazione”.
Soffermandoci su quest’ultima, va osservato come il CSM, con tale intervento, abbia inteso richiamare i valori della trasparenza e comprensibilità dell’azione giudiziaria, rendendosi conto che oramai la mera motivazione non è più sufficiente a soddisfare i predetti valori. E si tratta di valori che discendono dal carattere democratico dell’ordinamento e sono correlati ai principi di indipendenza e autonomia della magistratura e alla moderna concezione della responsabilità dei magistrati, al fine di assicurare la fiducia della collettività nella giustizia.
Il CSM suggerisce, quindi, che “l’informazione deve certamente essere corretta, imparziale; essa deve essere rispettosa della dignità della persona».
L’obiettivo dell’intervento dell’organo di Governo Autonomo “è di armonizzare le procedure e le prassi degli uffici giudiziari rispetto sia alle prestazioni informative, sia alle prestazioni comunicative. Le prime riguardano i rapporti con i mezzi di informazione e devono essere caratterizzate da oggettività, trasparenza, mentre le seconde i rapporti con gli avvocati, utenti e cittadini e devono semplificare le relazioni e favorire la piena comprensione di fatti e documenti”.
Beninteso, le linee guida CSM 2010 e 2018 sulla comunicazione vanno intese come bussola di orientamento nel mondo della comunicazione, rivolte non solamente ai dirigenti, ma a ciascun magistrato.
Infatti, io credo che, come ogni magistrato deve essere protagonista dell’organizzazione dell’Ufficio, allo stesso modo, ogni magistrato deve sentirsi coinvolto nella comunicazione dell’Ufficio.
Come si può notare, le fonti interne, almeno per gli uffici giudicanti (invero, per gli uffici requirenti la situazione è significativamente diversa), non dettano precetti vincolanti in tema di comunicazione, se non con riferimento al soggetto responsabile all’esterno, non disciplinano il settore della comunicazione in modo dettagliato, come in qualche modo tende a fare la normativa europea, seppure con strumenti affievoliti di soft law.
Parimenti, allo stato, non vi sono interventi del CSM, in sede di normazione secondaria che introducono regole ferree, inderogabili, sui modi, sulle forme e sui contenuti della comunicazione istituzionali. Le citate delibere, come detto, fungono da traccia da seguire sulla via della comunicazione, senza che le decisioni organizzative vengano vincolate da disposizioni obbligatorie e valide per tutti. In fondo, lodevolmente, il CSM è conscio della pressoché totale mancanza di risorse umane ed economiche e delle notevoli differenze ambientali che si rinvengono tra i vari uffici giudiziari del Paese.
Credo, tuttavia, che in un futuro più o meo prossimo l’esigenza sempre più pressante della trasparenza e, quindi, di una buona comunicazione, e la contestuale esigenza di uniformare e omogeneizzare, per quanto possibile, i modelli di comunicazione nei vari uffici giudiziari, spingeranno il CSM a riflettere sull’opportunità di inserire nella normazione secondaria in tema di organizzazione degli uffici (in particolare, per gli uffici giudicanti, le circolari sulle cd. tabelle) una sezione destinata all’organizzazione della comunicazione. Del resto, un simile percorso è quello che ha visto come protagonista il tema del cd. benessere organizzativo. Chiaramente, la speranza è che il CSM nell’apprestarsi a tale opera – credo ineludibile – individui un modello di organizzazione della comunicazione assai flessibile e che, soprattutto, tenga conto della scarsità delle risorse in campo.
Rebus sic stantibus, le fonti Ue e quelle interne, a mio avviso, consentono più modelli di comunicazione esterna: una comunicazione strategica e strutturata, destinata principalmente agli uffici di grandi dimensioni e metropolitani e una comunicazione sartoriale, su misura, destinata agli uffici piccoli o medi.
------
Per entrambi i modelli, le fonti e le prassi mettono a disposizione una sorta di cassetta degli attrezzi, all’interno della quale troveremo strumenti utili per uno solo o per entrambi i modelli.
Ecco, quindi, l’elenco dei principali strumenti di comunicazione a disposizione degli uffici giudiziari giudicanti: mailing list dei media accreditati, comunicati stampa e relativo archivio, rassegna stampa, cura degli edifici, cartelli e avvisi, luoghi per incontri con i media, comunicazione con le istituzioni (es. altri uffici giudiziari, Amm. Comunale, COA ecc.), bilancio sociale e carta dei servizi, interviste scritte o verbali, sito web, web TV e messaggi filmati, social media e app, banche dati giurisprudenziali, conferenze, convegni, dibattiti pubblici, giornate aperte e visite studenti, trasmissione di specifiche udienze, staff ufficio e/o magistrati delegati, ufficio relazioni con il pubblico (URP), personale esterno.
