Questo, ben inteso, con riferimento ad una potestà legislativa diretta, cioè alla possibilità per la Comunità di emettere direttamente norme sanzionatorie di natura penale o di farle emettere agli Stati.
Come spesso è avvenuto ed avviene tuttora nel campo del diritto penale europeo, un primo sommovimento in materia si verifica ad opera della Corte di Giustizia in una materia particolare, relativa ad un interesse tipicamente comunitario, quello della tutela delle finanze proprie della CEE.
Fin dagli anni ‘70, infatti, la Comunità si è dotata di alcune risorse tipiche per finanziare il proprio bilancio e conseguire i propri scopi; queste sono, in particolare, i dazi doganali, i prelievi agricoli ed una quota dell’iva. Le prime due voci sono riscosse dai funzionari doganali degli Stati Membri e confluiscono direttamente nel bilancio comunitario. La repressione e prevenzione di condotte che tendono a sottrarre le risorse al bilancio comunitario diventa, quindi, essenziale per la vita della Comunità, ma, come detto, quest’ultima non ha le basi legali che fondino una propria potestà sanzionatoria in materia. La CEE non può, cioè, né adottare direttamente sanzioni contro tali condotte, né esiste una norma che preveda in maniera esplicita la possibilità per la CEE di imporre agli Stati di sanzionare tali condotte, lesive di un interesse tipicamente comunitario.
Nel 1989, però, avviene qualcosa di nuovo: la Corte di Giustizia di trova ad affrontare un caso in cui la Commissione Europea porta in giudizio uno Stato membro per farne accertare la negligenza ed il mancato controllo sui funzionari doganali nazionali che, in occasione dell’importazione di partite di mais da uno Stato extra CEE, non avevano riscosso puntualmente ed adeguatamente i diritti doganali, causando così un mancato introito alle finanze comunitarie.
In occasione della decisione di tale caso (sentenza CGUE, 21.9.1989, caso 68/88), la Corte di Giustizia afferma alcuni importanti principii: quello per cui gli Stati sono obbligati a tutelare le finanze della allora CEE come le proprie nazionali, e quello per cui, in virtù dell’obbligo di garantire l’efficacia del diritto comunitario – che nella specie era stata lesa -, gli Stati, per sanzionarne le violazioni, sono obbligati ad assicurare misure che abbiano il carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva.
Con questa sentenza, quindi, per la prima volta la Comunità Europea, tramite un proprio organo, dà indicazioni agli Stati in merito all’adozione di sanzioni per tutelare un proprio interesse. Successivamente tale percorso è stato completato con altre decisioni – tra cui il provvedimento emesso nel “caso Zwarteld”, CGUE, ord. 13.7.1990, caso 2/88 - in cui, ribadendo tale principio, la Corte ha precisato esplicitamente che tali sanzioni, nei casi più gravi, potevano essere anche di natura penale.
Al caso del mais greco si fa, dunque, tradizionalmente, risalire l’inizio della potestà sanzionatoria della Comunità Europea. Sarà un caso, ma anche la data è simbolica: il 1989, l’anno del cambiamento; un nuovo ordine mondiale si prefigura, ed anche la Comunità Europea si evolve. E’ già avviato il processo di trasformazione verso una nuova natura e struttura della stessa, verso una istituzione di carattere non solo economico, ma politico: l’Unione Europea.