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Magistratura Indipendente

PENALE  

Punti fermi e questioni ancora controverse nella giurisprudenza in tema di terrorismo interno

  Penale 
 mercoledì, 19 ottobre 2022

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RIFLESSIONI IN MEMORIA DI EMILIO ALESSANDRINI E GUIDO GALLI

di Alessandro CENTONZE, Consigliere della Corte di cassazione, Prima Sezione penale.

 
 

Sommario: 1. Le finalità di terrorismo dell’ordine democratico e le macro-aree dell’eversione interna. – 2. La partecipazione alle associazioni terroristiche dell’estrema sinistra di matrice brigatista. – 2.1. L’inquadramento sistematico della finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico interno. – 2.2. L’applicazione dell’aggravante di terrorismo di cui all’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625. – 3. La partecipazione alle associazioni terroristiche appartenenti all’area dell’estrema destra stragista. – 4. La partecipazione alle associazioni terroristiche di matrice no-global e ambientalista. – 4.1. L’accertamento processuale del contesto nel quale l’attentato di matrice no-global e ambientalista si verifica: l’individuazione delle finalità perseguite.

1. Le finalità di terrorismo dell’ordine democratico e le macro-aree dell’eversione interna.

Il materiale giurisprudenziale su cui mi soffermerò nella presentazione di questa sessione l’ho scelto seguendo un criterio basato sull’inquadramento generale dei fenomeni terroristici ed eversivi, ricostruito attraverso alcune sentenze di legittimità, che ho selezionato per la loro esemplarità rispetto alle tematiche che intendo introdurre, relative all’inquadramento dei reati commessi per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico[1].

Ho ritenuto, pertanto, opportuno seguire, dopo un’accurata ricerca del materiale giurisprudenziale funzionale al percorso ricostruttivo che volevo compiere e al gruppo di lavoro nel quale intervengo, una soluzione espositiva di natura tendenzialmente casistica, incentrata sul percorso pluriennale compiuto dalla giurisprudenza di legittimità sulle tematiche oggetto della mia presentazione, che riguardano le connotazioni strutturali dei reati di terrorismo “interno”[2].

Questa soluzione seminariale, se ha reso più laboriosa l’attività preparatoria della presentazione, a causa della stratificazione del materiale giurisprudenziale, mi ha consentito di recuperare alcune importanti pronunzie di legittimità, che, pur essendo state massimate, sono state, a fronte della loro esemplarità, trascurate nel dibattito sui temi che esporrò.

Vorrei, quindi, parlare, mediante sintetici richiami, di alcune pronunzie di legittimità particolarmente sintomatiche – sia per il loro contenuto giurisdizionale, sia per la risonanza mediatica dei fatti di reato giudicati, sia per la chiarezza delle argomentazioni esposte in tali provvedimenti decisori – rispetto ai fenomeni terroristico-eversivi relativi al “terrorismo brigatista”, al “terrorismo di estrema destra” e al “terrorismo no-global e ambientalista”.

Mi sembra anche doveroso segnalare che, nei miei precedenti interventi seminariali su analoghe tematiche, mi sono soffermato anche sul “terrorismo secessionista”[3] – che rientra nel più ampio genus del “terrorismo separatista” europeo –, del quale, però, non mi occuperò nell’ambito di questa presentazione, ferma restando la possibilità di brevi richiami giurisprudenziali, funzionali alla chiarificazione delle tematiche affrontate, essendo tale fenomeno criminale sostanzialmente recessivo rispetto alle altre macro-aree terroristiche.

Di questi, complessi, fenomeni terroristici, dunque, ritengo di dovere parlare attraverso il richiamo dei passaggi salienti del percorso argomentativo seguito nei vari provvedimenti decisori citati, cercando, nei limiti del consentito, di effettuare una ricostruzione quanto più possibile fedele di ciascuna pronuncia e degli obiettivi didattici perseguiti in questo gruppo di lavoro.  

2. La partecipazione alle associazioni terroristiche dell’estrema sinistra di matrice brigatista.

Nella nostra panoramica, occorre muovere dalle pronunzie che riguardano i fenomeni terroristici riconducibili all’estrema sinistra di matrice brigatista, ai quali ci si riferirà allo scopo di evidenziare quali fattispecie vengono in rilievo in tale ambito consortile.