Mailing list dei media accreditati
Lo scopo della mailing list è quello di dare spazio equanime a tutti i media ed evitare privilegi.
Può essere organizzata attraverso la messa a disposizione di un unico indirizzo mail dedicato per inviare e ricevere. Il capo ufficio o il magistrato delegato avrà in compito di decidere su forme e contenuti e dovrà essere destinato personale amministrativo per tenere concretamente i contatti con i media.
Lo strumento, tuttavia, presenta alcune criticità. Si tratta, forse, di strumento adatto agli uffici di grandi dimensioni che hanno contatti quotidiani con i media (anche se non va dimenticato che vicende processuali cd. mediatiche possono verificarsi in qualsiasi ufficio). Inoltre, occorrono risorse umane e materiali significative, in quanto un tale strumento, per essere utile, va usato e verificato quotidianamente.
Comunicati stampa e conferenze stampa
Essi sono utilizzati per fornire a molte persone, in linea di massima contemporaneamente, le informazioni che le autorità giudiziarie intendono diffondere. La conferenza stampa consente anche un’interazione immediata con i rappresentanti dei media. Ma è necessaria una preparazione in caso di domande/risposte. Importante è la logistica: occorre organizzare luoghi specifici per gli incontri con la stampa, caratterizzati da sobrietà ed efficienza.
Salvo che non si decida, anche per la scarsità di risorse, di non approntare una struttura dedicata ai comunicati stampa e alle conferenze stampa e che, quindi, si organizzino tali forme di comunicazione una tantum, occasionalmente, assume rilevanza, al fine di una comunicazione efficiente sotto il profilo in esame, la realizzazione di un “archivio comunicati stampa”, assai utile per evitare contraddizioni e per ricostruire le varie vicende, per avere memoria dell’Ufficio.
Le fonti che abbiamo in precedenza richiamato individuano alcune linee guida per i comunicati stampa:
- toni sobri, contenuti obiettivi, modalità condivise, rispetto dei diritti delle persone, senza discriminazione per i media, linguaggio adeguato e proporzionato alla vicenda;
- le informazioni sulle decisioni o sugli orientamenti vanno date in termini obiettivi e asettici, senza commenti, in modo imparziale e misurato;
- ogni comunicazione, in linea di massima, va realizzata dopo una riflessione condivisa nell’ambito di apposite riunioni o interlocuzioni con i giudici coinvolti, anche per valutare gli effetti della comunicazione stessa.
Rassegna stampa
La rassegna stampa, quale strumento per una buona comunicazione, è utile per avere contezza dell’opinione dei media o del pubblico circa operato dell’Ufficio in generale. È pure utile per avere consapevolezza di ciò che viene pubblicato con riguardo a determinati processi o a particolari vicende che vedono coinvolto in qualche modo l’ufficio. Ancora è utile in caso di redazione di comunicati, di interviste ecc. Infine, è utile per rimediare a eventuali criticità o inesattezze emerse nei media.
Cura edifici
Non è intuitivo inserire tra i mezzi di comunicazione istituzionale la cura degli edifici che ospitano gli uffici giudiziari. In realtà, pur non potendo perdere l’occasione per denunciare la pressoché totale carenza di risorse in tema di manutenzione degli edifici, soprattutto alla luce del noto trasferimento delle competenze dalle amministrazioni comunali al Ministero della Giustizia dal 2015, si deve osservare come il decadimento degli edifici degli uffici giudiziari possa offrire un’immagine alla collettività di scarsa efficienza e diligenza.
Ecco, dunque, che la cura degli edifici ha lo scopo di fornire un’immagine positiva, efficiente, di cura. Sarebbe auspicabile la creazione all’interno di ogni ufficio giudiziario di un apposito staff dedicato alla manutenzione e alla contrattualistica.
Con ciò non si vuole certo sostenere che qui si tratti di uno strumento di comunicazione prioritario, ma esso non va comunque sottovalutato e, nei limiti del possibile, non va trascurato nell’ambito dell’organizzazione dell’ufficio nel suo complesso. Rimangono, quali concreti ostacoli, le note criticità derivanti dalla scarsità di risorse umane e finanziarie.
