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Magistratura Indipendente

CIVILE  

La formazione del silenzio assenso sulle istanze di ampliamento del nucleo familiare e subentro nel diritto di un alloggio di edilizia pubblica

  Civile 
 domenica, 16 gennaio 2022

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di Corrado MISTRI, Sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione e Barbara PEDRETTI, avvocatessa civilista in Bologna

 
 

La formazione del silenzio assenso sulle istanze di ampliamento del nucleo familiare e di subentro nel diritto di godimento di un alloggio di edilizia residenziale pubblica.

di Corrado Mistri e Barbara Pedretti

Gli autori affrontano i principali aspetti legati ad una questione di evidente rilievo nomofilattico e di importante rilevanza collettiva decisa dalla Corte di Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 20761 del 20 luglio 2021, in tema di applicabilità del silenzio assenso alle ipotesi di ampliamento del nucleo familiare e di subentro nell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.


1.     Premessa: la fattispecie concreta.
Il tema del rapporto tra l’istituto del silenzio assenso ed il procedimento per la successione ed il subentro nell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica è stato di recente oggetto di specifica pronuncia da parte delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza indicata in epigrafe, che ha affermato il principio di diritto secondo cui, nel procedimento di ampliamento del nucleo familiare e di subentro, non si applica l'istituto del silenzio assenso previsto dall’articolo 20, l. 7 agosto 1990, n. 241.

Per meglio comprendere la questione di diritto trattata dalla Corte è opportuna una previa disamina della concreta fattispecie che ha portato all’arresto di cui si tratta nel presente articolo.

Tizio proponeva opposizione al decreto di rilascio di un alloggio di edilizia residenziale pubblica dinanzi al Tribunale di Roma, sostenendo il suo diritto al subentro nel contratto di locazione che ATER aveva concluso con l’assegnataria dell’immobile, zia ex matre del ricorrente, deducendo in particolare: che a seguito della separazione della propria madre, sorella dell’assegnataria, quest’ultima aveva inoltrato ad ATER istanza di ampliamento del nucleo familiare a mezzo raccomandata, con la quale comunicava il rientro nell’alloggio della sorella, essendo già componente del nucleo familiare dell’assegnataria, unitamente al figlio, affidato alla madre in sede di separazione personale; che, successivamente al decesso dell’originaria assegnataria, la propria madre, con ulteriore raccomandata, richiedeva il subentro nel contratto di locazione a suo favore; che, infine, lo stesso ricorrente, con raccomandata regolarmente ricevuta da ATER, essendo deceduta la propria madre, chiedeva di essere riconosciuto come successore nel diritto di godimento dell'immobile ovvero il subentro nella locazione.

A fondamento della pretesa deduceva che, alle predette richieste, non aveva mai fatto seguito alcuna risposta da parte di ATER, di talché doveva ritenersi formato il silenzio assenso su ciascuna di esse, comprovando altresì di avere sempre regolarmente corrisposto i canoni di locazione dopo la morte dell’assegnataria.  

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 20666 del 2011, rigettava ogni pretesa di Tizio in quanto estraneo all'originario nucleo familiare dell'assegnataria, affermando la mancanza dei presupposti per il subentro e l’ampliamento dell’originario nucleo, richiesti dall’articolo 11 comma 5, legge regionale Lazio n. 12 del 1999.

Tizio proponeva appello avanti alla Corte di appello di ROMA, che, con sentenza n. 8321 del 2017, respingeva il gravame ritenendo non vi fossero i presupposti per un ampliamento del nucleo familiare ed inapplicabile, in subiecta materia, l’istituto del silenzio assenso, in quanto, a dire della Corte territoriale <<[…] l'eccezionale ampliamento del nucleo originario dell'assegnatario può determinarsi solo a seguito dell'accertamento degli specifici presupposti richiesti dalla legge, si renda indispensabile un'effettiva verifica al riguardo, e ciò in ragione sia della necessaria corretta gestione del patrimonio dell'ente, sia della coesistenza dei concorrenti interessi di coloro che, già regolarmente iscritti nelle liste di assegnazione secondo le norme di legge, sono attualmente in attesa di un'assegnazione di un immobile per la risoluzione dei problemi esistenziali propri e della propria famiglia>>.

2.     Il ricorso per cassazione e l’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. III, n. 13865 del 2020 – La nozione di edilizia residenziale pubblica.

          Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso Tizio sulla base di tre motivi di doglianza, con il primo dei quali, in particolare, denunciava violazione della l. n. 241 del 1990, articolo 20, con riguardo alle richieste di ampliamento del nucleo familiare e di subentro mai corrisposte da ATER, in relazione alle quali avrebbe errato la Corte capitolina nell'escludere la formazione del silenzio assenso in quanto, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della domanda senza necessità di ulteriori istanze o diffide, secondo il disposto di cui all’articolo 20, comma 4, l. ult. cit., non essendovi alcun potere discrezionale da esercitare poichè l'atto ampliativo e di subentro che l'Autorità avrebbe dovuto adottare non era legato allo svolgimento di alcuna selezione ovvero ad alcuna procedura concorsuale.

         Il motivo di ricorso presenta evidente rilievo nomofilattico, tanto che la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.ro 13865 del 2020, concludeva per investire le Sezioni Unite della questione se, in ordine all'interpretazione della l. n. 241 del 1990, articolo 20, possa formarsi silenzio assenso sulle istanze di successione/subentro nel diritto di godimento di alloggio di edilizia residenziale pubblica e, in via generale, se ed in base a quali presupposti un'interpretazione sistemica sia idonea ad inibire la formazione del silenzio assenso al di là degli ambiti delineati dal comma 4, dell’articolo 20, l. ult. cit.

