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Magistratura Indipendente

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO  

LA SCARSA RILEVANZA DEL FATTO NELL' AMBITO DELLA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DEL MAGISTRATO

  Giudiziario 
 mercoledì, 26 luglio 2023

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di Simona SANSA, Magistrato addetto alla Segreteria della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura

 
 

In un contesto normativo ispirato ai principi della tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati e dell’obbligatorietà dell’azione penale, il legislatore del 2006 ha introdotto la clausola generale di irrilevanza disciplinare della condotta qualora il fatto sia di particolare tenuità.
L’art. 3 bis, espressione del più generale principio di offensività proprio del diritto penale, è stato inserito nel cd. Codice disciplinare al fine di attenuare le conseguenze dei rigorosi principi introdotti dalla Legge del 25 luglio 2005, n. 150 (Legge Castelli) contenente la delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario disciplinato dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.
L’ambito applicativo dell’esimente si estende all’intero svolgimento del procedimento, a partire dalla fase pre-disciplinare - essendo previsto dall’art. 16 comma 5 bis del d.lgs. 109 del 2006 il potere di archiviazione del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione - sino alla fase del giudizio che si svolge davanti al Collegio.
Il contributo esamina gli orientamenti ermeneutici elaborati sia dalla dottrina sia dalla recente giurisprudenza disciplinare e di legittimità, con particolare riferimento agli elementi costitutivi e ai presupposti applicativi della “scarsa rilevanza” della condotta disciplinare del magistrato.


Sommario: 1. Premessa. – 2. La scarsa rilevanza del fatto ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. 109 del 2006. – 3. L’ambito applicativo dell’art. 3 bis. – 4. L’impugnazione della sentenza di assoluzione per scarsa rilevanza del fatto. – 5. L’archiviazione diretta del Procuratore Generale della Corte di Cassazione. – 6. Conclusioni.

 

1. Premessa.

Il decreto legislativo del 23 febbraio 2006, n. 109 (recante disposizioni sugli illeciti disciplinari dei magistrati, sulle relative sanzioni e sulla procedura per la loro applicabilità) non ha previsto l’istituto della “scarsa rilevanza” della condotta disciplinare, sebbene detto istituto fosse stato previsto nella bozza originaria del disegno di legge.

L’art. 3 bis è stato definitivamente introdotto dall’art. 1 della legge del 24 ottobre 2006, n. 269 per effetto della presentazione dell’emendamento 1700 (relatore Salvi), approvato nella seduta del Senato del 4 ottobre 2006 e successivamente confermato alla Camera.

L’originario progetto di legge n. 635[1] (che non contemplava alcuna esimente) è stato presentato a pochi mesi dall’entrata in vigore del Codice disciplinare allo scopo di introdurre, con particolare riguardo al regime concernente gli illeciti disciplinari, alcuni correttivi ai due principi introdotti dalla legge delega n. 150 del 2005, ossia l’obbligatorietà dell’azione disciplinare in capo al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e la tipicizzazione degli illeciti disciplinari[2].

In particolare, le modifiche approvate dal Senato della Repubblica sono state finalizzate per un verso a circoscrivere quanto più dettagliatamente possibile le fattispecie disciplinari previste dalla previgente normativa e per altro verso a inserire una disposizione che escludesse la configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.

Inoltre, pur essendo stato mantenuto il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare, sono stati introdotti dei meccanismi di filtro per far fronte agli esposti manifestamente infondati o relativi a fatti non sanzionabili ed è stato previsto, in presenza di determinate condizioni, il potere di archiviazione del procedimento disciplinare in capo al Procuratore Generale.

Le nuove previsioni sono state inserite in un complesso normativo connotato dalla vigenza della disposizione di cui all’art. 15 comma primo del d.lgs. 109 del 2006, che già circoscriveva la conoscenza del fatto “di rilievo disciplinare” da parte della Procura Generale alla denuncia circostanziata, contenente “tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie disciplinare”[3].

Dunque, l’art. 1 (comma 3 lettera e) della legge n. 269 ha inserito, nella sezione I del Capo I dedicata agli illeciti disciplinari, l’articolo 3 bis, che esclude la configurabilità dell’illecito disciplinare quando il fatto è di scarsa rilevanza.

E’ stato, poi, aggiunto nell’art. 16, norma relativa alle indagini nella fase pre-disciplinare, il comma 5 bis, che disciplina i casi in cui il Procuratore Generale procede all’archiviazione, tra i quali è prevista l’ipotesi in cui il fatto addebitato non costituisca condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell’articolo 3 bis[4].

 

2. La scarsa rilevanza del fatto ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. 109 del 2006.

Come si è visto, l’istituto della particolare tenuità del fatto avente rilevanza disciplinare, mutuato dal principio di offensività proprio della legislazione penale, è stato introdotto con il preciso intento di mitigare il rigore del principio di tipizzazione e di tassatività degli illeciti disciplinari.

Si afferma, in proposito, che il principio posto alla base della responsabilità disciplinare dei magistrati, in assenza di clausole di chiusura dell’impianto normativo previsto dal Codice disciplinare, sia attenuato da due norme previste nella sezione I del d.lgs. 109 del 2006 dedicata agli illeciti disciplinari: l’art. 1 (che richiama i doveri che il magistrato è tenuto a rispettare nell’esercizio delle proprie funzioni) e, appunto, l’art. 3 bis[5].

Quest’ultima disposizione, secondo il chiaro tenore letterale, riconduce il concetto di “scarsa rilevanza” al “fatto” in tutte le sue componenti e, quindi, non solo all’evento, ma anche alla condotta e all’elemento soggettivo. Per alcuni Autori l’art. 3 bis, quando stabilisce che il “fatto” non deve essere di “scarsa rilevanza”, presuppone che l’illecito disciplinare sia connotato anche da un evento ulteriore, esterno, consistente nella lesione o messa in pericolo del prestigio dell’ordine giudiziario[6]. In altri termini, l’esimente di cui all’art. 3 bis presuppone che la fattispecie tipica si sia realizzata, ma che, per circostanze anche indipendenti dall’incolpato, sia giudicata di scarsa rilevanza[7]. Per questo motivo si ritiene che l’istituto abbia una natura di diritto sostanziale e non meramente processuale[8].