Cartelli – avvisi
Anche i cartelli e gli avvisi affissi nei locali degli uffici giudiziari potrebbero apparire ininfluenti sotto il profilo comunicativo.
In realtà, essi funzionano come strumenti di guida e orientamento per fornire agli utenti (avvocati, consulenti, testimoni, giudici popolari, pubblico in genere) informazioni in ordine agli aspetti logistici, alla collocazione di aule, ai percorsi per raggiungerle, alle date e orari delle udienze, ai ruoli delle udienze penali, alla dislocazione degli uffici dei vari magistrati, agli orari di eventuale ricevimento dei magistrati, alle regole per tali ricevimenti ecc. Inoltre, vanno ricordati gli strumenti per facilitare l’accesso come ad es. i cd. taglia code.
Tutto ciò è importantissimo, soprattutto per colui che per la prima volta si imbatte nella giustizia e mette piede in un ufficio giudiziario.
Si tratta, indubbiamente, di strumenti efficaci, ma ad alcune condizioni: se sono redatti o realizzati in modo omogeneo e chiaro; se sono sottoposti a costante aggiornamento; se sono ben conservati.
Canali di comunicazione con le istituzioni esterne
Di regola, essi sono di spettanza del capo dell’ufficio, salvo deleghe, possibilmente per iscritto.
Di regola, vengono utilizzati canali istituzionali, quali PEC o mail dell’ufficio, ma non si escludono comunicazioni per le vie brevi o mediante riunioni in presenza (ad es. nel caso della necessità di risolvere questioni organizzative sollevate dal COA o altri).
Va poi qui ricordata, quale strumento o meglio luogo di comunicazione tra istituzioni, la conferenza permanente che mette assieme più uffici giudiziari, il COA ed eventualmente il Provveditorato alle OOPP, l’amministrazione comunale di riferimento e altri Enti, avuto riguardo alla manutenzione degli edifici e agli appalti.
Gli approcci sono differenti a seconda che si tratti di comunicazioni verso altri uffici giudiziari o verso istituzioni esterne: in ogni caso, va offerta un’immagine, rispettivamente, di coesione, di collaborazione e di senso istituzionale.
Il linguaggio, a differenza degli altri strumenti di comunicazione, rimane tecnico e formale. E per quel che riguarda, in particolare, la Conferenza Permanente, sarebbe consigliabile la redazione condivisa di un regolamento interno, da pubblicizzare, anche attraverso il sito web, ai fini della piena trasparenza.
Importanti sono la tempestività e la completezza delle risposte alle varie sollecitazioni esterne e la chiarezza per quel che concerne i verbali delle conferenze permanenti.
Vanno tenute distinte, però, le risposte, e quindi la comunicazione, in caso di doglianze scritte presentate da privati, laddove chiaramente non vi siano profili disciplinari o penali.
Può essere suggerita la seguente linea guida: rispondere sempre (il silenzio offre immagine negativa e genera sospetti), in modo sintetico, ma completo, con un linguaggio sobrio e accessibile a tutti.
Bilancio di responsabilità sociale e carta servizi
Il primo bilancio di responsabilità organizzato all’interno di un ufficio giudiziario è stato quello degli uffici di Bolzano molti anni fa. Poi tale positiva esperienza è stata esportata in altre realtà.
Si tratta di uno strumento affinato di comunicazione che persegue le seguenti finalità:
- acquisire un metodo per descrivere e valutare i risultati dell’organizzazione, nel caso giudiziaria (flussi, DT, definizioni, accessi amministrativi, tempi di risposta ecc.);
- comunicare alla collettività i punti di partenza delle attività, i targets, le strategie utilizzate e i risultati ottenuti;
- creare un canale di ascolto per suggerimenti e istanze per migliorare il servizio.
Senza dubbio, il bilancio di responsabilità (o la carta dei servizi) ha il pregio di obbligare l’organizzazione a una sorta di autoanalisi per rendere conto alla comunità del proprio operato, in un’ottica di accountability. Inoltre, esso testimonia di una maggiore vicinanza tra ufficio e comunità amministrata.
Si tratta, in sostanza, anche di un mezzo per misurare la cd. customer satisfaction.