Occorre premettere che queste organizzazioni terroristiche, generalmente, dispongono di una struttura operativa fortemente gerarchizzata, con una ripartizione di ruoli direttivi ed esecutivi, che, sul piano associativo, assume rilievo ai sensi degli artt. 270, 270-bis e 306 c.p.

In questa cornice sistematica, allo scopo di comprendere la rilevanza delle fattispecie di reato rispetto alle organizzazioni terroristiche di matrice brigatista, alcune considerazioni metodologiche si impongono.

Si consideri che queste organizzazioni di ispirazione marxista-leninista, generalmente, fanno circolare le proprie ideologie rivoluzionarie attraverso la stampa periodica clandestina, diffondendola mediante distribuzione cartacea e pubblicando interventi che assumono connotazioni apologetiche, rilevanti ex artt. 414 e 415 c.p.[4]

Si consideri che queste organizzazioni terroristiche risultano fondate su un programma “rivoluzionario”, che prevede l’uso sistematico della violenza, anche con l’impiego di armi micidiali, che devono essere reperite dagli esponenti della struttura associativa che si sta considerando. Le attività di reperimento di armi, munizioni ed esplosivi, a loro volta, danno origine a una pluralità di reati-fine, caratterizzati da finalità terroristiche, tendenzialmente riconducibili alla disciplina generale in materia di armi.

Si consideri che queste organizzazioni terroristiche, secondo quanto affermato in diverse sentenze di legittimità, sono governate da un nucleo ristretto di soggetti, non sempre conosciuti dalla base della consorteria, che impongono l’enucleazione dei processi decisionali attraverso cui si elaborano le strategie associative ex artt. 270, 270-bis e 306 c.p.

Si consideri che queste organizzazioni terroristiche dispongono di una cassa comune, gestita da affiliati della struttura associativa, che rispondono, sotto il profilo organizzativo, ai componenti di vertice del sodalizio, che avallano le condotte illecite relative a tale segmento criminale, rilevanti ex art. 648-bis c.p. 

Si consideri che queste organizzazioni terroristiche, generalmente, dispongono di una sede centrale e di alcune sedi periferiche, che vengono coordinate tra loro dai vertici del gruppo, presso le quali, molto spesso, vengono rinvenuti gli arsenali militari a disposizione del sodalizio.

Si consideri che queste organizzazioni terroristiche dispongono di un cospicuo materiale ideologico, che, generalmente, viene sequestrato nel corso delle indagini preliminari, durante le attività di perquisizione effettuate presso le basi logistiche delle consorterie, tra cui quello apologetico già richiamato, rilevante ai sensi degli artt. 414 e 415 c.p.

Si consideri, infine, che queste organizzazioni terroristiche, oltre alle attività delittuose finalizzate a consentire il sostentamento degli affiliati e l’elaborazione delle strategie eversive, generalmente, pianificano alcuni attentati particolarmente eclatanti, commessi in danno di esponenti di spicco della società civile o del mondo delle professioni – come, limitandoci a richiamare i più recenti episodi, nel caso degli omicidi dei docenti universitari Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli, Massima D’Antona e Marco Biagi[5] –, per i quali, laddove tali attentati non si concretizzano, si pongono delicati problemi di accertamento del superamento della soglia di punibilità delle condotte illecite, in linea con la questione della repressione degli atti pretipici nel tentativo[6].

2.1. L’inquadramento sistematico della finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico interno.

Nella cornice richiamata nel paragrafo precedente, il punto di riferimento normativo indispensabile per inquadrare le finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico interno, è rappresentato dalla disposizione dell’art. 270-sexies c.p., intitolato «Condotte con finalità di terrorismo», a tenore del quale: «Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia».

Si tratta di una disposizione, che, nella sua formulazione normativa, come evidenziato dalla Suprema Corte, ha recepito le indicazioni della Convenzione di New York[7], che consentono di ritenere «connotate da finalità di terrorismo quelle condotte: 1) che “per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o a una Organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici, o un’Organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto”; 2) che possono “destabilizzare, o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’Organizzazione internazionale; 3) che siano “definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”»[8].

