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Magistratura Indipendente

PENALE  

L’art. 570-bis c.p.

  Penale 
 venerdì, 11 gennaio 2019

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Quale tutela allo stato per i figli di genitori non coniugati a fronte dell’omesso versamento dell’assegno di mantenimento

di FRANCESCO ALVINO, sostituto procuratore della Repubblica di Vercelli

 
 

 

1. - Prima dell’art. 570-bis c.p.: il quadro normativo e gli assetti giurisprudenziali

Sino all’attuazione del principio della c.d. riserva di codice, ad opera del D. L.vo. 1 marzo 2018 n. 21 -in vigore dal 6 aprile 2018-[1], il rilievo penale della condotta del genitore già convivente more uxorio che non versasse in favore della prole nata al di fuori del matrimonio l’assegno di mantenimento era il frutto di una elaborazione giurisprudenziale, in via di definitiva stabilizzazione, che, alle prese con gli interventi normativi che avevano interessato la materia, era  infine pervenuta, nelle più recenti affermazioni, a parificare la condizione del genitore già coniugato a quella del genitore non coniugato, ravvisando il reato di omesso versamento dell'assegno periodico di cui all'art. 12-sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3 L. 8 febbraio 2006 n. 54), anche in ipotesi di violazione degli obblighi di natura economica nei confronti della prole naturale successivamente alla cessazione del rapporto di convivenza non coniugale[2].

In assenza di norme di diretta incriminazione, la conclusione cui da ultimo era giunta la giurisprudenza di legittimità muoveva dal combinato disposto  dell’art. 12-sexies L. 898 cit. [che in tema di divorzio disponeva che “al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'articolo 570 del codice penale”] e dell’art. 3 L. 54 cit., che, dettando “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, espressamente prevedeva che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898”: a fronte di una disciplina apparentemente dedicata alla criminalizzazione delle condotte inadempienti rispetto al versamento dell’assegno in favore della prole da parte del  solo genitore separato o divorziato, l’estensione della fattispecie incriminatrice alle condotte inadempienti poste in essere dal genitore convivente more uxorio traeva argomento, nel giudizio della Corte di legittimità, dal disposto di cui all’art. 4 L. 54 cit., che, nel dichiarare applicabili le disposizioni della L. 54 cit. anche “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, richiamava necessariamente anche il disposto di cui all’art. 3 L. 54 cit. ampliandone il campo di operatività, includendovi le condotte inosservanti degli obblighi economici nei confronti della prole naturale. L’argomento letterale[3], nell’interpretazione della Corte, si univa a quello sistematico, che, nell’economia della decisione, assumeva una innegabile -e peraltro espressa- consistenza: differenziare il regime di tutela penale, quanto alle condotte agite nei confronti della prole, in ragione della preesistenza di un vincolo coniugale, avrebbe comportato una ingiustificata disparità trattamentale, dissonante rispetto alla “tendenza perequativa che ha connotato i più recenti sviluppi nell’ambito civile[4] e perciò distonica rispetto a principi ormai sedimentati nel comune sentire e di assai dubbia conformità sul piano della legittimità costituzionale”, risolvendosi, di conseguenza, in una interpretazione antisistematica, non imposta e anzi contraddetta -come ricordato- dal dato letterale. La disparità che l’avversato orientamento sembrava avallare discendeva, in particolare, dal vuoto di tutela che avrebbe subito la prole generata al di fuori del vincolo matrimoniale, in soccorso della quale, in ipotesi di omessa prestazione dei mezzi economici da parte del genitore, sarebbe intervenuta la sola norma di incriminazione posta dall’art. 570, comma secondo, n. 2, c.p., disposizione, come noto, diretta ad incriminare le sole condotte irrispettose degli obblighi di natura economica[5], che si traducano nel venir meno dei mezzi di sussistenza alla prole di età minore[6], e non anche le condotte inadempienti di minore offensività.

 

2. - L’introduzione dell’art. 570-bis c.p.