Ciononostante, oggi è una esperienza in declino per numerose criticità: è opera complessa che richiede impegno e notevoli risorse, spesso inesistenti o insufficienti; la ripetizione annuale, inevitabilmente, senza particolari novità, ha finito per farlo divenire un mero adempimento burocratico, tradendo così la sua natura originaria.
Il bilancio potrebbe trovare una sorta di surrogato nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario o nel programma annuale delle attività (redatto congiuntamente dal capo dell’ufficio e dal dirigente amministrativo). Invero, entrambi i documenti, se aventi i contenuti sopra descritti e se adeguatamente pubblicizzati nel sito istituzionale o aliunde, potrebbero rappresentare efficaci strumenti di comunicazione rispondenti alle finalità proprie del bilancio di responsabilità.
Interviste
Le interviste del capo dell’ufficio o di singoli o di più magistrati possono essere scritte od orali. Le fonti indicano una serie di regole auree da seguire in tali frangenti: al di là degli ovvi profili di segretezza o privacy, va prestata attenzione alla tutela delle persone coinvolte; l’esposizione deve essere sobria, chiara e imparziale; ogni organo giudiziario dovrebbe definire, in linea di massima, la cerchia di persone autorizzate ad accettare interviste; l’intervista orale può essere concessa a un giornalista da un giudice, da un procuratore o un portavoce: il magistrato e il portavoce possono richiedere, come condizione per l’intervista, di poter controllare le citazioni fatte prima della pubblicazione; va preferita l’intervista con risposte scritte a domande scritte; le regole interne devono definire le competenze e i processi da seguire per le risposte; la comunicazione deve essere adattata al tipo di media interessato e alla vicenda oggetto dell’intervista.
Sito web
Il CCJE raccomanda, accanto alla distribuzione di materiale stampato, l’apertura di siti Internet sotto la responsabilità dei tribunali e che almeno tutte le sentenze della Corte Suprema e di altri importanti tribunali siano accessibili gratuitamente attraverso i siti Internet, adottando misure appropriate per proteggere la privacy delle persone interessate, in particolare delle parti e dei testimoni.
I primi siti web furono il frutto di accordi informali o formalizzati in convezioni con società specializzate nella pubblicità per le vendite immobiliari che erano sparse in tutto il territorio, caratterizzati da aziende, esperienze e contenuti assai differenti nei vari uffici giudiziari: quindi, una realtà disomogenea e a macchia di leopardo.
Dopo una fase pionieristica, poi sfociata in siti ben strutturati, ma appunto non omogenei, solo di recente il Ministero ha deciso di uniformare tutti i siti web degli uffici giudiziari favorendo la migrazione dei vari siti in piattaforme aventi la medesima maschera.
Oggi, come è stato giustamente osservato, si tratta del biglietto da visita di ogni tribunale (Castelli).
Numerosi e variegati sono i contenuti che si rinvengono nei vari siti web: componenti degli uffici, giorni e orari di udienza, orari e competenze delle cancellerie e segreterie, modulistica, news, servizi on line, pagamenti digitali, iscrizioni ad albi, prenotazioni udienze, informazioni su esami, concorsi, bandi di gara, contratti, protocolli, flussi, bilanci, banche dati giurisprudenziali, trasparenza ecc.
Le maggiori criticità connesse al sito web sono rappresentate dall’aggiornamento e dalla manutenzione: un sito non aggiornato è peggio di un sito inesistente. Ma la più volte ricordata carenza di risorse mette costantemente a rischio l’efficienza dei siti sotto i profili in esame.
In ogni caso, la descritta evoluzione storica dei siti ha spinto il CSM a riservare sempre maggiore attenzione a tale formidabile strumento di comunicazione, anche sull’onda delle raccomandazioni della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia.
Il CSM ha così dettato alcune linee guida generali.
Il sito ha una duplice finalità: ausilio per l’accesso al servizio giustizia e contenitore delle informazioni sull’attività giurisdizionale.
Sotto il primo profilo, esso deve contenere i calendari delle udienze, le istruzioni logistiche, i nominativi dei giudici, l’organizzazione dell’ufficio, le competenze, gli orari ecc.
Sotto il secondo profilo, esso deve contenere i principali orientamenti giurisprudenziali, i protocolli, le linee guida, i dati statistici, le presenze di personale e giudici ecc.
Anche per il CSM sono importanti la progettazione e la manutenzione: come detto, un sito non aggiornato offre immagine negativa e finisce per dare informazioni errate o superate.