In tale contesto interpretativo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[9] hanno precisato che la norma in esame richiede una valutazione che spetta alla Sezione disciplinare del CSM svolgere in concreto ed ex post per verificare se l’illecito commesso abbia compromesso la lesione del bene giuridico tutelato, ovvero l’immagine pubblica del magistrato e, dunque, il prestigio dell’ordine giudiziario. In particolare - richiamando un consolidato orientamento affermatosi nella giurisprudenza di legittimità[10] - le Sezioni Unite hanno confermato che il giudice dovrà accertare se l’immagine del magistrato sia stata effettivamente compromessa dall’illecito e, qualora il bene giuridico tutelato dal legislatore in rapporto al singolo illecito disciplinare non coincida con quello tutelato dall’art. 3 bis, dovrà verificare innanzitutto l’effettiva esistenza della lesione arrecata a quel bene giuridico "specifico". Qualora – prosegue la richiamata sentenza – l’offesa non sia rilevante, occorrerà valutare se quello stesso fatto abbia determinato una lesione dell’immagine pubblica del magistrato.

In altri termini, la valutazione sulla "scarsa rilevanza del fatto", una volta accertata la realizzazione della fattispecie tipica, determinerà l’operatività dell’esimente solo ove la lesione del bene giuridico specifico non abbia compromesso il bene protetto dalla norma e l’immagine ed il prestigio del magistrato.

Il principio esposto, secondo cui i presupposti per ritenere applicabile l’esimente sussistono solo in caso di esito negativo di entrambe le verifiche, è stato recentemente confermato da una pronuncia delle Sezioni Unite[11], che ha ritenuto esente da censure la decisione della Sezione disciplinare[12], che, in relazione all’illecito di cui agli articoli 1 e 2, primo comma, lettera d) del d. lgs. n. 109 del 2006, aveva correttamente svolto la valutazione di scarsa rilevanza della violazione in relazione al bene leso, individuato nel pregiudizio dell’immagine del magistrato, ritenendolo come sussistente e grave, a prescindere dalla eventuale ininfluenza di tale comportamento sul buon andamento dell’Ufficio giudiziario (quale bene tutelato dall’art. 2, primo comma lett. d).

In sintonia con le regole elaborate dalle Sezioni Unite, la Sezione disciplinare del CSM ha precisato che il giudice deve valutare la sussistenza dell’esimente di cui all’art. 3 bis attraverso un giudizio bifasico: dapprima deve verificare se la lesione al bene giuridico tutelato dalla norma (ove sia diverso da quello dell’immagine del magistrato) sia stata grave e, solo se tale valutazione dia esito negativo, deve accertare se la condotta abbia compromesso l’ordine giudiziario[13].

Negli stessi termini, con una pronuncia molto recente[14] il Collegio ha ritenuto, svolgendo una valutazione complessiva sulla base dei dati acquisiti e delle circostanze oggettive inerenti la vicenda addebitata, che la condotta contestata all’incolpato fosse priva di sostanziale offensività, stante la scarsa rilevanza della stessa, essendo pervenuti ad un esito negativo entrambi i giudizi, l’uno attinente al bene specifico tutelato dall’art. 2 comma primo lett. d) e l’altro relativo all’immagine del magistrato. In conclusione, il Collegio ha ritenuto che fosse rimasta intatta l’immagine di elevata professionalità del magistrato e che la condotta contestata potesse ritenersi “priva di una sostanziale offensività, stante la scarsa rilevanza disciplinare della stessa”.

In un caso diverso[15], in cui sono stati contestati al magistrato due distinti illeciti disciplinari, la violazione del dovere di diligenza con conseguente ingiusto danno alle parti (art. 2 comma primo lett. a) e la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile (art. 2 comma primo lett. g), la Sezione disciplinare, valutando l’offensività della condotta con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, relative sia alla portata oggettiva del fatto sia all’elemento psicologico e alla personalità dell’incolpato, ha reputato che non si fosse verificata alcuna compromissione dell’immagine del magistrato e del prestigio nell’ambiente lavorativo.

Dunque, è oramai acquisito nell’elaborazione giurisprudenziale il principio secondo cui il giudice deve svolgere una duplice valutazione, in concreto ed ex post, per verificare se la condotta tenuta sia disciplinarmente irrilevante, e ciò si verifica quando - pur realizzandosi la fattispecie tipica - la condotta stessa risulti scarsamente apprezzabile[16]. Tuttavia, se la lesione del bene specifico tutelato dalla norma è grave, non vi sarà spazio per applicare l’art. 3 bis, dovendosi in quest’ultima ipotesi escludere l’operatività dell’esimente senza necessità di accertare l’effettiva compromissione dell’immagine del magistrato e dell’intero ordine giudiziario.

Tale accertamento costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare, quale giudice del merito, e resta sottratto al sindacato di legittimità, se non risulti viziato da un errore di impostazione giuridica o non si riveli insufficientemente o illogicamente motivato[17], anche se – hanno precisato le Sezioni Unite – un’esplicita motivazione può non risultare necessaria qualora lo stesso incolpato non l’abbia sollecitata prospettando la scarsa rilevanza dell’infrazione addebitata.

 

3. L’ambito applicativo dell’art. 3 bis.

L’art. 3 bis è stato inserito subito dopo l’art. 2, che elenca gli illeciti disciplinari commessi nell’esercizio delle funzioni, e dopo l’art. 3, che disciplina gli illeciti extra funzionali. Tale inserimento, prima della norma (art. 4) che prevede gli illeciti conseguenti a reato, ha indotto parte della dottrina a ritenere che queste ultime ipotesi non potessero essere mai qualificate come scarsamente rilevanti[18].