Nell’esercizio della delega di cui alla L. 23 giugno 2017, n. 103 (cd. legge Orlando), ai fini dell’ “attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena” (art. 1, comma 85, lett. q., L. 103 cit.), entrambe le disposizioni sulle quali la giurisprudenza più recente aveva edificato il principio della perequazione penale -quanto alla incriminabilità degli obblighi economici inadempiuti nei confronti della prole- sono state abrogate. Il D. L.vo 1 marzo 2018, n. 21, invero, ha abrogato sia l’art. 12-sexies l. n. 898/1970, sia l’art. 3 l. n. 54/2006 (art. 7, comma 1, lett. b) e o), D. L.vo n. 21/2018); entrambe le disposizioni sono confluite nella norma, di nuova introduzione, di cui all’art. 570-bis c.p., ai sensi del quale “le pene previste dall’art. 570 c.p. si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”. L’abrogazione delle norme di richiamo e l’introduzione di una norma che, nell’illustrazione dell’autore della condotta, si riferisce espressamente al solo coniuge -e non anche al genitore non coniugato-, rendono obiettivamente problematica la sopravvivenza dell’orientamento interpretativo affacciatosi nella più recente giurisprudenza di legittimità, di cui sembrano confutare alla radice le basi argomentative: la delimitazione al solo coniuge -e non anche al genitore non coniugato- del possibile autore della condotta criminosa appare argomento letterale difficilmente superabile, se non al prezzo di una interpretazione creativa di dubbia praticabilità; del pari, la soppressione dell’art. 3 l. n. 54/2006, che, come ricordato, incriminava l’omessa corresponsione dell’assegno da parte del genitore separato, sembra mutilare il richiamo operato dal successivo art. 4, che, nell’estendere la disciplina recata dalla stessa l. n. 54 ai figli di genitori non coniugati, nell’attuale versione del testo legislativo non consente, in apparenza, alcuna osmosi della disciplina regolativa degli aspetti penali della separazione, espunta dalla sede richiamata.

Nell’inedita cornice legislativa, appare utile, ad avviso di chi scrive, saggiare la tenuta e la plausibilità di tale opzione interpretativa[7] anche alla luce della natura della delega legislativa, la cui attuazione ha infranto il quadro normativo su cui la giurisprudenza aveva eretto il principio di sostanziale parificazione, ai fini penali, delle condotte inottemperanti agli obblighi di natura economica nei confronti della prole, anche se nata fuori dal matrimonio.

La delega attuata con il D. L.vo 21/2018[8] appariva finalizzata -come del resto fatto palese dalla collocazione tassonomica della delega, che il legislatore delegante in effetti confinava alla materia penitenziaria in ragione del nesso ravvisabile tra la più agevole accessibilità dei precetti, conseguente al riordino delle disposizioni incriminatrici disseminate lungo gli assi, spesso impervi, della legislazione speciale, e “l’effettività della funzione rieducativa della pena” (art. 1, comma 85, lett. q., L. 103 cit.)[9]- ad una mera ricatalogazione delle fattispecie incriminatrici, attraverso “l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione […]” (art. 1, comma 85, lett. q., L. 103 cit.); alla delega non si accompagnava pertanto il conferimento di poteri dispositivi al legislatore delegato, cui era conseguentemente precluso ogni intervento che rimodulasse l’area della punibilità tracciata dalle disposizioni oggetto di riordino: in tal senso, peraltro, la stessa Relazione illustrativa al D. L.vo 21/2018, nel ribadire la natura eminentemente formale e compilativa della codificazione, segnalava come il prodotto legislativo non avesse interessato “le scelte incriminatrici già operate dal Legislatore[10]. Del resto, l’assenza di criteri direttivi, da parte del legislatore delegante, che orientassero l’esercizio dell’azione legislativa delegata nella rideterminazione dei contenuti precettivi della norme interessate dalla riclassificazione, è circostanza che convince definitivamente della neutralità dell’opera codificativa demandata al legislatore delegato.