Ne discende che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità consolidata – attraverso un parallelismo sistematico tra l’art. 270 c.p., intitolato «Associazioni sovversive», l’art. 270-bis c.p. intitolato «Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico», l’art. 270-sexies c.p., intitolato «Condotte con finalità di terrorismo» e l’art. 306 c.p., intitolato «Banda armata: formazione e partecipazione» – la condotta illecita di natura «terroristica ha rilevanza penale in sé; tuttavia, quando è tenuta allo scopo di raggiungere gli obiettivi […], fa “corpo unico” con tale finalità. Ma tale opera di destabilizzazione/distruzione, ovviamente, altro non è che la sovversione o eversione violenta di cui all’art. 270 c.p. […]», atteso che la disposizione «descrive la condotta come diretta ad attentare agli ordinamenti economici o sociali del nostro Stato, ovvero a sopprimere il suo ordinamento politico e giuridico»[9].

In questa cornice ermeneutica, l’obiettivo terroristico o eversivo dell’ordine democratico anche «se qualificato come “finalità” (artt. 270-bis e 280) o come “scopo” (art. 289-bis) nel codice penale, non costituisce, in genere, un obiettivo in sé, ma, ovviamente, funge da strumento di pressione, da metodo di lotta, da modus operandi particolarmente efferato: si diffonde il panico, colpendo anche persone e beni non direttamente identificabili con l’avversario o riferibili allo stesso, per imporre a quest’ultimo una soluzione che, in condizioni normali, non avrebbe accettato»[10].

Pertanto, le fattispecie connotate da finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico interno, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, si caratterizzano per la loro natura giuridica di delitti di pericolo presunto, per cui, ponendosi delicati problemi di superamento della soglia di punibilità indispensabile alla configurazione del reato, si richiede la concretezza del proposito eversivo perseguito con atti di terrorismo, in vista dei quali la consorteria criminale è stata costituita e i reati-fine vengono commessi, in esecuzione del programma associativo[11].

Ne deriva ulteriormente che è necessario accertare, con riferimento a ciascun reato-fine, se la condotta illecita è stata commessa con l’intenzione e la possibilità di utilizzare metodologie terroristiche, rilevanti ai sensi dell’art. 270-sexies c.p., strumentali al perseguimento del programma di eversione dell’ordine costituzionale presupposto. Occorre, pertanto, accertare se, nei programmi e negli effettivi progetti dell’agente, rientra il proposito di intimidire indiscriminatamente la popolazione, anche attraverso la commissione del singolo reato-fine, allo scopo di esercitare forme di coartazione nei confronti dei poteri pubblici e di distruggere – o quantomeno di destabilizzare – gli assetti istituzionali nel nostro Paese[12].

Diventa, allora, indispensabile comprendere, con riferimento ai singoli reati-fine, commessi in relazione alla sfera di operatività di un’organizzazione terroristica di matrice brigatista, quali sono gli scopi di propaganda armata perseguiti e se i comportamenti criminosi sono tendenzialmente rivolti verso obiettivi sintomatici, in modo da ottenere un effetto paradigmatico e innescare meccanismi di emulazione. Si tratta di verificare processualmente se attraverso la singola azione terroristica si vogliono raggiungere determinati risultati di destabilizzazione, accettando anche il rischio di vittime collaterali ovvero se si vuole colpire indiscriminatamente la popolazione, per suscitare terrore, panico e insicurezza nell’ambiente sociale di riferimento; il che, a ben vedere, mira a ottenere lo stesso effetto sintomatico perseguito nel caso degli “omicidi eccellenti” che si sono richiamati nel paragrafo precedente[13].

Queste certezze probatorie, naturalmente, devono essere raggiunte tenendo conto della struttura delle fattispecie associative terroristiche di cui agli artt. 270, 270-bis e 306 c.p., che, secondo la Suprema Corte, si connotano per il dolo specifico «costituito dallo scopo di commettere delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato, nonché per la organizzazione in banda e la disponibilità di armi; non è però richiesto che la gerarchia interna sia di tipo militare e che ciascun compartecipe sia effettivamente armato, essendo sufficiente la disponibilità e, quindi, la concreta possibilità di utilizzare le armi da parte degli associati»[14].
 