         Va premesso che la nozione di edilizia residenziale pubblica, nell’ambito della più generale categoria dei servizi pubblici, ricomprende tutti gli interventi normativi mediante i quali viene fornito ai cittadini meno abbienti un contributo diretto o indiretto dallo Stato sia per la realizzazione sia per l’assegnazione degli alloggi in locazione ad un costo più moderato rispetto al mercato privato.

         In particolare va ricordato che il procedimento di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica si articola in due fasi: quella attinente alla prenotazione ed all'assegnazione dell'alloggio e quella inerente alla disciplina del rapporto così instaurato, la prima avente natura pubblicistica e caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici, ai quali corrispondono posizioni di interesse legittimo dei richiedenti, e la seconda avente invece natura privatistica in funzione della posizione di diritto soggettivo degli assegnatari, poiché, in questa fase, la pubblica amministrazione non è titolare di poteri di supremazia di alcun genere e vede limitato il suo intervento alla verifica del corretto adempimento delle obbligazioni civili che gravano sull'assegnatario.  

La distinzione ha rilevanti ripercussioni sulla giurisdizione, atteso che le controversie attinenti ai vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, mentre quelle in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto locatizio, in quanto sottratte al discrezionale apprezzamento della pubblica amministrazione, sono ricondotte alla giurisdizione del giudice ordinario.

Per quanto più specificamente di interesse in relazione alla concreta fattispecie, che fa da sfondo all’intera vicenda, vanno richiamati gli articoli 11 e 12, L.R. Lazio n.ro 12 del 1999, il primo dei quali, al comma 5, disciplinando la nozione di nucleo familiare precisa il requisito della stabile convivenza, recitando che <<fanno, altresì, parte del nucleo familiare […], i collaterali fino al terzo grado, purché la stabile convivenza con il richiedente duri ininterrottamente da almeno due anni alla data di pubblicazione del bando di concorso e sia dimostrata nelle forme di legge>>, mentre il secondo disciplina i casi di subentro, in particolare recitando, ai commi 4, lett. e), e 5, che <<l’ampliamento del nucleo familiare si determina con l’ingresso o rientro […] dei parenti in secondo grado […] purché in possesso dei requisiti previsti dalla normativa in materia di edilizia residenziale pubblica per non incorrere nella decadenza […] l’ampliamento del nucleo familiare fino al secondo grado non necessita di specifica autorizzazione ed è comunicato all’ente gestore entro trenta giorni dal verificarsi delle ipotesi di cui al comma 4>>.

3.     L’inerzia della P.A. ed il silenzio assenso.
Il silenzio assenso, sia nell’accezione di mancata conclusione del procedimento che in quella di mancata decisione mediante un provvedimento espresso, costituisce un fatto giuridico che equivale ad un provvedimento amministrativo di accoglimento di un’istanza volta ad ottenere l’ampliamento della sfera giuridica del richiedente.

         Nella sua formulazione originaria, l’articolo 20, l.n. 241 del 1990, costituiva una mera norma di rinvio, nel senso che rendeva operante il silenzio assenso solo nei casi in cui un'altra disposizione, anche di fonte secondaria, lo prevedesse espressamente.

         Con la riforma del 2005, introdotta dall’articolo 3, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, si è verificata una vera e propria inversione di prospettiva, realizzata dal legislatore attraverso la tipizzazione non già dei casi di formazione del silenzio assenso, bensì, al contrario, di quelli in cui è escluso che esso possa operare, con la conseguenza che l'articolo 20 l. ult. cit., costituisce oggi strumento di valenza generale diretto a contrastare l'eventuale inerzia dell'amministrazione nei procedimenti ad istanza di parte finalizzati all’emanazione di provvedimenti amministrativi, rivestendo efficacia equivalente al provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, quando risulta trascorso il termine entro cui l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere.

         Tale valenza generale non ha, però, portata illimitata, atteso che il comma 4 del citato articolo 20, prevede un significativo numero di eccezioni relative ad atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l'immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, nonché i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, i casi di silenzio rifiuto, nonché gli atti ed i procedimenti individuati per via regolamentare (l. n. 80 del 2005), cui sono state successivamente aggiunte ulteriori deroghe in materia di asilo e cittadinanza (articolo 9 comma 3 l. 18 giugno 2009 n. 69) ed in materia di tutela del rischio idrogeologico (articolo 54, comma 2, l. n. 221 del 2015).

         La finalità e la ratio della nuova disciplina del silenzio assenso è all’evidenza quella di introdurre un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, nell’ottica di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e dei limiti al pubblico potere finalizzati a non pregiudicare la certezza delle situazioni soggettive dei privati, oggi ulteriormente consolidata dall’articolo 1, comma 2 bis, l.n. 241 del 1990 [comma aggiunto dall'articolo 12, comma 1, lett. a), l. n. 120 del 2020], secondo cui <<i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede>>.

 

4.     La protezione costituzionale e la giurisprudenza costituzionale.
L’istituto del silenzio assenso trova oggi protezione costituzionale per effetto della modifica intervenuta con l’articolo 10, comma 1, lett. b, legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha introdotto i commi 2 bis e 2 ter, nell’articolo 29, l. n. 241 del 1990, qualificando come attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. m), Cost., l’obbligo della pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro il termine prefissato nonché, espressamente, le disposizioni in materia di silenzio assenso, inserendo quindi nel sistema un dispositivo di tutela riconducibile sostanzialmente al canone della ragionevole durata.