Si è poi voluto precisare che le informazioni sulle decisioni e sugli orientamenti vanno costruire in termini obiettivi, asettici, senza commenti, in modo imparziale e misurato.
Presso il Tribunale Udine la comunicazione e, in particolare, il sito web sono stati organizzati nel modo che segue. È stato costituito un ufficio denominato “Staff per la trasparenza e la comunicazione”, composto da tre addetti (una funzionaria di cancelleria e due addetti all’UPP con compiti cd. trasversali) più un coordinatore (presidente vicario), sotto la supervisione del presidente del Tribunale, oltre ai Magrif e ad altro personali amministrativo con compiti specifici. Accanto alle informazioni riguardanti ogni forma di accesso all’ufficio, alla modulistica e alla digitalizzazione delle udienze o dei pagamenti, si è deciso di integrare il sito con: informazioni in altre lingue; notizie concernenti il personale; notizie su «chi siamo, quanti siamo, cosa facciamo, cosa abbiamo fatto» (ossia, flussi, organici, vacanze ecc.); principali orientamenti giurisprudenziali.
Le criticità incontrate sono per così dire universali: scarsità di tempo e di risorse e problematiche lessicali.
L’esperienza concreta di vari uffici e le buone prassi consentono però di offrire alcuni suggerimenti in tema di contenuti e forme dei siti web.
Anzitutto, andrebbero inseriti l’elenco e il testo di tutti i Protocolli sottoscritti dall’Ufficio. Tuttavia, spesso, tali protocolli contengono clausole tradotte in linguaggio specialistico e tecnico, pressoché incomprensibili ai più: di qui, l’esigenza di farli precedere da preamboli sintetici, caratterizzati da un linguaggio semplice che faccia comprendere le finalità e il contenuto degli accordi condivisi con i firmatari (ad es. metodo delle domande). Occorre, però, spiegare che si tratta di soft law, non pienamente vincolante.
Soprattutto negli Uffici distrettuali (ma anche negli altri), alcune informazioni, ad esempio, quelle concernenti l’accesso al servizio giustizia, andrebbero tradotte in alcune lingue straniere più usate.
Le informazioni sugli Albi dei professionisti dovrebbero contenere regole di accesso chiare e univoche.
Dovrebbero comparire in modo molto evidente (apposito alert news) le notizie riguardanti eventuali cambiamenti o modifiche o novità dei contenuti del sito.
Il sito dovrebbe contenere una sezione dedicata al personale amministrativo e ai sindacati.
Ogni modulistica andrebbe accompagnata, soprattutto nei casi più complessi, da tutorial animati.
Un sito completo dovrebbe contenere i dati relativi ai flussi e agli organici dell’ufficio (evoluzione da un modello meramente informativo a un modello comunicativo).
Se esistenti, vanno certamente inseriti il Bilancio sociale e/o la carta dei servizi.
È invece discutibile se possano essere inserite le informazioni concernenti il tema delle priorità, dei procedimenti da trattare appunto prioritariamente.
Imprescindibile è l’aggiornamento costante, che però, come detto, richiede attenzione, tempo e risorse.
Web TV
Si tratta di messaggi filmati per informare il pubblico sull’attività giudiziaria in generale o su aspetti specifici di tale attività. Sono trasmessi in televisione o su Internet (YouTube). Le cautele e le regole di ingaggio sono identiche a quelle descritte in precedenza. Si conosce una sola esperienza in tal senso (Tribunale di Firenze), avente lo scopo precipuo di migliorare e allargare la capacità comunicativa dell’ufficio giudiziario. Tuttavia, sono evidenti le criticità collegate a tale innovativo strumento di comunicazione. Sicuramente vanno sopportati alti costi, che non possono essere facilmente addebitati all’Amministrazione. È necessario creare una sorta di redazione, con l’ingaggio, evidentemente, di giornalisti professionisti o comunque di esperti in comunicazione. Ne deriva il rischio della dipendenza rispetto a tali figure esterne alla giurisdizione e alla Amministrazione. In ogni caso, appare un modello adatto solamente agli uffici metropolitani.
Banche dati giurisprudenziali
Ricordando le fonti UE, anche gli orientamenti giurisprudenziali possono essere forme o strumenti di comunicazione esterna.
Esse intercettano i bisogni soprattutto dei professionisti, ma anche del pubblico. Forniscono un utile quadro degli orientamenti di quell’ufficio in svariati settori o materie o casi.