2.2. L’applicazione dell’aggravante di terrorismo di cui all’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625.

Occorre, infine, soffermarsi brevemente sull’aggravante di terrorismo, così come introdotta dall’art. 1 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15 dicembre 2001, n. 438, precisando che, essendo la violenza terroristica entrata a fare parte della struttura del reato associativo di cui all’art. 280-bis c.p., tale elemento costitutivo non può essere considerato come circostanza aggravante della stessa fattispecie[15].

A conclusioni differenti, invece, deve giungersi per i reati-fine di cui si è parlato nella parte iniziale di questa esposizione, per i quali la circostanza in questione deve essere riconosciuta, costituendo l’aggravante di terrorismo un elemento esterno e integrativo rispetto alle fattispecie, di volta in volta, considerate. Ne consegue che, per verificare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’aggravante eversiva di cui all’art. 1 del decreto-legge n. 625 del 1979, è necessario accertare che il reato-fine consista «nell’uso di ogni mezzo di lotta politica […] che sia in grado di rovesciare, destabilizzando i pubblici poteri e, minando le comuni regole di civile convivenza, sul piano strutturale e funzionale, il sistema democratico previsto dalla Carta costituzionale […]»[16].

Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come affermato dalla Suprema Corte, l’aggravante dell’eversione dell’ordine democratico non può identificarsi nel concetto di una qualsiasi azione politica violenta, non potendo rappresentare “un’endiadi della finalità di terrorismo”, ma si identifica necessariamente nel sovvertimento del basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo funzionamento ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica che sia in grado di destabilizzare le istituzioni pubbliche e di alterare il sistema democratico costituzionale[17].

 

3. La partecipazione alle associazioni terroristiche appartenenti all’area dell’estrema destra stragista.

Occorre premettere che in questi procedimenti penali, riguardanti fatti di reato notevolmente risalenti nel tempo, generalmente, non si controverte sull’operatività delle organizzazioni terroristiche, in quanto tali, ma sugli esiti criminosi della loro attività eversiva, rilevante sotto il profilo dei reati-fine commessi in attuazione del programma consortile eversivo.

Ne discende che le finalità terroristiche, pur decisive per valutare i delitti commessi dalle organizzazioni appartenenti all’area dell’estrema destra eversiva – di natura eminentemente stragistica e riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 285 c.p., intitolata «Devastazione, saccheggio e strage», eventualmente aggravata ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge n. 625 del 1979 –, vengono in rilievo soltanto indirettamente, essendo strumentali alla comprensione delle strategie sottese ai reati-fine oggetto di vaglio, che possono essere ricostruite solo attraverso l’accertamento processuale degli obiettivi sovversivi di cui sono espressione.

La rappresentazione esemplare di quanto si sta affermando ci proviene dai processi sulle stragi riconducibili all’estrema destra eversiva, eseguiti a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, rispetto ai quali assume un rilievo decisivo l’accertamento processuale del collegamento tra il delitto di cui all’art. 285 c.p.[18] e la strategia sovversiva di matrice stragista, nel cui contesto maturava la decisione di eseguire gli attentati più eclatanti di quell’epoca, come la “Strage di Piazza Fontana” e la “Strage di Piazza della Loggia”.

Infatti, costituisce un dato, storico e giurisdizionale, ormai consolidato quello secondo cui gli attentati stragisti organizzati dalla destra eversiva italiana, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo del secolo scorso, maturavano nel contesto organizzativo del gruppo di “Ordine Nero”, nel quale erano confluiti i componenti del disciolto gruppo di “Ordine Nuovo”, oltre ad alcuni nuovi aderenti all’area eversiva in questione. Si tratta, in particolare, di cellule eversive formatesi in seno agli ambienti dell’estrema destra italiana extraparlamentare, soprattutto radicati nell’area lombarda e nell’area veneta del Paese[19].

In seno a queste due cellule eversive, si sviluppavano delle vere e proprie articolazioni militari, che avevano una ramificata struttura territoriale e possedevano la capacità di organizzare attentati di grande risonanza sociale, anche grazie al fatto che tali organismi terroristici disponevano di autonomi canali di approvvigionamento di armi ed esplosivi, come ad esempio la gelignite, che è la sostanza chimica utilizzata per il confezionamento dell’ordigno fatto detonare nella “Strage di Piazza della Loggia”, verificatasi a Brescia il 25 maggio 1974. Queste cellule eversive, al contempo, al loro interno, disponevano di veri e propri armieri, con elevate competenze tecniche, talvolta acquisite negli ambienti della destra eversiva straniera, che venivano utilizzati dai vertici consortili per il confezionamento di ordigni esplosivi di portata devastante, come quello utilizzato nell’attentato bresciano[20].