Per alcuni Autori, infatti, sarebbe contraddittorio prevedere una valutazione di scarsa rilevanza per fatti-reato commessi da un magistrato oltre che per le ragioni sistematiche anzidette, anche per la intrinseca gravità del fatto contestato[19], che non dovrebbe prevedere la possibilità di applicare l’esimente di cui all’art. 3 bis.

A ben vedere, comunque, tale conclusione avrebbe un ambito applicativo limitato ai delitti dolosi o preterintenzionali puniti con la reclusione (sola o congiunta alla pena pecuniaria), posto che per i delitti colposi o per i fatti puniti con la pena dell’arresto è lo stesso art. 4 che richiede la valutazione di “particolare gravità del fatto” e, dunque, presuppone un riscontro in ordine all’effettiva compromissione dell’immagine del magistrato. Inoltre, anche per gli illeciti conseguenti a reato, quale ipotesi residuale prevista dall’art. 4 comma prima lett. d)[20], è richiesto espressamente l’accertamento della idoneità a ledere l’immagine del magistrato.

Quanto alla casistica, numerose sono le pronunce della giurisprudenza di legittimità che hanno ritenuto applicabile l’art. 3 bis agli illeciti funzionali ed extrafunzionali.

Per esempio, è stata ipotizzata l’operatività dell’esimente in esame in relazione all’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), del d.lgs. 109 del 2006, norma che sanziona l’omessa comunicazione, da parte del magistrato, delle situazioni di incompatibilità previste dagli artt. 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12)[21].

Anche nell’ipotesi prevista dall’art. 2, comma 1 lett. q) (reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni) le Sezioni Unite[22], dopo aver chiarito che la durata di un anno nel ritardo del deposito dei provvedimenti giurisdizionali rende ingiustificabile la condotta dell’incolpato, se non siano allegate e accertate dalla Sezione disciplinare circostanze assolutamente eccezionali che giustifichino l’inottemperanza al precetto sui termini di deposito, hanno confermato la decisione del Collegio[23] che, sul presupposto che il bene giuridico tutelato dalla norma fosse l’immagine e l’onorabilità di tutta la magistratura e non del singolo magistrato, aveva escluso in concreto che i ritardi di notevole gravità ed elevata frequenza potessero essere considerati di scarsa rilevanza, evidenziando, al contempo, come una condotta di tal fatta concorresse a disegnare un’immagine di scarsa efficienza della magistratura.

Nella diversa ipotesi in cui era stata contestata ad un magistrato la violazione dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006[24], per avere egli partecipato in modo sistematico e continuativo, tramite lezioni retribuite, all’attività di una scuola privata per l’accesso alle professioni legali, le Sezioni Unite hanno escluso che potesse riconoscersi l’esimente di cui all’art. 3 bis, per il disvalore insito nel fatto che tale partecipazione non fosse neppure autorizzabile dal CSM, in quanto specificatamente vietata dalla normativa secondaria.

Quanto, invece, alle fattispecie elencate dall’art. 4, in un primo tempo la Sezione disciplinare ha ritenuto[25], nel caso di un sostituto procuratore in servizio presso la Procura di Trani incolpato, tra gli altri, per fatto costituente reato (art. 483 c.p.) ai sensi dell’art. 4 comma primo lett. a), che l’art. 3 bis non potesse trovare applicazione. In proposito è stato richiamato un precedente orientamento delle Sezioni Unite, secondo cui l’esimente “si riferisce alle condotte previste nelle disposizioni generali, sicchè non potrebbe trovare applicazione per l’ipotesi contemplata nell’art. 4[26], e si è precisato che la collocazione sistematica dell’art. 3 bis, dopo gli illeciti funzionali ed extra-funzionali e prima degli illeciti conseguenti a reato, va interpretata nel senso della sua riferibilità ai soli fatti previsti negli articoli 2 e 3, rispetto ai quali l’esimente si pone come una norma di chiusura.

Questo, d’altronde, era in passato l’unanime orientamento delle Sezioni Unite, che, per esempio, nella vicenda di un Procuratore della Repubblica, incolpato di aver interferito illegittimamente nell’attività di un Presidente di sezione del Consiglio di Stato in un procedimento concernente la legittimità della delibera del CSM relativa al conferimento di un incarico direttivo, hanno tratto lo spunto per escludere l’applicabilità dell’art. 3 bis in presenza di fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato[27].

Tale convincimento è stato, poi, ribaltato[28], in quanto, una volta entrato in vigore l’art. 131 bis cod. pen.[29] (introdotto dal d.lgs. del 16 marzo 2015, n. 28), le Sezioni Unite hanno ritenuto che non sussistessero più motivi per non consentire l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 3 bis anche nell’ipotesi in cui il fatto disciplinarmente rilevante sia costituito dalla commissione di un reato.

Così, i successivi interventi della giurisprudenza di legittimità[30] sono stati concordi nell’affermare il principio secondo cui la norma di cui all’art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006 “è applicabile, sia per il tenore letterale della disposizione, che per la sua collocazione sistematica, a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, anche quando la gravità del comportamento è elemento costitutivo del fatto tipico, e perfino quando integri la commissione di un reato”.

Alla luce di questo revirement delle Sezioni Unite, anche la Sezione disciplinare[31] ha mutato il proprio orientamento e così, per esempio, nella vicenda di un magistrato incolpato, ai sensi dell’art. 4, comma primo, lett. d), in relazione alla commissione del reato di cui agli artt. 81 e 650 c.p., il Collegio ha ritenuto di escludere l’applicazione dell’esimente della scarsa rilevanza del fatto ex art. 3 bis del d.lgs. 109/2006, pur considerando pacifica la sua astratta applicabilità nel caso dell’illecito di cui all’art. 4 comma primo lett. d), a causa della gravità della condotta accertata, vagliata anche in relazione alla personalità del magistrato (considerato poco propenso al rispetto di elementari regole deontologiche) ed alla presenza di diversi precedenti disciplinari.