         La Corte Costituzionale non è mai stata chiamata ad esaminare la specifica ipotesi dell’istanza di subentro nell’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica con riferimento alla disciplina del silenzio assenso, ma si è pronunciata, più volte ed in diversi ambiti, sui limiti in cui la legislazione può prevedere la disciplina dell’istituto del silenzio assenso, ritenendo tale istituto adeguato mezzo di semplificazione dell’azione amministrativa soltanto nei casi in cui vi sia un basso o limitato tasso di discrezionalità e non vengano in rilievo interessi cd. sensibili (ad esempio, la materia paesaggistica, le questioni di inquinamento ambientale, etc.)[1].

         In relazione al procedimento di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, in particolare, con la pronuncia n.ro 7 del 2008, la Corte evidenzia la radicale diversità tra la posizione di chi deve subentrare nella domanda di assegnazione di un alloggio popolare e quella di chi, invece, deve subentrare nel rapporto locativo già instauratosi; la prima, caratterizzata da una disciplina di tipo concorsuale volta alla formazione di una graduatoria e la seconda, invece, connotata dall’esistenza di un rapporto locatizio soggetto alle regole contrattuali.  La Corte sottolinea che il subentro nella domanda di assegnazione non produce effetti negativi nei confronti degli altri aspiranti che hanno fatto analoga domanda per ottenere un alloggio di edilizia residenziale pubblica, dovendosi ancora perfezionare il momento di verifica delle condizioni oggettive e soggettive che determinano la posizione nella graduatoria, mentre il subentro nel rapporto locativo già costituito impedisce che le esigenze abitative della famiglia originariamente assegnataria possano essere bilanciate con quelle di altri nuclei familiari ipoteticamente in possesso di maggiori titoli per accedere all'edilizia residenziale pubblica.

         Sulla base di tali premesse la Corte ha specificamente affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore bilanciare le esigenze contrapposte della tutela del nucleo familiare assegnatario dell'alloggio con quelle, altrettanto importanti, degli altri nuclei familiari e, di conseguenza, con l'interesse per l'amministrazione di tornare nella disponibilità del bene per poterlo nuovamente inserire in una procedura concorsuale, e che, in tale prospettiva, la disciplina normativa relativa all'ampliamento del nucleo familiare ed al subentro, che non può che riferirsi alla fase relativa al rapporto locatizio, va considerata costituzionalmente legittima.

5.     La dottrina.
Il silenzio assenso viene generalmente qualificato, in dottrina, come un rimedio preventivo che consiste nell’eliminazione della possibilità che il ritardo nella conclusione del procedimento produca effetti negativi in capo al soggetto interessato all’emanazione dell’atto, attribuendo il legislatore alla condotta inerte della amministrazione un significato di assenso idoneo ad incidere sull’assetto dei rapporti e degli interessi privati.

         La natura giuridica dell’istituto viene ricondotta vuoi a quella dell’atto implicito, vuoi a quella del mero fatto, vuoi a quella della dichiarazione con valore legale tipico che equipara il fatto dell’inerzia ad un provvedimento amministrativo in relazione alla produzione degli effetti.

         Quanto all’ambito applicativo dell’istituto, si distinguono le seguenti posizioni:

-  secondo parte della dottrina[2], al silenzio assenso sarebbero sottratti i provvedimenti discrezionali dell’amministrazione, tenuto conto che la discrezionalità non potrebbe surrogarsi con il silenzio assenso;

-   secondo altra parte della dottrina[3] sarebbero invece sottratti al meccanismo del silenzio assenso i provvedimenti caratterizzati da una limitata discrezionalità;

-   secondo altra parte ancora[4] della dottrina, il silenzio assenso potrebbe essere previsto nei procedimenti relativi all’adozione di autorizzazioni e non anche in quelli relativi alle concessioni ovvero a quelli che presuppongono una disciplina del rapporto sostanziale “autoapplicabile”, cioè in grado di essere applicata autonomamente dai privati, i quali vi si conformerebbero;

-    altra dottrina[5], infine, offre una diversa chiave di lettura dei limiti applicativi del silenzio assenso, da ravvisarsi non tanto nella natura, discrezionale o meno, del potere esercitato, quanto nella rilevanza degli interessi pubblici coinvolti, richiamando al riguardo quanto osservato in proposito dalla Corte costituzionale in tema di cd. materie sensibili.

            Le condizioni cui le principali posizioni dottrinali subordinano la possibilità della formazione del silenzio assenso sono le seguenti: che la domanda attenga ad un ambito nel quale è consentita l’applicabilità del silenzio assenso; che essa provenga da un soggetto legittimato; che la domanda sia accompagnata da documentazione idonea a consentire la verifica della sua fondatezza e non contenga dichiarazioni mendaci; che, infine, sia rivolta all’amministrazione competente.  In particolare, quanto al primo aspetto, viene esclusa l’applicabilità dell’istituto del silenzio assenso quando la fattispecie coinvolga interessi di rilievo costituzionale, quando un terzo partecipi effettivamente al procedimento introducendo elementi di fatto e di diritto e/o interessi specifici che meritano comunque di essere esaminati e valutati, e quando è l’istante a chiedere l’adozione di un provvedimento espresso con tutte le garanzie che ad esso si correlano.