Il riferimento agli episodi stragisti degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso assume un rilievo fondamentale anche per un’altra ragione, collegata al contesto ideologico nel quale veniva elaborata la strategia eversiva dell’estrema destra italiana di matrice extraparlamentare. I componenti delle cellule terroristiche in esame, infatti, avevano maturato la consapevolezza, attraverso frequenti riunioni preparatorie, svolte con esponenti di spicco dell’ambiente eversivo, di «potere contare, a livello locale e nazionale, sulle coperture di appartenenti agli apparati dello Stato e ai servizi di sicurezza, italiani ed esteri»[21].

Gli accertamenti processuali sviluppatisi nel corso dei decenni su tali episodi stragisti, dunque, ci consentono di affermare che le condotte preparatorie ed esecutive degli attentati di matrice terroristica – riconducibili alla fattispecie dell’art. 285 c.p. – dovevano essere correlate alle attività di elaborazione ideologica, di organizzazione logistica e di proselitismo politico portate avanti, fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, dalle cellule dell’estrema destra eversiva italiana, nella quale gravitavano gli autori dei reati. Non v’è dubbio, infatti, che gli attentati, come accertato in sede giurisdizionale, rientravano «nel programma di destabilizzazione dell’assetto istituzionale perseguito dall’area dell’estrema destra italiana […]»[22].

Pertanto, l’inserimento del programma dei gruppi di “Ordine Nuovo” e di “Ordine Nero” in uno scenario eversivo di rilievo nazionale di matrice stragista costituisce un dato processuale incontroverso, corroborato dal fatto che, in diversi processi celebrati sugli episodi delittuosi in esame, venivano accertate riunioni finalizzate a programmare l’attività operativa dell’estrema destra extraparlamentare e a mettere a punto la futura strategia eversiva, con lo spostamento dell’attività terroristica nei centri urbani di grandi dimensioni e il potenziamento delle strutture di copertura delle attività illegali.
 

3.1. Il problema dell’accertamento dei fatti in contestazione a notevole distanza di tempo dagli accadimenti stragistici.

Le considerazioni che si sono esposte nel paragrafo precedente ci consentono di introdurre il tema centrale dei processi sulle stragi di matrice eversiva degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, che trae origine proprio dalla natura del reato-fine oggetto di vaglio, che è la fattispecie dell’art. 285 c.p., a tenore del quale: «Chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage nel territorio dello Stato o in una parte di esso è punito con l’ergastolo» – e pone il problema della valutazione giurisdizionale del compendio probatorio, di matrice eminentemente indiziaria e connotato da un’intrinseca problematicità, acquisito a distanza di alcuni decenni dai fatti delittuosi in esame. Basti, in proposito, considerare che sulla “Strage di Piazza della Loggia”, prima della sentenza di legittimità che si è richiamata nel paragrafo precedente, erano stati celebrati sette procedimenti penali, senza il raggiungimento di alcuna verità processuale.

In questi casi, si tratta di effettuare una valutazione del compendio probatorio acquisito nel rispetto dei principi sul processo indiziario, governato dall’orientamento ermeneutico consolidato in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui «nel processo penale indiziario, il giudice di merito deve compiere una duplice operazione, atteso che, dapprima, gli è fatto obbligo di procedere alla valutazione dell’elemento indiziario singolarmente considerato, per stabilire se presenti o meno il requisito della precisione e per vagliarne l’attitudine dimostrativa; successivamente, occorre procedere a un esame complessivo degli elementi indiziari acquisiti […], allo scopo di appurare se i margini di ambiguità, correlati a ciascuno di essi, possano essere superati in una visione unitaria[23], in modo da consentire l’attribuzione del fatto illecito all’imputato, pur in assenza di una prova diretta di reità, sulla base di un complesso di dati, che saldandosi logicamente, conducano necessariamente a un giudizio di colpevolezza come esito inevitabile […] e, dunque, oltre “ogni ragionevole dubbio”»[24].

Il giudice di merito, infatti, non può «limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza […] e l’intrinseca valenza dimostrativa […] e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio”[25] e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana»[26].