Anche nel caso di un magistrato condannato in sede penale per guida in stato di ebbrezza, è stato ritenuto[32] che la condotta dell’incolpato non avesse leso il prestigio della propria immagine e che, pertanto, la medesima potesse ritenersi scriminata, anche in considerazione di ulteriori elementi fattuali, quali l’assenza di rilievo mediatico dell’episodio, l’eccellente profilo professionale del magistrato e del comportamento collaborativo tenuto dallo stesso in sede di controllo da parte dell’autorità.

 

4. L’impugnazione della sentenza di assoluzione per scarsa rilevanza del fatto.

Molto dibattuta nella giurisprudenza delle Sezioni Unite è stata la questione relativa alla possibilità per il magistrato di impugnare la sentenza della Sezione disciplinare che lo abbia assolto per scarsa rilevanza del fatto ai sensi dell’art. 3 bis.

Inizialmente le Sezioni Unite[33] ritenevano che non sussistesse l’interesse ad impugnare da parte del magistrato, cui fosse stata applicata l’esimente di cui all’art. 3 bis, in quanto l’operatività della norma – che, appunto, non prevede una causa di non punibilità – esclude in radice l’esistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie disciplinare.

A tale conclusione la Cassazione è pervenuta, ritenendo che l’interesse ad impugnare nel procedimento disciplinare non sia basato sul concetto di “soccombenza”, ma su una finalità utilitaristica di rimuovere una situazione di pregiudizio e di conseguire una decisione positiva.

In altri termini, l’impugnazione della sentenza che ha ritenuto il fatto addebitato al magistrato disciplinarmente irrilevante, deliberando la sua assoluzione, non determina alcun vantaggio e, pertanto, è inammissibile.

La chiave di lettura offerta dalla sentenza n. 19976 del 2014 delle sezioni unite trae spunto da un precedente arresto della Cassazione[34], che, nel ritenere inammissibile il ricorso per carenza di interesse, aveva sostenuto che l’eventuale accoglimento dell’impugnazione non avrebbe arrecato alcun vantaggio pratico al magistrato, in quanto l’assoluzione ai sensi dell’art. 3 bis presuppone che il fatto contestato "non costituisce illecito disciplinare" ed il magistrato, non risultando "soccombente", non potrebbe ricevere alcuna utilità pratica dall’accoglimento del ricorso.

Dopo pochi anni le Sezioni Unite[35], partendo dal presupposto secondo cui in materia di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, il regime delle impugnazioni, secondo il disposto dell’art. 24 del d.lgs. n. 109 del 2006, risulta caratterizzato dall’applicazione delle norme processuali penali quanto alla fase introduttiva del giudizio (restando, invece, il suo svolgimento regolato dalle norme civili), hanno affermato che, in analogia con il sistema processuale penale (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.), rispetto al quale si rivela inadeguato il concetto di soccombenza tipico del processo contenzioso, l’assoluzione del magistrato ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006 non è liberatoria. L’applicazione dell’esimente, infatti, presuppone l’accertamento che la fattispecie tipica dell’illecito, cioè la materialità del fatto storico tipizzato, si sia comunque realizzata e sia riferibile all’incolpato.

Così, anche recentemente, è stato ribadito, in continuità con l’orientamento inaugurato con la sentenza n. 29914 del 2017 e confermato con la successiva pronuncia del 18 gennaio 2019, n. 1416, che il magistrato, assolto per scarsa rilevanza del fatto, ha interesse ad impugnare la sentenza del Collegio al fine di ottenere una statuizione totalmente liberatoria di esclusione dell’addebito per insussistenza del fatto o perché il fatto non è a lui attribuibile[36].

 

5. L’archiviazione diretta del Procuratore Generale della Corte di Cassazione.

Come si è visto, l’esimente della particolare tenuità del fatto è stata introdotta dalla legge n. 269 del 2006 anche nella fase delle indagini pre-disciplinari.

Innovativo è il comma 5 bis dell’art. 16 del d.lgs. n. 109 del 2006 (la cui rubrica “Indagini nel procedimento disciplinare” è stata, non a caso, integrata con il riferimento al potere di archiviazione del Procuratore Generale[37]), che dispone - nella parte che qui interessa - che “Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione procede all'archiviazione se il fatto addebitato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell'articolo 3 bis”.

Si tratta del meccanismo di filtro che consente di esaminare preventivamente e di archiviare de plano gli esposti manifestamente infondati o che concernono questioni a prima vista non suscettibili di sanzione disciplinare, senza necessità di impegnare, per l’intero procedimento, la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura[38].

L’intento che il legislatore ha inteso realizzare con tale previsione è senza dubbio quello della “funzionalizzazione alle esigenze deflative della giustizia disciplinare”[39] e dell’“attenuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale”[40].

Per evitare, al contempo, che il filtro potesse tradursi in affrettate archiviazioni è stato previsto che il provvedimento della Procura Generale sia comunicato al Ministro della giustizia, il quale può formulare, entro termini ben precisi e previa trasmissione degli atti, l’incolpazione e chiedere al Presidente della Sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale.

In tale contesto sono state elaborate le Linee Guida[41], poi integrate da un successivo provvedimento del 4 settembre 2020 del Procuratore Generale[42], con cui sono stati fissati i criteri da seguire nelle valutazioni sull’esercizio dell’azione disciplinare al fine di procedere alla delibazione delle segnalazioni che giungono all’attenzione della Procura Generale e alla selezione delle condotte di rilevanza disciplinare rispetto alle condotte aventi un rilievo etico o deontologico. La finalità che ha suggerito l’adozione di questi provvedimenti è stata quella di stabilire regole uniformi entro cui operare le scelte selettive dei fatti rilevanti o meno e di fornire pubblica contezza di tali scelte.

In particolare, a fronte di alcune condotte per le quali è stata accertata l’assenza di elementi costitutivi di un illecito disciplinare, per altre, soprattutto rientranti nell’ipotesi tipica della “condotta abitualmente o gravemente scorretta” ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. d) del d.lgs. n. 109 del 2006, è stato precisato che si può ricorrere alla fattispecie di cui all’art. 3 bis anche nella fase pre-disciplinare qualora, con valutazione prognostica molto rigorosa, si ritenga che i presupposti della particolare tenuità del fatto emergono con chiara evidenza[43]. Altrimenti, dovrà essere esercitata l’azione disciplinare per verificare, all’esito delle indagini e dell’interrogatorio del magistrato, se sussistano gli elementi dell’illecito ed eventualmente le condizioni per il riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 3 bis.