6.     La giurisprudenza ordinaria.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di diritto al subentro negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, originata da interventi aventi ad oggetto questioni di giurisdizione, con orientamento consolidato sin da Cass. civ., sez. Un., 9 ottobre 2013, n. 22957, ritiene che spetti al giudice ordinario la giurisdizione nelle controversie promosse dal familiare dell'assegnatario di alloggio di edilizia economica e popolare al fine di far accertare il proprio diritto a succedere nel rapporto locatizio, argomentando che le disposizioni che disciplinano il diritto al subentro nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica non lasciano alla P.A. alcun margine di discrezionalità valutativa attribuendole un ruolo meramente ricognitivo del diritto soggettivo al subentro, in quanto tutti gli atti successivi all'assegnazione incidono necessariamente sulla posizione di diritto soggettivo che deve essere riconosciuta all'assegnatario.

         Per le medesime ragioni si è ritenuto competano al giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto l’opposizione ad ordinanza di rilascio dell’immobile perché asseritamente occupato sine titulo (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. Un., 16 gennaio 2021, n. 621), quelle concernenti la decadenza dall’assegnazione dell’alloggio per carenza dei requisiti di impossidenza o superamento dei limiti reddituali (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. Un., 18 febbraio 2021, n. 4366), nonché quelle relative al diritto al subingresso nel rapporto di assegnazione del terzo familiare per effetto di espressa previsione legislativa regionale (in tal senso, di recente, Cass. civ., sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18828).

         Per quanto più strettamente attiene al profilo concernente il c.d. diritto al subentro, il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità[6] afferma che, in materia di locazione di immobili dell'edilizia residenziale pubblica, l'unico titolo che abilita alla locazione è l'assegnazione e che, in caso di morte dell'assegnatario, si determinano la cessazione dell'assegnazione-locazione ed il ritorno dell'alloggio nella disponibilità dell'ente, il quale può procedere, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ad una nuova assegnazione, eventualmente a favore dei soggetti che, in qualità di conviventi ed in presenza delle altre condizioni generali previste dalla vigente normativa, hanno un titolo preferenziale per l'assegnazione, dovendo invece escludersi che possa configurarsi, in base ad un'interpretazione dei principi generali in materia di edilizia residenziale pubblica, un diritto al subentro automatico.

         In altre parole, secondo tale orientamento l'accertamento dei requisiti soggettivi che qualificano l'erede come componente del nucleo familiare originario od ampliato costituisce condizione necessaria ma non sufficiente al riconoscimento del diritto al subentro nella assegnazione dell'alloggio, occorrendo altresì che, in capo al medesimo, si verifichi anche il possesso dei requisiti legali previsti per la concessione del titolo di assegnazione dell'alloggio dalle disposizioni della vigente legislazione regionale.

7.    La giurisprudenza amministrativa.
Nella giurisprudenza amministrativa si riscontrano molteplici orientamenti in tema di efficacia e limiti applicativi dell’istituto del silenzio assenso.

         Un primo orientamento, per così dire estensivo pur se fortemente minoritario, trova fondamento nella pronuncia resa da TAR Lazio, sez. II, n. 3542 del 2011, a mente della quale il silenzio assenso va considerato quale fatto giuridico equivalente in tutto e per tutto ad un provvedimento amministrativo di accoglimento di una istanza volta ad ottenere l'ampliamento della sfera giuridica del richiedente, alla luce del nuovo testo dell’articolo 20, l.n. 241 del 1990, intervenuto a seguito della novella del 2005, che oggi riferisce i suoi effetti a qualsivoglia domanda proposta dal privato all'amministrazione, tipizzando, invece, i casi in cui il silenzio assenso non può operare attraverso l’inserimento, nel comma 4 dello stesso articolo 20, dei settori rispetto ai quali è sempre necessario un provvedimento espresso dall'autorità competente, indipendentemente dal rispetto del termine procedimentale previsto in materia.

         Un secondo orientamento, per così dire restrittivo, trova fondamento nelle decisioni di Cons. Stato, n. 1723 del 2012 e, più recentemente, 12 marzo 2020, n. 1788, a mente delle quali il meccanismo del silenzio assenso non è configurabile allorché l'Amministrazione deve rilasciare una vera e propria concessione amministrativa, rifacendosi alla tradizionale contrapposizione tra natura concessoria o autorizzatoria del provvedimento e limitando l’ambito applicativo della funzione sollecitatoria cui è preposto l'istituto del silenzio-assenso ai soli provvedimenti autorizzatori.

         Un terzo orientamento, per così dire più radicale, esclude in toto l’applicazione dell’istituto alla materia dell’edilizia residenziale pubblica, al qual proposito vanno richiamate la sentenza 10 ottobre 2017, n. 4688, del Consiglio di Stato, sezione V, che ha negato che il silenzio assenso possa avere spazio nella materia dell'assegnazione degli alloggi e.r.p., governata da specifica normativa e caratterizzata da complesse graduatorie; nonché la sentenza 19 febbraio 2018, n. 1013, sempre del Consiglio di Stato, sezione V, che ha dichiarato che la materia della concessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica non contempla il silenzio assenso come fattispecie provvedimentale.