Credo che dovrebbe essere precisato (ad es. con apposita nota nel sito), per il pubblico non specializzato, che l’omogeneità e la prevedibilità delle decisioni rappresentano una necessaria tendenza e non un valore assoluto e un imperativo categorico per ogni giudice.
Se possibile, vanno inseriti, almeno i provvedimenti più importanti e i più interessati per il pubblico, nel sito internet dell’ufficio.
Indubbiamente, l’inserimento nel sito di una banca dati della giurisprudenza di quel determinato ufficio può svolgere indirettamente anche una funzione deflattiva.
Si tratta poi di strumenti che contribuiscono a costruire l’immagine dell’ufficio e della magistratura di quel determinato territorio.
Va rammentato che è necessario il rispetto dei dati sensibili e della privacy attraverso il procedimento di cd. anonimizzazione.
La delibera del CSM del 2018 definisce la procedura di “spoglio” e poi di comunicazione all’esterno dei “casi di potenziale interesse”, con specifici suggerimenti in ordine ai magistrati competenti (presidente o responsabile della comunicazione delegato) e al linguaggio da utilizzare per rendere comprensibili a tutti il dispositivo e la motivazione.
Anche in questo caso, non si sfugge a una serie di criticità: ci vogliono molto tempo e molte risorse per la raccolta, la cernita (spoglio), l’eventuale massimazione, l’anonimizzazione, il caricamento e il continuo aggiornamento.
Social media e app
Sono strumenti che chiaramente consentono un contatto diretto con un pubblico molto ampio, in particolare con i giovani.
Tra i documenti internazionali vanno richiamati il rapporto sull’uso individuale e istituzionale dei social media nella magistratura, adottato dall’assemblea generale della Rete europea dei consigli di giustizia il 10 giugno 2020 e le Linee guida non vincolanti sull’uso dei social media da parte dei giudici, pubblicate dalla Rete mondiale per l’integrità della giustizia, promossa nell’ambito delle attività dell’ufficio delle Nazioni unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC).
Il documento dell’ENCJ, accanto alla comunicazione istituzionale, dedica la sua analisi all’uso dei social da parte dei singoli magistrati, sottolineando, in particolare, la necessità che i Consigli della magistratura prestino attenzione alle comunicazioni dei giudici e dei pubblici ministeri che interagiscono con gli operatori del settore attraverso canali non formali. Se ciò può comportare dei rischi, potendo avere un impatto sulle relazioni tra i poteri dello Stato, sollevando questioni etiche, non di meno i canali informali possono preparare e sostenere un successivo dialogo costruttivo. A tal fine, si evidenzia come i singoli giudici dovrebbero ricevere linee guida e regole etiche per la comunicazione. I giudici dovrebbero acquisire la consapevolezza di essere responsabili di qualsiasi cosa dicano, anche se comunicano in modo non formale, richiamando il documento la necessità di un equilibrio tra la libertà di espressione e le regole etiche. Accanto all’opportunità di un raccordo con le associazioni giudiziarie dei singoli paesi, allo scopo di aumentare l’efficacia derivante da un’azione congiunta, il rapporto richiama l’importanza della formazione su questi temi (Grasso).
Le criticità in questo caso sono numerose e intuitive. Occorre una gestione pressoché quotidiana di questi strumenti. Spesso si diviene protagonisti di interlocuzioni difficili e pericolose. Occorre, come accennato, una costante presenza per dare vita a risposte tempestive o per eliminare contenuti offensivi o diffamatori. Si tratta di uno strumento di potenziale distrazione rispetto agli impegni istituzionali che impone tempi rapidi senza possibile e necessaria riflessione.
Premesso che sarebbe necessario un intervento specifico del CSM per regolamentare tale strumento, e premesso ancora che, per la verità, ad oggi, sembra trattarsi di uno strumento destinato più al singolo magistrato, con le relative responsabilità, che all’ufficio nella sua interezza (anche se in alcuni Paesi Europei i social media vengono utilizzati direttamente dagli uffici giudiziari e dai responsabili della comunicazione che lavorano al loro interno), rimane la considerazione che trattasi di mezzo di comunicazione con enormi potenzialità rispetto ai fini che abbiamo in precedenza indicato, ma al tempo stesso assai pericoloso (a meno che l’Ufficio e/o il singolo magistrato non possano essere aiutati da esperti in questo tipo di comunicazione) che finisce per trascinare la giurisdizione e i suoi protagonisti nell’agone comunicativo, senza protezioni, mettendo a rischio i valori dell’indipendenza e autonomia. In altri termini, a differenza di tutti gli altri strumenti di comunicazione, allo stato, quello dei social media impone un maggior self restrain alla magistratura, in attesa di positive evoluzioni future.