La natura e la finalità della delega legislativa non possono evidentemente non orientare l’interprete; nel rispetto del criterio interpretativo della ratio legis e in accordo ai limiti funzionali ed operativi imposti al legislatore delegato, l’estromissione della norma incriminatrice -l’art. 3 l. n. 54/2006- dal contesto regolativo di origine non sembra manifestare reale valore normativo, in quanto inidonea, in ragione della -pressoché letterale- riproposizione della fattispecie all’interno del codice, a produrre conseguenze interpretativamente rilevanti. Il ricollocamento della norma, in altri termini, non riflette -neppure inconsapevolmente- la riconsiderazione, da parte del legislatore, degli equilibri impliciti alle preesistenti scelte di penalizzazione, ma persegue, meno ambiziosamente, una organicità che la dispersione delle norme incriminatrici certamente non favoriva. In tale contesto, un’interpretazione che riconoscesse all’abrogazione dell’art. 3 l. n. 54/2006 un valore non meramente ordinativo ma vi leggesse l’estinzione dell’incriminazione delle condotte genitoriali inadempienti rispetto agli obblighi economici nei confronti della prole naturale -quasi che la perequazione dei presidi penali in favore della prole dipendesse dal dato della coesistenza delle due disposizioni all’interno del medesimo plesso normativo e non esprimesse, piuttosto, una scelta di sistema, irretrattabile da parte di una codificazione meramente formale- colliderebbe frontalmente con l’espressa intentio legis, e solleverebbe seri dubbi di legittimità costituzionale -in disparte il sindacato in merito alla discriminatorietà dei rispettivi trattamenti- quanto all’eccesso -o, più propriamente alla carenza- di delega, da parte di un legislatore che ha tradito il mandato conferitogli[11].

Le premesse considerazioni sembrano contrastare efficacemente i due principali argomenti in linea teorica ostativi all’affermazione della perdurante validità della parificazione delle tutele penale invocabili a favore della prole cui il genitore non corrisponda quanto dovuto. In questa prospettiva, il riferimento che l’art. 570-bis c.p. opera al “coniuge”, nella descrizione dell’autore del reato -secondo il modello di incriminazione tipico dei c.d. reati propri-, altro non riflette se non il doveroso ossequio, da parte del legislatore delegato, alle direttive impartite in sede di delega: come ricordato, la ricollocazione delle norme incriminatrici all’interno del codice non poteva alterarne i contenuti, conseguentemente, il testo dell’art. 570-bis c.p. non poteva non ripetere pedissequamente -al netto dei correttivi dovuti alla confluenza entro una medesima disposizione di due fattispecie di incriminazione, quali, in origine gli artt. 12-sexies L. 898/70 e 3 L. 54/2006- il tenore delle norme abrogate, che, nella caratterizzazione dell’agente, si riferivano esclusivamente al coniuge. Del pari, la soppressione dell’art. 3 L. 54/2006 è il naturale riflesso della trasposizione della norma all’interno del codice e non anche il portato di una rivisitazione della disciplina, interdetta al legislatore delegato; il legislatore si è limitato ad eradicare la disposizione dal plesso normativo ove in origine figurava, trasferendone il contenuto in altra sede: non v’è stata alcuna cesura, nella continuità applicativa della fattispecie; l’abrogazione ha interessato la norma ma non anche la disposizione, che, ad avviso di chi scrive, non può non aver mantenuto, intatte, le interazioni sistematiche con il contesto disciplinare di origine -e quindi con l’art. 4 L. 54/2006, non abrogato-, interazioni non incise dall’opera di codificazione a saldi invariati cui dava corso il legislatore delegato.

Del resto, il permanente dialogo tra gli artt. 3 e 4 L. 54/2006 sembra confermato, letteralmente, dalle stesse norme di raccordo, annotate in calce al D. L.vo 21/2018; invero, dispone l’art. 8 D. L.vo 21/2018 che “i richiami alle disposizioni abrogate dall’art. 7 [tra le quali, evidentemente, figura la disposizione di cui all’art. 3 L. 54/2006], ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata al presente decreto”, tabella che, a sua volta, raccorda l’art. 570-bis c.p. agli artt. 12-sexies L. 898/70 e 3 L. 54/2006: la disposizione, nel coordinare il novum con il preesistente quadro disciplinare, in modo da preservare le correlazioni sistematiche che, nella reticolarità dell’ordinamento, interessavano le disposizioni escisse dalla precedente sede normativa, si pone quale tramite normativo, che interponendosi tra l’art. 570-bis c.p. e l’art. 4 L. 54/2006 legittima doverosamente, attesa la littera legis, un’interpretazione che, tuttora, riferisca il richiamo che l’art. 4 L. 54/2006 operava -anche- all’art. 3 L. 54/2006, all’attuale art. 570-bis c.p., assicurando la piena continuità normativa del duplice disposto di cui agli artt. 3 e 4 L. 54/2006, e rassicurando d’altro lato anche in ordine al rispetto del principio di legalità, cui, come noto, soggiace -segnandone peraltro i confini di praticabilità- ogni esperimento interpretativo in materia penale.