In merito alla natura del potere di archiviazione del P.G. non si è formato un convincimento univoco nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo un primo orientamento[44] l’archiviazione di cui all’art. 16 comma 5 bis del d.lgs. 109 del 2006 non sarebbe assimilabile ad alcun modello giurisdizionale, ma avrebbe carattere meramente amministrativo, con la conseguenza che, non assumendo il carattere di definitività tipico delle pronunce giurisdizionali, potrebbe essere revocata anche per effetto di una nuova e diversa valutazione delle medesime circostanze che precedentemente avevano indotto a ritenere esistenti i presupposti previsti dall’art. 3 bis, a condizione che la revoca sia motivata per esplicitare le ragioni che sorreggono la nuova determinazione amministrativa.

Questa lettura interpretativa è stata condivisa dalla Sezione disciplinare del CSM, che[45] ha ribadito che l’archiviazione del P.G. è un atto amministrativo e non giurisdizionale, sicché è ben possibile intraprendere l’azione disciplinare, dopo aver disposto l’archiviazione, con il solo vincolo di un’adeguata motivazione.

Con un successivo arresto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[46] hanno ricostruito la fase delle indagini svolte dalla Procura Generale non come un procedimento amministrativo, ma come “un procedimento giurisdizionalizzato in ragione della speciale tutela di rilievo costituzionale riservata alla posizione del magistrato incolpato”. Dunque, anche in considerazione del fatto che l’art. 16 comma 5 bis nulla preveda in merito, il decreto di archiviazione, non opposto dal Ministro della Giustizia, determina una preclusione in ordine al fatto addebitato che non può essere messa in discussione. Diversamente, qualora emergessero elementi nuovi inerenti quel medesimo fatto, potrebbero essere riaperte le indagini, purché non sia già decorso il termine massimo previsto per questa fase.

Nei medesimi termini si orientano anche alcuni Autori[47], che circoscrivono l’ambito applicativo della richiesta di proscioglimento prevista dall’art. 16 comma 5 bis all’ipotesi in cui il fatto, pur nella sua rilevanza oggettivamente disciplinare, non possa essere contestato al magistrato per assenza dell’elemento soggettivo o per la presenza di cause di forza maggiore.

 

6. Conclusioni.

In ragione delle argomentazioni svolte può, dunque, affermarsi che l’esimente prevista dall’art. 3 bis del Codice disciplinare sia applicabile a tutti gli illeciti, funzionali o extrafunzionali, anche se conseguenti a reato.

La valutazione della sussistenza della causa di esclusione dell’offensività della condotta deve essere articolata in maniera globale, e non parcellizzata, tesa a riscontrare se, nel caso concreto, l’immagine del magistrato sia stata effettivamente compromessa a seguito dell’adozione di comportamenti integranti un illecito disciplinare.

A tali principi si ispira non solo la Procura Generale presso la Corte di Cassazione, nell’esercizio del suo potere di archiviazione previsto dall’art. 16 comma 5 bis del d.lgs. 109 del 2006[48], ma anche il giudice disciplinare, che deve valutare la sussistenza della “scarsa rilevanza”, in concreto ed ex post, avendo riguardo agli effetti della condotta ed alla sua idoneità a recare un vulnus all’immagine pubblica del magistrato.

E così, nella prassi applicativa, numerose sono le pronunce con le quali è stata valutata l’assenza di sostanziale offensività della condotta dando risalto alle circostanze più idonee, nel caso concreto, a motivare un giudizio di assoluzione ai sensi dell’art. 3 bis. Nell’esercizio della discrezionalità valutativa del giudice disciplinare la Sezione ha, infatti, individuato alcuni “canoni di applicazione”, quali l’inoffensività del comportamento e dei suoi risultati, l’assenza di lesione al prestigio della magistratura e del magistrato, l’episodicità del fatto e la positiva valutazione del magistrato e della sua carriera, con la precisazione che quest’ultimo dato va sempre inteso come motivo concorrente e non esclusivo a sostegno della scarsa rilevanza del fatto[49].

Nel caso, per esempio, di un magistrato incolpato dell’illecito del reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, la Sezione disciplinare ha tenuto conto dell’ingente carico di lavoro, dell’avvenuto rispetto del piano di rientro, della diligenza e dell’alto livello di laboriosità e produttività espressi dal magistrato, unitamente all’ottimo livello qualitativo dei provvedimenti adottati[50]. In un caso analogo, in cui il magistrato non aveva rispettato il piano di rientro, si è data rilevanza anche alle criticità presenti nell’ufficio giudiziario di appartenenza dell’incolpato[51].

In una vicenda di violazione dei doveri di diligenza e di correttezza per aver determinato l’illecito protrarsi della misura coercitiva in carcere imposta ad un imputato di un procedimento penale, il giudice disciplinare ha posto in risalto l’unicità dell’episodio verificatosi nella carriera del magistrato e la mancata risonanza dello stesso nell’ambiente giudiziario, pervenendo ad un giudizio di scarsa rilevanza del fatto[52].

Di recente, è stato ritenuto che la condotta ascritta ad un magistrato, consistita nell’aver denigrato il magistrato precedentemente titolare del ruolo, poi assegnato all’incolpato, e nell’aver evidenziato le criticità nella gestione del ruolo con toni ostili e risentiti, fosse risultata priva di quel livello di gravità necessario per ritenere che la vicenda avesse leso l’immagine esterna del magistrato ed il prestigio dell’ordine giudiziario, tenuto conto, tra l’altro, della situazione personale del magistrato, della difficile situazione dell’ufficio e della riferibilità della condotta a due soli episodi[53].