Dibattiti pubblici
Si tratta, in breve, di conferenze e convegni, di dibattiti pubblici su temi legati alla giustizia, ai quali possono partecipare magistrati.
Valgono le regole di continenza, sobrietà e imparzialità enunciate in precedenza.
Giornate aperte
Le cd. giornate aperte possono rivelarsi assai importanti per supportare l’immagine della magistratura e per spiegare chi sono e cosa fanno i magistrati, con il personale amministrativo. Si pensi, ad esempio, alla giornata della giustizia civile, appuntamento annuale istituito dall’Unione Europea e organizzato con l’ausilio del CSM.
Ma nel tempo, le giornate aperte sembrano sortire scarso interesse, anche a causa delle difficoltà nell’informazione sull’evento e di un necessario ma faticoso coordinamento tra coloro che presentano l’ufficio al pubblico.
Maggiore interesse e partecipazione (almeno per gli insegnanti) vengono manifestate per le visite guidate di studenti presso gli uffici giudiziari.
A mio avviso, è strumento di enorme rilevanza, in quanto prepara la futura percezione della magistratura e può stimolare l’interesse per i tirocini.
Ma anche le visite delle scuole potrebbero finire nel dimenticatoio o trascinarsi stancamente se non si trovano formule di comunicazioni innovative, semplici e veloci che possano attirare la curiosità dei giovani; occorre poi evitare di trasformare il processo in spettacolo, dovendo conservare un minimo di liturgia delle regole processuali.
Trasmissione televisiva di processi
Possono essere trasmissioni video o audio ovviamente.
Va prestata attenzione, anche in questo caso, a non trasformare il processo in spettacolo. Non deve materializzarsi il rischio di un condizionamento sul comportamento dei protagonisti che debbono rimanere spontanei e all’interno delle regole.
URP
Gli uffici per le relazioni con il pubblico sono consigliati nella delibera del CSM del 2010.
Tali uffici sono rappresentati da una struttura organizzativa alla quale è demandata la comunicazione verso l’esterno. Garantisce diritti di informazione, di accesso e di partecipazione. Agevola l’utilizzazione dei servizi, verifica la qualità del servizio e raccoglie suggerimenti e il livello di gradimento delle persone.
A essa spetta una sorta di governo della politica di accoglienza: informazioni logistiche o generiche sui procedimenti, guida ai servizi, modulistica, certificazioni ecc.
Si tratta di una sorta di evoluzione del sito web.
Si presentano come strutture simili agli sportelli di prossimità in tema di VG e ADS.
Ad oggi le esperienze degli URP sono numericamente limitate per la nota penuria di personale e per assenza di personale specializzato in comunicazione. Inoltre, gli URP comuni per più uffici si sono rivelati di difficile realizzazione. Ritengo che si tratti di strumento maggiormente adatto agli uffici di grandi dimensioni.
Come anticipato, le Linee guida del CSM del 201O si sono occupate in modo più specifico dell’URP.
Secondo il CSM, ai servizi polifunzionali di accesso dovrà essere destinato personale adeguatamente formato rispetto alle dinamiche relazionali e con specifiche competenze in materia di tecniche di comunicazione.
Il coordinamento spetta al presidente o a un magistrato delegato.
In carenza di risorse, si può ricorrere a personale esterno mediante stipula di convenzioni, previa gara a evidenza pubblica (Circ. DOG 12.9.2023 per punti informativi, sportelli di servizio per cittadini, portali web), rispettando principi di rotazione, trasparenza e concorrenza. E, in ogni caso, occorre l’autorizzazione ministeriale.
Le descritte condizioni di realizzazione rendono già evidente la sostanziale impraticabilità dello strumento per quasi tutti gli uffici giudiziari italiani.
Staff e delegati
Altro strumento utilizzato per una comunicazione strutturale coincide con l'introduzione di uffici o di squadre (“team”) dedicati alla comunicazione e di figure deputate a tenere i rapporti con i media (portavoce o responsabile delle pubbliche relazioni), anche con la partecipazione di professionisti dell'informazione.