Le considerazioni esposte sembrano fugare i dubbi di costituzionalità di una disciplina, apparentemente discriminatoria, che la giurisprudenza di merito ha sollevato, rimettendo gli atti al Giudice delle Leggi[12].

 

3. - RAPPORTI CON L’ART. 570 C.P.; CONSEGUENZE APPLICATIVE

La persistente incriminabilità ai sensi degli artt. 570-bis c.p. e 4 L. 54/2006 delle condotte del genitore inadempiente rispetto al versamento delle somme dovute ai figli nati fuori dal matrimonio introduce al tema dei possibili rapporti con la norma incriminatrice -apparentemente interferente- di cui all’art. 570 c.p., che, nel primo comma, sanziona -per quanto qui interessa- la condotta del genitore che si sottragga agli “obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale” e, nel secondo, la condotta del genitore che faccia “mancare ai discendenti i mezzi di sussistenza”. Come ricordato, gli obblighi di assistenza cui si riferisce il primo comma della disposizione sono stati tradizionalmente limitati ai soli obblighi di assistenza morale, e non anche materiale, la violazione dei quali nell’interpretazione consolidata della norma assumeva rilevanza penale -ai sensi del comma secondo della disposizione- esclusivamente nell’ipotesi in cui avesse determinato, in danno della prole, il venir meno dei mezzi di sussistenza[13]. La lettura dicotomica della disposizione è stata, tuttavia, superata da Cass. SS.UU. 31 gennaio 2013, n. 23866 cit. -singolarmente non massimata sul punto- che, nel rispondere al quesito relativo all’individuazione del trattamento sanzionatorio applicabile alla fattispecie di cui all’art. 12-sexies L. 898/1970, norma che, come noto, rinviava, quoad poenam, indistintamente all’art. 570 c.p., hanno espressamente affermato che “rientra nella tutela penale apprestata dall’art. 570, comma I, c.p. […] la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore”, doveri la cui ampiezza è tale da specificarsi nell’obbligo, per il genitore, di corrispondere “ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione”. L’estensione della sfera di tipicità oggettiva segnata dall’art. 570, comma I, c.p., conseguente all’intervento del giudice nomofilattico nella più autorevole composizione,  ne ha ampliato lo spettro applicativo sino a inglobarvi, nella sostanza, anche le condotte inadempienti sanzionate dall’art. 570-bis c.p. -anche in combinato disposto con l’art. 4 L.  54/2006, ove si ritengano plausibili le premesse argomentazioni-, le quali si traducono necessariamente -ad eccezione delle sole violazioni di minima offensività- nell’elusione, da parte del genitore, degli obblighi di assistenza materiale della prole, astrattamente sanzionabili anche ai sensi dell’art. 570 c.p.; del resto, a testimoniare la contiguità -se non la sovrapponibilità- delle due fattispecie, nel giudizio della Corte, militava l’affinità criminologica delle condotte sanzionate dagli artt. 570, comma I, c.p. -come reinterpretato- e 12-sexies L. 898/1970, affinità che rappresentava il principale snodo argomentativo a sostegno della conclusione per cui il rinvio, quoad poenam operato dall’art. 12-sexies cit. all’art. 570 c.p., dovesse intendersi riferito al trattamento sanzionatorio posto dal primo e non dal secondo comma della disposizione codicistica, che contempla una fattispecie il cui disvalore è certamente superiore rispetto alla mera violazione degli obblighi assistenziale, interessando la stessa disponibilità di mezzi di sussistenza da parte della prole.