In altre ipotesi il Collegio ha dato rilievo ai precedenti disciplinari ed alla personalità del magistrato[54], come, per esempio, nella vicenda del magistrato cui era stata ascritta la condotta di non aver osservato un provvedimento legalmente dato dal Procuratore della Repubblica per ragioni di sicurezza e di ordine pubblico[55]. Nel caso del magistrato incolpato ai sensi dell’art. 4 comma primo lett. d) per aver aggredito, sotto gli effetti dell’alcol, la propria convivente, sono stati ritenuti rilevanti, ai fini dell’esclusione dell’art. 3 bis, i caratteri della condotta considerata astrattamente idonea a ledere l’immagine del magistrato, in quanto sintomatica di scarso equilibrio personale ed autocontrollo, connotati che devono contraddistinguere – come si legge nella sentenza della Sezione disciplinare – la figura del magistrato anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni[56].

Non è dubitabile, pertanto, che il giudice disciplinare, quale giudice del fatto, dovrà elaborare, per andare esente da censure in sede di legittimità, un tessuto motivazionale completo e privo di elementi di illogicità e di contraddittorietà.

Le Sezioni Unite hanno recentemente ricordato che il procedimento disciplinare a carico di magistrati ha natura giurisdizionale, con la conseguenza che il provvedimento decisorio che lo definisce deve avere un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina di tutti gli istituti di diritto sostanziale o processuale acquisiti nel corso del giudizio[57]

Negli stessi termini, sempre le Sezioni Unite, in un episodio relativo ad un magistrato incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, hanno ripetuto che la condotta, unitamente a tutti gli elementi del caso concreto, costituisce oggetto di una valutazione riservata alla Sezione disciplinare del CSM, il cui apprezzamento, in quanto afferente al merito, è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici[58].



[1] Il progetto di legge n. 635 è intervenuto apportando essenzialmente modifiche a tre dei decreti legislativi (e precisamente i decreti nn. 106, 109 e 160 del 2006) adottati in attuazione della delega contenuta nella legge del 25 luglio 2005 n. 150, che ha innovato e modificato profondamente la disciplina dell’Ordinamento Giudiziario di cui al regio decreto del 30 gennaio 1941, n. 12.

[2] La prima esperienza applicativa delle disposizioni relative agli illeciti disciplinari dei magistrati ha tenuto in considerazione quanto riportato – così si legge nei lavori preparatori alla legge n. 269/2006 (Atti Camera dei Deputati n. 1780) – sia dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione sia dal Consiglio Superiore della magistratura circa il pericolo di un completo intasamento dell’ufficio di indagine del titolare dell’azione disciplinare e, successivamente, della sezione disciplinare del CSM, in ragione sia dell’assenza di filtri sia dell’obbligatorietà da parte dei Dirigenti degli uffici di inoltrare ai titolari dell’azione disciplinare qualsiasi istanza, rapporto, denunzia o esposto nei confronti di un magistrato.

[3] Così si legge in “L’azione disciplinare obbligatoria del Procuratore Generale” di R. Fuzio in Cass. Pen., fasc. 12, 2008, pag. 4854.

[4] La norma prevede, inoltre, che il potere di archiviazione diretta sia esercitabile se il fatto non forma oggetto di denuncia circostanziata; se la condotta non rientra in nessuna delle ipotesi di illecito disciplinare di cui agli articoli 2, 3 e 4 del d.lgs. 109 del 2006; se, dalle indagini, il fatto risulta inesistente o non commesso.

[5] In questi termini si esprime S.F. Vitello in “Il quadro degli illeciti disciplinari tra tipizzazione e assenza di clausole di chiusura”, Il procedimento disciplinare dei magistrati, Quaderno 8 della SSM, pag. 63 e ss.

[6] F. Sorrentino, “Prime osservazioni sulla nuova disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati” in Questione Giustizia, I, 2007, pag. 54 e ss..

[7] D. Cavallini, “Un bilancio sull’applicazione del codice disciplinare dei magistrati: le novità in materia di ritardi e ragionevole durata del processo”, in Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, 2015, fasc. 4, pag. 1443.

[8] Così A. Corbo, “Verso la scarsa rilevanza del fatto nel diritto penale: le indicazioni provenienti dall’ordinamento della responsabilità disciplinare dei magistrati” in Cass. Pen., n. 11, 2010, pag. 4061 e ss.. A. Caputo in “Gli illeciti disciplinari”, 2009, ritiene che l’istituto previsto dall’art. 3 bis sia qualificabile come causa di non punibilità disciplinare.

[9] Cass. SS.UU. n. 31058 del 5.11.2019 in ItalgiureWeb, che ha cassato con rinvio la sentenza della Sezione disciplinare del CSM n. 47 del 20.5.2019, che aveva condannato alla sanzione della censura - escludendo l'applicabilità dell'esimente di cui all’art. 3 bis senza esprimere il necessario giudizio - un sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del Procuratore facente funzioni di Napoli, avendo rilasciato dichiarazioni ad un giornalista in contrasto con quanto dichiarato alla stampa dal Procuratore.

[10] Cass. SS.UU. n. 6468 del 31 marzo 2015 in ItalgiureWeb; Cass. SS.U.U. n. 13911 del 5 giugno 2017 in ItalgiureWeb; Cass. SS.U.U. n. 22577 del 10 settembre 2019 in ItalgiureWeb.

[11] Cass. SS.UU. n. 11305 del 28 aprile 2023 in ItalgiureWeb.

[12] Sezione disciplinare del CSM, sent. n. 79 del 20.5.2022, che aveva condannato alla sanzione della censura un magistrato incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti di alcuni magistrati che avevano presentato domanda per il conferimento dell'ufficio semidirettivo di presidente di sezione di quel Tribunale, al quale egli stesso concorreva, denigrando reiteratamente questi ultimi al cospetto di un componente del Consiglio Superiore della magistratura che avrebbe dovuto operare la selezione dei candidati all’incarico semidirettivo.

[13] Così si è espresso il Collegio con la sentenza n. 92 del 18.6.2020, con cui è stato assolto, per scarsa rilevanza del fatto, un sostituto procuratore, incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del Procuratore della Repubblica.