Secondo il parere n. 7(2005) CCJE, è auspicabile la creazione di servizi di accoglienza e comunicazione nei tribunali, sotto la supervisione dei giudici; il loro sviluppo dovrebbe essere incoraggiato al fine di contribuire a una migliore comprensione dell'attività giudiziaria da parte dei media.
Si tratta di una sorta di URP meno strutturato, più agile, con minori competenze, soprattutto di rappresentanza all’esterno, e minori risorse, forse più consono a uffici di medie dimensioni.
Personale esterno
Come accennato, lo stesso CSM, riprendendo suggerimenti provenienti dalle fonti UE, prevede la possibilità per gli uffici, a prescindere dalla creazione o meno di un URP, di affidare la comunicazione istituzionale a personale esterno specializzato nella materia della comunicazione (ovviamente sempre sotto il controllo e la supervisione del presidente o del magistrato delegato). Il ricorso al personale esterno è però subordinato ad alcune condizioni: la mancanza di risorse interne; la realizzazione di un bando di gara ad evidenza pubblica; la partecipazione di aziende con personale specializzato in comunicazione; l’applicazione dei principi di trasparenza, rotazione e concorrenza; la concessione di autorizzazione ministeriale; l’assenza di costi per l’Amministrazione.
Non constano esperienze concrete, salvo quanto riferito in tema di siti istituzionali
-----
Si dice che la comunicazione istituzionale deve essere people centered, ossia assolutamente trasparente per tutti (Airoma).
Per realizzare, nel tempo, tale ambizioso obiettivo, per colmare il ritardo, fra i molti, si possono individuare alcuni strumenti, alcuni possibili rimedi:
- è nostro dovere, più che mai nella sfera della comunicazione, metterci nei panni dell’altro, di chi riceve la comunicazione, è nostro dovere analizzare le cose, gli eventi da un diverso punto di vista, come ha insegnato Montesquieu, il quale nelle “Lettere persiane” affida a un persiano, ossia a un barbaro orientale, lo sguardo sull’occidente, sull’Europa, per scovare pregi e difetti di quel mondo, per comprendere quel mondo;
- occorre introdurre l’istruzione alla giustizia fin dalla scuola primaria;
- occorre l’assunzione in ogni ufficio giudiziario di personale specializzato in comunicazione che sia il portavoce dell’ufficio e che coadiuvi il dirigente o i magistrati, appunto, nelle scelte per la comunicazione interna ed esterna;
- occorre formazione continua in tema di comunicazione.
Alla fine di questa conversazione non posso che chiedermi e chiedervi quale futuro avrà la comunicazione nella giustizia, come si evolverà.
Manterrà i suoi caratteri democratici e valoriali o finirà nella sabbia del Colosseo?
Le nuove tecnologie hanno certamente favorito la trasparenza, ma sarà l’AI ad avere il comando, il sopravvento, anche da tale punto di vista?
I soggetti della giustizia deputati alla comunicazione dovranno adottare una particolare prudenza non appena, inevitabilmente, si troveranno di fronte al mezzo nuovo dell’intelligenza artificiale, affinché esso, al pari di quanto osservato per la comunicazione in generale, come un cavallo di Troja, non affievolisca o annulli i principi di indipendenza e autonomia della magistratura.
Ma in fondo, se ci preme la conservazione piena di tali valori, come preme a me, possiamo stare tranquilli.
Nessuno, mai, è stato in grado di predire il futuro (né l’oracolo di Delfi, né gli aruspici), nessuno può sapere se le nuove tecnologie potranno effettivamente minare i valori di indipendenza.
Del resto, anche un grande scrittore di fantascienza, Ray Bradbury, autore di Fahrenheit 451, in un breve racconto del 1958, ha previsto come si sarebbe svolto il parto negli anni duemila: la donna al momento delle doglie assieme al marito è salita su di un veicolo volante per recarsi all’ospedale e lì la donna è stata adagiata su di una macchina che provvede al parto automaticamente e senza dolore e tutto ciò mentre il marito attende fuori della sala parto fumando nervosamente. Peccato che Bradbury fra le varie fantasiose previsioni non aveva previsto che negli ospedali futuri sarebbe stato vietato il fumo.
Paolo Corder
[1] Relazione tenuta al Corso di formazione “Comunicazione e giustizia”, cod.: P24032, organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci (FI), dal 15 al 17 maggio 2024.
LA COMUNICAZIONE ESTERNA NEI TRIBUNALI.pdf | 244 Kb