L’interferenza tra le disposizioni in apparente conflitto si risolve, in applicazione del consueto criterio di risoluzione del contrasto internormativo posto dall’art. 15 c.p., riconoscendo la prevalenza della disposizione speciale, che nel caso, è, evidentemente, quella posta dagli artt. 4 L. 54/2006 e 570-bis c.p., che, a differenza della disposizione concorrente, specifica puntualmente l’obbligo assistenziale, nei confronti della prole, la cui inosservanza è incriminata. Il rapporto concentrico tra le due disposizioni induce peraltro a ritenere che, in assenza della norma speciale, le relative condotte sarebbero comunque sanzionate, ex art. 570, comma I, c.p.; la sussidiarietà della norma generale, il cui trattamento sanzionatorio, peraltro, la norma speciale richiama, non priva in ogni caso di rilevanza la questione affrontata nel presente scritto; si rinvengono, invero, almeno due punti che differenziano l’apparato disciplinare speciale rispetto a quello comune e che giustificano la necessità anche pratico-operativa della esatta individuazione del formante normativo di incriminazione della condotta: il primo attiene alla procedibilità, atteso che il fatto di reato di cui all’art. 570-bis c.p. -anche in combinato disposto con l’art. 4 L. 54/2006- è procedibile d’ufficio e non a querela di parte, a differenza della violazione di cui all’art. 570, comma I, c.p.[14]; il secondo attiene alla estensibilità della tutela apprestata dall’art. 570-bis c.p. anche ai figli maggiorenni cui sia stata riconosciuta ex art. 337 septies c.c. la corresponsione di un assegno da parte del genitore[15]. Quanto all’ultimo punto, non è di ostacolo, ad avviso di chi scrive, la formulazione letterale della norma che, nel sanzionare penalmente il “coniuge” che “viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”, sembra limitarne lo spettro applicativo alla sola prole di età minore, per la quale soltanto è, evidentemente, a discorrersi di “affidamento condiviso”; invero, il richiamo del legislatore non è, propriamente, all’istituto civilistico dell’affidamento condiviso, quanto piuttosto al corpus normativo che introduceva l’istituto, corpus nel quale coesistevano, sin dall’origine, anche le disposizioni a favore dei figli maggiorenni non autosufficienti[16]: in tal senso depone il testuale richiamo, da parte dell’art. 570-bis c.p., dello stesso “sottotitolo” della legge 8 febbraio 2006, n. 54 -“Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”- recante il corpus di cui si è detto; del resto, ove si intendesse letteralmente il riferimento all’affido condiviso, si estrometterebbero, del tutto irragionevolmente, dall’area di reazione penale le condotte inosservanti dell’obbligo di contribuzione economica poste a carico del genitore in ipotesi di affido non condiviso, legittimando una soluzione interpretativa discriminatoria, che priverebbe di tutela penale i contesti familiari -tipici dell’affido esclusivo- di maggiore problematicità interpersonale[17].



[1] Il principio è enunciato dall’art. 3 bis c.p., introdotto dall’art 1 D. L.vo 21/2018, a mente del quale “nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”: la norma -che, nel limitare la legiferazione penale nelle sedi extracodicistiche ai soli interventi normativi che disciplinino organicamente la materia, sembra in realtà introdurre una riserva di codici- per le implicazioni costituzionali che sottende -la conoscibilità del precetto penale, da un lato, e la rieducatività della pena dall’altro (cfr. infra), valori che rimandano immediatamente agli artt. 25 e 27 Cost.- si pone quale norma di indirizzo per lo stesso legislatore ordinario, aspirando a razionalizzarne la futura attività legiferativa.

[2] Cfr. tra le altre, Cass., sez. VI, 6 aprile 2017, n. 25267, Rv. 270030, ad avviso della quale “in tema di reati contro la famiglia, il reato di omesso versamento dell'assegno periodico per il mantenimento, educazione e istruzione dei figli, previsto dell'art.12-sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3 della l. 8 febbraio 2006 n. 54), è configurabile non solo nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ma anche in quello di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza”; in senso conforme Cass., sez VI, 31 gennaio 2018, n. 12393.

[3] Nel confrontarsi con un precedente difforme -Cass., Sez. VI, 7 dicembre 2016 – dep. 2017,  n. 2666-  peraltro, la Corte ne sottoponeva a riesame critico anche il principale argomento interpretativo, rappresentato dalla valorizzazione della locuzione impiegata dal legislatore nell’art. 4 L. 54/2006, che, nell’estendere l’applicabilità delle disposizioni della L. 54 cit., individuava, quale sedes materiae di destinazione, i “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, formula che il precedente arresto, sulla scorta di un’interpretazione eminentemente letterale, riferiva ai soli “procedimenti” civili di cui all’art. 2 L. 54 cit. e non anche all’insieme della legge, comprensivo degli aspetti penali, trascurando, tuttavia -come puntualizzato dalla richiamata e più recente giurisprudenza di legittimità- che il riferimento ai “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” tradisse in realtà “la difficoltà del legislatore di individuare una diversa locuzione”, tanto più che lo stesso legislatore, nel risistemare, riscrivendo gli artt. da 155 a 155 sexies c.c., la materia della responsabilità genitoriale, in modo da neutralizzare disparità di trattamento tra la prole nata in costanza di matrimonio e la prole nata al di fuori del vincolo, titolava il Capo II Libro IX del codice civile “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”, impiegando una formula pressoché sovrapponibile a quella utilizzata dalla L. 54 cit.