         Un quarto orientamento, per così dire intermedio, da ultimo, qualifica il silenzio assenso quale strumento di semplificazione e non già di liberalizzazione amministrativa, per cui esso non si perfeziona con il mero decorrere del tempo dalla presentazione della domanda senza che sia intervenuta risposta dell'Amministrazione, condizione questa ritenuta necessaria ma non sufficiente, richiedendosi al proposito la contestuale presenza di tutte le condizioni, i requisiti ed i presupposti richiesti dalla legge, ossia degli elementi costitutivi della fattispecie di cui si deduce l'avvenuto perfezionamento, con la conseguenza che il silenzio assenso non si forma nel caso in cui la fattispecie rappresentata dal privato non sia conforme a quella normativamente prevista.

         Espressione di tale orientamento sono le pronunce del Consiglio di Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n. 1767, del Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 1 aprile 2011, n. 2019, e del Consiglio di Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 506, secondo le quali il meccanismo del silenzio assenso, in buona sostanza, non comporta alcuna deroga al potere-dovere dell'amministrazione di curare gli interessi pubblici nel rispetto dei principi fondamentali sanciti dall’articolo 97 Cost., presupponendo sempre che l'amministrazione stessa sia posta nella condizione di verificare la sussistenza di tutti i requisiti legali richiesti per il rilascio dell'autorizzazione o comunque per l’emanazione del provvedimento, in quanto la funzione sollecitatoria cui si ispira l'istituto del silenzio-assenso non può, a pena di insanabile contrasto della relativa disciplina legislativa con la sovraordinata fonte costituzionale (articolo 97 Cost.), pregiudicare la possibilità di un pieno e ponderato esercizio dell'attività di valutazione e comparazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall'esercizio della funzione amministrativa.

         Tale esigenza, peraltro, alla luce della modifica normativa dell’articolo 20, l.n. 241 del 1990, intervenuta con la novella del 2005 - a mente della quale il silenzio equivale ad accoglimento dell’istanza - refluisce oggi, secondo tale orientamento, nel procedimento di autotutela e nelle conseguenti determinazioni che l’Amministrazione competente può assumere ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies, l.n. 241 del 1990, non potendo quindi limitarsi la stessa Amministrazione, rimasta inerte, a provvedere tardivamente sull'istanza, dovendo invece avviare un vero e proprio procedimento di secondo grado finalizzato alla rimozione dell’atto, che si assume illegittimo, formatosi per silentium, assorbendo il potere di autotutela anche profili valutativi che normalmente ineriscono all'esercizio della funzione amministrativa di primo grado, ma che l'Amministrazione non è stata a suo tempo in grado di esercitare.

In tal modo la Pubblica Amministrazione conserva la possibilità di una piena e ponderata attività di valutazione e comparazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti dall'esercizio della funzione amministrativa, in piena adesione e rispetto dei principi costituzionali di cui all’articolo 97 Cost., con la conseguenza che, in sede di annullamento in autotutela di un silenzio assenso, deve essere restituito integro all’Amministrazione il potere-dovere di compiere, per la prima volta, quelle valutazioni che, a suo tempo, la stessa avrebbe potuto e dovuto porre a fondamento dell'esercizio della funzione istituzionale ad essa spettante.

Tale soluzione, oltre al conforto letterale del dettato normativo, si pone anche come efficace rimedio alla c.d. amministrazione o burocrazia difensiva, ossia alla convinzione secondo la quale, in un panorama normativo incerto, l’immobilismo contribuisce ad evitare di essere chiamati a rispondere delle proprie scelte, che si risolve in un sostanziale e pregiudizievole depotenziamento della funzione pubblica con conseguenti profili di evidente incostituzionalità, per violazione dei parametri di cui agli articoli 28 e 97 Cost.

 

8.     La questione nomofilattica posta dall’ordinanza n.ro 13865 del 2020 - La soluzione proposta.
Il nucleo del problema nomofilattico demandato alle Sezioni Unite, secondo l’ordinanza remittente, va individuato <<nella latitudine ontologica del silenzio assenso quale species provvedimentale>>, avendo anche la Corte territoriale, nella sentenza oggetto dell’impugnazione in cassazione, sostanzialmente aderito al mainstream restrittivo che connota la prevalente giurisprudenza amministrativa, orientata ad escludere la portata del silenzio assenso anche in settori non espressamente menzionati, in tal senso, dalla vigente normativa, sulla base della ritenuta necessità di un provvedimento esplicito scaturente, a sua volta, dalla necessità di una valutazione specifica dei presupposti del provvedimento stesso.

         Al proposito l’ordinanza remittente solleva più che fondati dubbi, atteso che:

-   in primo luogo l’orientamento restrittivo si fonda su tesi dogmatiche che contrastano con il disposto letterale dell’articolo 20, comma 4, l.n. 241 del 1990, come novellato dall’articolo 3, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, così come si presenta priva di supporto normativo la distinzione operata tra atti di concessione ed atti di autorizzazione, atteso che il dettato normativo non distingue tra provvedimenti di concessione, di autorizzazione o di altro genere, limitandosi ad escludere il silenzio assenso solo in determinate materie, quelle indicate al comma 4, nelle quali non rientra l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare;

-   in secondo luogo deve ritenersi eccentrico invocare la tradizionale dottrina che distingue tra concessioni ed autorizzazioni, dovendo osservarsi che, nella concreta fattispecie, si verte nell’ipotesi del subentro in un diritto già concesso dalla pubblica amministrazione all'assegnatario dell'alloggio e concretamente modulato, successivamente, nel contratto di locazione;

-   in terzo luogo, ancora, come insegna il consolidato orientamento del giudice di legittimità richiamato al precedente paragrafo 6, (supra, pagina 7), il diritto al subentro non lascia alla Pubblica Amministrazione alcun margine di discrezionalità valutativa, attribuendole un ruolo meramente ricognitivo del diritto soggettivo al rientro nell’originario nucleo ovvero al subentro, le cui condizioni sono predeterminate dalla legislazione regionale, in particolare dagli articoli 11 e 12, L.R. Lazio n. 12 del 1999, e succ. mod., per quanto attiene alla concreta fattispecie.