[14] Si tratta della sentenza n. 41 del 3 maggio 2023, con la quale la Sezione disciplinare, nel decidere il giudizio rescissorio derivato dall’annullamento della Suprema Corte in sede rescidente della precedente sentenza del Collegio, ha assolto per scarsa rilevanza del fatto un Presidente di Tribunale, incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto, consistito nell’aver interferito nelle valutazioni del CSM per il conferimento di incarichi semidirettivi.

[15] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 34 del 28 marzo 2023.

[16] Così ancora Cass. SS.UU. n. 27434 del 20 novembre 2017 in ItalgiureWeb; Cass. SS.UU. n. 29823 del 22 settembre 2020 in ItalgiureWeb.

[17] Cass. SS.UU. n. 7934 del 29 marzo 2013 in ItalgiureWeb; Cass. SS.UU. n. 27434/2017 cit.; Cass. SS.UU. n. 15048 del 9 aprile 2019 in ItalgiureWeb; Cass. SS.UU. n. 29823/2020 cit.

[18] Così L. Ciampoli, “Magistrati (illecito disciplinare)”, pag. 653 e ss..

[19] F. Sorrentino, “Prime osservazioni sulla nuova disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati” cit.; A. Caputo, “Gli illeciti disciplinari” cit..

[20] La norma letteralmente definisce illecito disciplinare “qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita”.

[21] Cass. SS.UU. n. 11343 del 13 maggio 2013 in ItalgiureWeb, che hanno confermato la sentenza della Sezione disciplinare (n. 138 del 30 ottobre 2012) di assoluzione di un magistrato di Tribunale, che aveva omesso di reiterare la comunicazione relativa all’esistenza di una situazione di incompatibilità con il proprio figlio, iscritto all’albo degli avvocati nel medesimo distretto presso il quale l’incolpato aveva assunto un incarico semidirettivo.

[22] Cass. SS.UU. n. 648 del 16 gennaio 2015 in ItalgiureWeb.

[23] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 84 del 20 maggio 2014, che ha irrogato la sanzione della censura ad un giudice di Tribunale, il quale, nell’arco temporale di circa sei anni, aveva reiteratamente ed immotivatamente ritardato il deposito di numerose sentenze. 

[24] Cass. SS.UU. n. 11372 del 31 maggio 2016 in ItalgiureWeb, che hanno confermato la sentenza della Sezione disciplinare n. 87 del 28 luglio 2015, con la quale era stata irrogata al magistrato la sanzione della censura.

[25] Sezione disciplinare CSM, sentenza n. 134 del 19 dicembre 2019, con la quale è stata esclusa l’applicazione dell’art. 3 bis per la gravità dei fatti contestati al magistrato, al quale è stata conseguentemente applicata la sanzione della rimozione.

[26] Cass. SS.UU. n. 16541 del 18 giugno 2008 in ItalgiureWeb.

[27] Cass. SS.UU. n. 14889 del 21 giugno 2010 in ItalgiureWeb, che hanno confermato la sentenza della Sezione disciplinare che aveva assolto il magistrato per scarsa rilevanza del fatto.

[28] Cass. SS.UU. n. 18987 del 31 luglio 2017 in ItalgiureWeb.

[29] L’art. 131 bis cod. pen., sotto la rubrica "Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto", dispone al primo comma che "Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale", prevedendo poi nei commi successivi ipotesi nelle quali non può essere ravvisata la particolare tenuità del fatto e specificando cosa sia, ai fini del primo comma, il comportamento abituale.

[30] Così Cass. SS.UU. n. 22577 del 10 settembre 2019 in ItalgiureWeb; Cass. SS.UU. n. 31058 del 27 novembre 2019 in ItalgiureWeb; Cass. SS.UU. n. 9712 del 12 aprile 2023 in ItalgiureWeb.

[31] Sezione disciplinare CSM, sentenza n. 116 del 24 luglio 2020, con la quale è stata applicata la sanzione della censura al magistrato incolpato di non aver ottemperato a quanto richiesto dai pubblici ufficiali, addetti al controllo al varco di ingresso al pubblico del Tribunale, di accedere transitando attraverso le apposite apparecchiature metal detector su disposizione del Procuratore della Repubblica.

[32] Sezione disciplinare CSM, ordinanza n. 87 del 18 luglio 2019 in ItalgiureWeb.

[33] Cass. SS.UU. n. 19976 del 23 settembre 2014 in ItalgiureWeb, nella vicenda di un Consigliere di Corte d’Appello incolpato per omessa astensione dalla trattazione di un processo celebrato a carico, tra gli altri, di un soggetto, che aveva già giudicato in altro processo, ed assolto ai sensi dell’art. 3 bis. Il magistrato, nella specifica vicenda, aveva impugnato la sentenza della Sezione disciplinare deducendo la mancanza dell’elemento soggettivo del dolo dell’azione.

[34] Cass. SS.UU. n. 14889 del 21 giugno 2010 cit..

[35] Cass. SS.UU. n. 29914 del 13 dicembre 2017, che hanno ritenuto ammissibile il ricorso di un magistrato, Presidente di sezione, incolpato di aver commesso una grave inosservanza delle disposizioni relative alle assegnazioni degli affari giudiziari ai sensi dell’art. 2 comma prima lett. n) del d.lgs. n. 109 ed assolto dalla Sezione disciplinare per scarsa rilevanza del fatto.

[36] Cass. SS.UU. n. 1163 del 16 gennaio 2023 in ItalgiureWeb, nella vicenda di un magistrato, incolpato dell’illecito di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, per aver violato il dovere di correttezza, ravvisabile nelle conversazioni scambiate, tramite messaggistica telefonica, con un componente del CSM in merito ad alcune nomine, finalizzate a privilegiare gli interessi del proprio gruppo associativo.

[37] S. Erbani, “Gli illeciti disciplinari dei magistrati” in Ordinamento Giudiziario: organizzazione e profili processuali, AA.VV., Giuffrè Editore, pag. 435 e ss.