[4] Il riferimento è, in primis, al D. L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, recante “Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 legge 10 dicembre 2012, n. 219”.

[5] Cfr. in ordine all’interpretazione dell’art. 570 c.p., ed al rapporto tra i primi due commi di cui si compone la disposizione,  Cass., SS. UU., 31 gennaio 2013, n. 23866.

[6] Cfr., tra le molte, Cass., sez. VI, 28 marzo 2012, n. 13900.

[7] Cfr., per l’espressa affermazione dell’abrogazione dell’incriminazione risultante dal combinato disposto di cui agli artt. 3 e 4 l. n. 54/2006, 12-sexies l. n. 898/1970 e 570 c.p., Trib. Treviso, sent. 17 aprile 2018, n. 554, Giud. Vettoruzzo.

[8] Per riflessioni, a prima lettura, cfr. S. Bernardi, Il nuovo principio della “riserva di codice” e le modifiche al codice penale: scheda illustrativa, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2018.

[9] Manifesta perplessità sulla reale utilità del principio della riserva di codice, rispetto agli obiettivi che il legislatore delegante si prefiggeva nel prefigurare una codificazione di ritorno, M. Papa, Dal codice penale “scheumorfico” alle playlist. Considerazioni inattuali sul principio della riserva di codice, in Dir. pen. cont., 15 maggio 2018.

[10] La Relazione è consultabile tramite il link Principio della riserva di codice: in G.U. il decreto attuativo in Dir. pen. cont., 26 marzo 2018.

[11] Cfr. Corte cost. 5/2014, quanto alla sindacabilità, anche in malam partem, dell’abrogazione di una norma incriminatrice da parte di un decreto legislativo adottato in carenza o in eccesso di delega.

[12] Cfr. App. Trento, sez. penale, ordinanza 21 settembre 2018.

[13] Cass., sez. VI, 13 marzo 2012 n. 12306; in senso conforme Cass., sez. VI, 11 febbraio 1998, n. 2681.

[14] Cfr., in relazione all’art. 3 L. 54/2006, Cass., sez. VI, 27 aprile 2017 n. 23794.

[15] Cfr. Cass., sez. VI, 13 giugno 2013 n. 34080, quanto all’affermazione per cui gli obblighi codificati dall’art. 570, commi I e II, c.p. vengono meno con il raggiungimento della maggiore età; in senso conforme, Cass., sez. VI, 30 settembre 2014 n. 41832; la disparità di disciplina non appare irragionevole, in ragione della maggiore vulnerabilità, anche economica, di cui risente la prole di genitori non più uniti, la cui conflittualità del resto spesso si gioca sul terreno del ricatto economico nei confronti dei figli pur se maggiorenni.

[16] L’art. 1 L. 54/2006, invero, introduceva, nel tessuto del codice civile, l’art. 155 quinquies c.c., rubricato “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, articolo poi trasferito, immutato, ad opera del  D. L.vo 28 dicembre 2013, n. 154, nell’attuale art. 337 septies c.c.

[17] La soluzione proposta, del resto, sembra coerente con il disegno di complessiva continuità di sistema che l’intervento legislativo mirava a realizzare, accordandosi all’indirizzo di legittimità ad avviso del quale, in tema di violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato, il disposto di cui all’art. 12-sexies L. 1 dicembre 1970, n. 898 -richiamato dall'art. 3 L. 8 febbraio 2006, n. 54- si applica all’inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli, minorenni o maggiorenni non indipendenti economicamente (Cass., sez. VI, 13 aprile 2018 n. 24162, Rv. 273657).

 

 
 
 
 
 
 

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