         Ad avviso di chi scrive l’ordinanza remittente già prefigura la corretta soluzione al problema nomofilattico posto, laddove mostra riserve e perplessità nei confronti del <<mainstream restrittivo>> che connota la prevalente giurisprudenza amministrativa, orientata, come ricordato, ad escludere la portata del silenzio assenso anche a materie o settori non espressamente menzionati, in tal senso, dalla vigente normativa.

         In realtà, a ben vedere, deve effettivamente ritenersi che le tesi restrittive confliggano con l’interpretazione letterale, sistematica e costituzionalmente orientata dell’ordito normativo, dappoiché:

-   la lettera dell’articolo 20, l.n. 241 del 1990, come novellato, si limita ad escludere il silenzio assenso solo in determinate materie, e precisamente in quelle indicate al comma 4, articolo ult. cit., tra le quali non rientra l'assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, atteso che la materia dell’edilizia residenziale pubblica non è stata a tutt’oggi oggetto di specifica disposizione derogatoria né è stata oggetto di <<precisa individuazione>> da parte del decreto legislativo n. 222 del 2016, nel quale il “settore edilizia” fa unicamente riferimento ai procedimenti relativi ai permessi di costruzione di edifici, di ristrutturazione ed ai relativi procedimenti amministrativi;

-   dal combinato disposto degli articoli 29, comma 2-bis - che qualifica come livello essenziale della prestazione, con protezione costituzionale garantita dall’articolo 117 Cost., l’obbligo della pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro il termine prefissato, da garantirsi in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale – e 17 bis e 21 nonies, l.n. 241 del 1990 - che prevedono termini finali nei rapporti endoprocedimentali fra pubbliche amministrazioni il primo, ed un termine finale generale per l’adozione di atti di autotutela il secondo - si desume chiaramente la costruzione sistematica, ad opera del legislatore, di un nuovo paradigma nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, che prevede espressamente specifici limiti al potere pubblico al fine di consolidare le situazioni soggettive dei privati, nell’ottica di assicurare il buon andamento della funzione amministrativa anche sotto l’aspetto della ragionevole durata del procedimento e dell’obbligo di concludere lo stesso entro il termine prefissato;

-   l’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost, laddove riserva allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, orienta in chiave di protezione costituzionale la lettura della richiamata disposizione di cui all’articolo 29, comma 2-bis, l.n. 241 del 1990, introdotto dall'articolo 10, comma 1, lett. b), legge 18 giugno 2009, n. 69 e, successivamente, così modificato dall’articolo 12, comma 1, lett. l), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, a mente del quale <<Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato, di misurare i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti>>.

         Le considerazioni che precedono convincono allora nel ritenere che la regola del silenzio assenso, per come delineata dall’attuale testo dell’articolo 20, l.n. 241 del 1990, abbia portata generale, che non può essere limitata se non nelle ipotesi specificatamente indicate dal legislatore, al comma 4, del suddetto articolo; ogni contraria o più restrittiva soluzione priverebbe infatti il cittadino di un fondamentale strumento di reazione all’inerzia ingiustificata del pubblico potere, mentre quella proposta consente comunque all’Amministrazione gli opportuni interventi in via di autotutela, nei termini ed alle condizioni di cui all’articolo 21 nonies, l. ult. cit., così bilanciando equamente gli interessi in gioco laddove permette, da un lato all’Amministrazione la valutazione della sussistenza dei presupposti del provvedimento omesso nei limiti consentiti dall’articolo 21 nonies, l.n. 241 del 1990, e dall’altro garantisce al privato la certezza delle situazioni giuridiche soggettive maturate, assicurando un meccanismo efficiente che bilancia in modo equilibrato le istanze del cittadino, non più condizionate esclusivamente dall’attività del pubblico amministratore, con le esigenze di controllo di conformità della richiesta alle disposizioni normative da essa implicate.

         Tale è stata la conclusione presa dalla Procura generale della Corte di Cassazione nella memoria depositata il 26 maggio 2021, in vista della decisione del ricorso presa all’udienza del 22 giugno 2021.

 

9.     La soluzione della Corte.     In parziale difformità rispetto a quanto argomentato al paragrafo che precede, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n.ro 20761 del 2021, hanno affermato il principio di diritto secondo cui <<in tema di edilizia residenziale pubblica, l'istituto del silenzio-assenso, previsto dall'art. 20 della l. n. 241 del 1990, che implica una posizione di interesse legittimo, non può trovare applicazione in relazione all'istanza di subentro nell'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, destinati all'assistenza abitativa ed all'ampliamento del nucleo familiare, in cui la posizione soggettiva controversa ha la consistenza di diritto soggettivo>>.