[38] Per un richiamo ai dati statistici relativi all’attività della Procura Generale si veda C. Castelli, “Il sistema disciplinare dei magistrati: una cosa seria” in Costituzionalismo.it, Ed. Scientifica , fasc. I, 2022.

[39] Così A. Caputo, in “Gli illeciti disciplinari” cit.

[40]L’azione disciplinare obbligatoria del Procuratore Generale” di R. Fuzio cit.

[41] La necessità di fissare delle regole uniformi di valutazione è sorta a seguito della trasmissione alla Procura Generale da parte di una Procura della Repubblica del materiale relativo alla nota vicenda delle dimissioni di alcuni consiglieri del CSM nel 2019, ma riveste sicuramente una portata più ampia. Le Linee Guida adottate dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione in data 22 giugno 2020 sono rinvenibili sul sito della Procura Generale (www.procuracassazione.it).

[42] G. Salvi, “La giustizia disciplinare dei magistrati” in Demarcazione illecito disciplinare e tipologie di rilievo etico, 2022.

[43] Si veda L. Salvato, “Ambiguità ed equivoci in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati” in Cass. Pen. 2019, fasc. 1, pag. 32, il quale sottolinea che il Procuratore Generale, nei casi in cui l’archiviazione è disposta facendo applicazione dell’art. 3 bis, si avvicina “non poco ad un vero e proprio organo giudicante”.

[44] Cass, SS.UU. n. 26809 del 19.12.2009 in ItalgiureWeb.

[45] CSM, sez. discipl., ord. del 24.5.2010, n. 87, che ha accolto la richiesta di non luogo a procedere formulata dalla Procura Generale nei confronti di un magistrato di Tribunale.

[46] Cass, SS.UU. n. 14664 del 5.7.2011 in ItalgiureWeb, che ha cassato senza rinvio la sentenza della Sezione disciplinare n. 148 del 29 luglio 2010. Per l’esaurimento delle valutazioni di competenza della Procura Generale, disponendo l’archiviazione, si è pronunciata la Sezione disciplinare (sentenza del 6 febbraio 2009, n. 54) nel caso di un magistrato incolpato di essersi sottratto all’obbligo di partecipare ai lavori della Commissione per l’espletamento dell’esame di abilitazione alla professione forense.

[47] E. Di Dedda, “La giustizia disciplinare” in “Guida alla riforma dell’ordinamento giudiziario”, AA.VV. Giuffrè Editore, 2007, pagg. 335 e ss.

[48] Di ciò ha dato atto il Procuratore Generale nel suo intervento in sede di Assemblea generale per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, con il quale è stato precisato che l’Ufficio svolge una “duplice valutazione: la prima, volta ad accertare gli elementi costitutivi della fattispecie e la gravità del fatto con riguardo al bene specifico tutelato dalla stessa; la seconda, volta alla verifica, in concreto, della ricorrenza della lesione dell’immagine” (v. sul sito web della Corte di Cassazione).

[49] In questi termini si è pronunciato il Collegio, con la recente sentenza n. 30 del 16 febbraio 2023, con la quale sono stati assolti ai sensi dell’art. 3 bis due magistrati sul presupposto che la condotta fosse risultata del tutto inoffensiva ed episodica, e come tale priva di quel livello di gravità necessario per ritenere che la vicenda avesse leso l’immagine esterna del magistrato ed il prestigio dell’ordine giudiziario, avendo peraltro la Sezione disciplinare accertato che l’episodio non avesse avuto alcuna eco nell’ambiente giudiziario e che fosse dunque maturata in assenza di strepitus fori.

[50] Sezione disciplinare del CSM, ordinanza n. 24 del 9 febbraio 2022.

[51] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 24 del 10 marzo 2021, che ha ritenuto di applicare ad un magistrato l’esimente di cui all’art. 3 bis alla condotta ascritta.

[52] Sezione disciplinare del CSM, ordinanza n. 36 del 22 febbraio 2022, con la quale un magistrato è stato assolto per scarsa rilevanza del fatto.

[53] Così la Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 52 del 21 marzo 2023, ha assolto per scarsa rilevanza del fatto il magistrato incolpato di aver tenuto un comportamento gravemente scorretto ai sensi dell’art. 2 comma prima lett. d) del d.lgs. 109 del 2006.

[54] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 102 del 28 luglio 2022, con la quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di mesi tre ad un magistrato ritenuto responsabile di aver tenuto comportamenti gravemente scorretti nei confronti dei colleghi dell’Ufficio di appartenenza, in quanto dimostrativi di un profilo professionale incline ad atteggiamenti privi di autocontrollo e di equilibrio.

[55] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 116 del 24 luglio 2020 citata in nota 31.

[56] Sezione disciplinare del CSM, sentenza n. 39 del 2 marzo 2020.

[57] Cass. SS.UU. n. 7768 del 17 marzo 2023 in ItalgiureWeb. Con questa decisione le Sezioni Unite hanno cassato con rinvio la sentenza n. 31 del 16 febbraio 2022, con la quale la Sezione disciplinare aveva ritenuto provati episodi di corruzione a carico di un magistrato irrogandogli la sanzione della rimozione, senza confrontarsi, nella motivazione, con le deduzioni difensive dell’incolpato, che in sede penale era stato assolto dalle imputazioni relative, in parte, agli stessi fatti contestati in sede disciplinare.

[58] Cass. SS.UU. n. 11197 del 27 aprile 2023 in ItalgiureWeb, che hanno confermato la sentenza con cui la Sezione disciplinare del CSM aveva condannato alla perdita di anzianità di tre mesi un magistrato per una serie di comportamenti scorretti dallo stesso tenuti: aver censurato con toni sarcastici e irriguardosi, in una "chat" di whatsapp", un provvedimento collegiale adottato da colleghi in servizio presso il medesimo ufficio giudiziario; aver pubblicamente denigrato, nel corso di un’udienza, l’operato dei magistrati del pubblico ministero; avere espresso aspre critiche nei confronti di un altro collega e del Presidente del Tribunale, in seno alla motivazione di un provvedimento giurisdizionale.

 

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