         Invero la Corte allarga la non applicabilità dell’istituto del silenzio assenso all’intera fase procedimentale successiva al provvedimento di assegnazione dell’alloggio, ritenendo che, dal momento in cui l’Amministrazione ha provveduto in tal senso, i rapporti con il soggetto assegnatario e/o con il subentrante non abbiano ad oggetto interessi legittimi, bensì veri e propri diritti soggettivi per ciò stesso estranei al perimetro del silenzio assenso, riguardando le ipotesi di ampliamento del nucleo familiare e di subentro nell’alloggio l’evoluzione di un rapporto già in essere tra assegnatario ed Amministrazione, rapporto soggetto alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto il provvedimento di assegnazione viene a rappresentare lo “spartiacque” tra il momento in cui l’operare della pubblica amministrazione è riconducibile all'esercizio di pubblici poteri ed il momento in cui, invece, rientra nell'ambito di un rapporto paritetico.

         Alla luce delle argomentazioni sopraindicate, la concreta fattispecie è stata descritta quale contestazione del provvedimento di rilascio dell'immobile di edilizia residenziale pubblica a seguito di occupazione senza titolo da parte di un soggetto che non ha partecipato all’iniziale procedimento di assegnazione come titolare di un legittimo interesse, ma che assume di possedere i requisiti per permanere nell’immobile in quanto subentrante all’originaria assegnataria dell’alloggio secondo quanto previsto della L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 12, articoli 11 e 12; da tanto consegue, ad avviso delle Sezioni Unite, che il subentro nell'assegnazione: da un lato, discende direttamente dalla previsione legislativa in presenza di determinate condizioni il cui accertamento non implica alcuna valutazione discrezionale da parte della P.A.; dall’altro, viene a costituire una possibile evoluzione del rapporto sorto in esito all'assegnazione e non già l'instaurazione di un nuovo e diverso rapporto, corrispondendo ad un diritto soggettivo come tale non soggetto ad esercizio di discrezionalità da parte dell'ente amministrativo.

Trattandosi dunque di un diritto soggettivo, va da sé che si debba escludere in subiecta materia l’applicabilità del silenzio assenso di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 20, in quanto il silenzio assenso di per sè costituisce esplicazione ex lege di potestà pubblicistica correlata al mancato esercizio dell'attività amministrativa ed è figura equipollente, sul piano degli effetti giuridici, a un provvedimento amministrativo, cosicché, ad avviso del collegio di legittimità, implicando il silenzio assenso una posizione di interesse legittimo, la controversia sul diritto soggettivo al subentro nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica resta estranea al perimetro dell'articolo 20, legge ult. cit., potendo l’interessato, assumendo la sua posizione tutelata consistenza di diritto soggettivo, proporre in via immediata domanda di accertamento del proprio diritto avanti al giudice ordinario in sede civile.

Per tale motivo risulta, quindi, del tutto irrilevante ed inconferente alla fattispecie il rimedio del silenzio assenso.

10.     Conclusioni.
La decisione della Corte, secondo cui la materia dell’ampliamento del nucleo familiare e del subentro negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, involgendo situazioni giuridiche di diritto soggettivo deve ritenersi di per sé estranea all’istituto del silenzio assenso, da un lato trascura di considerare e quindi di armonizzarsi con i recenti arresti del giudice di legittimità indicati al paragrafo 7., in nota 6., d’altro lato, omette qualsiasi osservazione e riflessione sulla categoria del provvedimento amministrativo vincolato[7], d’altro lato ancora, non soddisfa appieno le esigenze di tutela del cittadino in relazione alla certezza dei rapporti giuridici ed alla tempestività dell’agire della pubblica amministrazione, laddove viene sostanzialmente a limitare la tutela del privato alla sola proposizione della domanda di accertamento del proprio diritto avanti al giudice ordinario, destinata a generare una controversia dai tempi inevitabilmente dilatati stante la notoria durata media dei giudizi civili.

         Ed invero, come ricordato, la giurisprudenza più recente esclude possa configurarsi un diritto al subentro automatico, atteso che, in materia di locazione di immobili dell'edilizia residenziale pubblica, l'unico titolo che abilita alla locazione è l'assegnazione, in quanto la sola qualità di componente del nucleo familiare, originario o ampliato, costituisce condizione necessaria ma non sufficiente al riconoscimento del diritto al subentro, occorrendo altresì che il subentrante possieda i requisiti legali previsti per la concessione del titolo di assegnazione dalle disposizioni della vigente legislazione regionale, oggetto di necessaria verifica da parte dell’Amministrazione anche se il deliberato della stessa, atteso che la norma primaria in subiecta materia regola integralmente e compiutamente l’atto amministrativo, si presenta a contenuto vincolato.

         L’atto vincolato, quale categoria del diritto amministrativo, viene definito come atto meramente ricognitivo di situazioni giuridiche preesistenti alla sua adozione, che non produce effetti giuridici ma ne accerta la produzione[8], venendo a costituire l’adempimento dell’obbligo di accertare la ricorrenza degli elementi della fattispecie astratta secondo lo schema “norma-fatto” e non già secondo lo schema “norma-potere-effetto”[9]; in altre parole, è l’ordinamento che prefigura l’effetto, ma è solo l’atto amministrativo che lo produce, riservando l’ordinamento la produzione dell’effetto giuridico all’amministrazione anche se l’atto vincolato si limita a riconoscere, in uno spazio totalmente privo di discrezionalità, la sussistenza degli elementi previsti dalla fattispecie[10].

         Di fronte all’obbligo di accertamento che connota l’atto amministrativo a contenuto vincolato, si pongono conseguentemente situazioni giuridiche soggettive a soddisfazione necessaria[11], e pertanto non già interessi legittimi, ma diritti soggettivi, sorti nel momento in cui si sono verificate, nella realtà materiale, le circostanze elevate dall’ordinamento a fattispecie astratta di un qualche effetto giuridico[12].

Ciò è proprio quanto accade nelle ipotesi di ampliamento del nucleo familiare e di subentro negli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ove l’amministrazione rimane titolare del potere accertamento costitutivo riconosciutole dalla legislazione regionale, cui corrisponde una situazione non già di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo a pretesa soddisfazione necessaria, come ritenuto, appunto, dalla pronuncia delle Sezioni Unite oggetto della presente disamina, che però limita il ventaglio delle tutele accordate al privato interessato al solo diritto di adire il giudice ordinario per far dichiarare, attraverso un’azione di mero accertamento, la piena ricorrenza degli elementi connotanti la fattispecie astratta che disciplina l’ampliamento ovvero il diritto al subentro.

Se così è, non può non osservarsi, allora, come nulla venga a mutare, in termini di certezza delle situazioni giuridiche soggettive, con la pronuncia di una sentenza di accertamento del giudice ordinario ovvero attraverso l’operatività dell’istituto del silenzio assenso, estesa alle ipotesi di ampliamento del nucleo familiare e di subentro nell'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

In tale prospettiva, la radicale affermazione contenuta nella pronuncia delle Sezioni Unite n.ro 20761 del 2021, del presentarsi cioè l’istituto del silenzio assenso assolutamente eccentrico rispetto agli istituti dell’ampliamento e del subentro, non pare condivisibile e si pone parzialmente fuori fuoco rispetto alle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche soggettive dei cittadini a fronte del potere della pubblica amministrazione, oggi oggetto di espressa protezione costituzionale come in precedenza evidenziato[13], in quanto non assicura a largo raggio la pronta tutela delle situazioni di che trattasi, realizzabile assai più celermente attraverso il meccanismo di portata generale del silenzio assenso, di cui all’articolo 20, comma 4, l.n. 241 del 1990 e succ. mod., che non attraverso la pur sempre percorribile strada dell’azione di accertamento proponibile dinanzi al giudice ordinario, in quanto la portata generale dell’istituto del silenzio assenso, da un lato rende lo stesso applicabile anche alla materia del provvedimento a contenuto vincolato, garantendo al cittadino un fondamentale strumento di reazione all’inerzia ingiustificata del pubblico potere, così consentendo la “costituzione” del proprio diritto nonostante il silenzio serbato dall’Amministrazione, dall’altra non toglie all’Amministrazione stessa la possibilità di intervenire in via di autotutela, nei termini ed alle condizioni di cui all’articolo 21 nonies, l. ult. cit.

Ogni diversa soluzione, invero, compresa quella della pronuncia resa a Sezioni Unite dalla Corte di legittimità, rimette di fatto all’iniziativa, o meglio all’inerzia della pubblica amministrazione, la sorte dell’esercizio dei diritti del subentrante, andando ad inficiare quel rapporto paritetico che la stessa Corte ha dichiarato sussistere nella fase successiva a quella di conclusione del procedimento di assegnazione dell’alloggio di edilizia pubblica e si rivela altresì sostanzialmente inidonea a contrastare il fenomeno della irregolare gestione del patrimonio edilizio pubblico, oggetto di recente interesse da parte degli organi di stampa che hanno riverito come, nella sola Roma, oltre 1.600 immobili di proprietà comunale risultino intestati ad inquilini deceduti da svariati anni.



[1]  Si vedano, ad esempio, Corte Cost., sentenze n.ri 393 del 1992, 169 del 1994, 408 del 1995 e 246 del 2018.

[2]  G. Morbidelli, Il silenzio assenso, in V.Cerulli Irelli, (a cura di) La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, Napoli, 2006, 271.

[3]   A. Romano, A proposito dei vigenti artt. 19 e 20 della l. 241 del 1990: divagazioni sull’autonomia dell’amministrazione, Dir. Amm. 2006, 489 ss.

[4]   In tal senso F.G. Scoca-M. D’Orsogna, Silenzio, clamori di novità, Dir. proc. amm. 1995, 393 e ss., e B.E. Tonoletti, Silenzio della pubblica amministrazione voce in Dig. Disc. Pubbl. Torino, XIV, 1999, 156.

[5]   P. Otranto, Silenzio e interesse pubblico nella attività amministrativa, 140 e ss.

[6]  Si vedano Cass. civ., sez. VI, 22 aprile 2021, n. 10587; e Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2020, n. 4236.

[7]  P. Virga, Il provvedimento amministrativo, 1972, p. 24; F. Follieri, Decisione amministrativa e atto vincolato, in Federalismi, n. 7 del 2017.

[8]  A. Orsi Battaglini, Autorizzazione amministrativa, in Scritti giuridici, p. 1199 e ss.

[9] E. Capaccioli, Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in Diritto e processo, 1978, p. 310.

[10] Si veda F.G. Scoca, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. Amm. 1995, par. 14.

[11]   L. Ferrara, Diritti soggettivi ad accertamento amministrativo, p. 72 e ss.

[12]  In tal senso A. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti alla giurisdizione ordinaria, p. 133 e ss.; A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni giuridiche soggettive, in Scritti giuridici, p. 1249 e ss.; P. Gotti, Gli atti amministrativi dichiarativi. Aspetti sostanziali e profili di tutela, 1996, p. 161.

[13]  Si veda supra, paragrafo 8, pagina 12.

 

 
 
 
 
 
 

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