Al contempo, l’inquadramento del compendio probatorio acquisito nell’ambito del procedimento indiziario, generalmente, consente di superare il problema della valutazione da parte del giudice di appello delle prove orali acquisite nei giudizi di merito, spesso assai lontane nel tempo e oggetto di frequente rivisitazione, che erano state ritenute utili ai fini della decisione adottata, ma che non sempre è possibile rinnovare, con la possibile violazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione alla luce della sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso “Dan contro Moldavia”.

Queste considerazioni valgono soprattutto con riferimento alle conseguenze processuali dell’applicazione del seguente principio di diritto: «Costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l’assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull’esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell’appellante, rilevanti – da sole o insieme ad altri elementi di prova – ai fini dell’esito della condanna»[27].

 

4. La partecipazione alle associazioni terroristiche di matrice no-global e ambientalista.

Occorre, infine, soffermarsi sui reati-fine e sulle fattispecie collegate alla sfera di operatività delle associazioni terroristiche di matrice no-global e ambientalista.

Si consideri, innanzitutto, che nelle ipotesi di condotte illecite riconducibili ad associazioni terroristiche di matrice no-global e ambientalista, assumono rilievo soprattutto i delitti di cui agli artt. 280 c.p., intitolato «Attentato per finalità terroristiche e di eversione», e 280-bis c.p., intitolato «Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi»[28].

In questa cornice, occorre evidenziare che per l’integrazione dei delitti puniti dagli artt. 280 e 280-bis c.p., è necessario il compimento, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, di atti idonei diretti in modo non equivoco a provocare gli eventi criminosi prefigurati dalle due fattispecie di reato, con un atteggiamento della volontà intenzionalmente diretto alla loro produzione[29].

Più precisamente, queste fattispecie di reato si caratterizzano per un doppio finalismo soggettivo, atteso che l’azione criminosa deve essere ispirata dal fine di eversione dell’ordine democratico o dalla finalità di terrorismo; al contempo, il soggetto attivo del reato deve mirare a provocare l’evento della morte o delle lesioni in danno di una o più persone, quali avvenimenti strumentali allo scopo eversivo perseguito dall’agente.

Ne discende che la morte e le lesioni delle vittime degli attentati eversivi in questione sono gli eventi naturalistici verso i quali si orienta la condotta tipica prefigurata dagli artt. 280 e 280-bis c.p., rispetto ai quali deve essere misurata l’idoneità e l’univocità degli atti compiuti dal soggetto attivo del reato e verso cui deve dirigersi la sua volontà[30].

Occorre, allora, accertare quali sono gli obiettivi perseguiti dalle associazioni terroristiche di matrice no-global e ambientalista, dovendosi evidenziare che «la pressione illegalmente attuata sull’autorità pubblica deve presentare, in quanto tale, un connotato di idoneità alla produzione dell’evento “costrizione”, e non semplicemente un finalismo soggettivamente orientato in tal senso […]»[31].

Tuttavia, nel contesto ritenuto indispensabile per la configurazione dei fatti delittuosi eversivi che si stanno considerando, non può essere compresa la pressione legittimamente esercitata da movimenti politici e da gruppi di cittadini, atteso che la costrizione deve essere indebita e connessa alla natura terroristica dell’attentato, di volta in volta, considerato.

Né potrebbe essere diversamente, atteso che la previsione dell’art. 49 Cost. – che costituisce la norma di riferimento costituzionale per la disciplina dei diritti associativi, che rappresentano il limite esterno alla configurazione dei delitti contro la personalità dello Stato, cui ci si sta riferendo – prevede che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Nella stessa direzione, con specifico riferimento alla matrice ideologica delle organizzazioni terroristiche che si ispirano ai valori ambientalisti e ai limiti costituzionali alla rilevanza penale delle condotte consortili che si stanno considerando, occorre richiamare l’art. 18, comma primo, Cost., secondo cui tutti «i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale»

Questione ermeneutica ulteriore e differente, invece, è quella dell’individuazione delle modalità con cui vengono diffuse, telematicamente ovvero attraverso la stampa clandestina, le ideologie terroristiche di matrice no-global e ambientalista, per le quali è possibile la concretizzazione di condotte illecite di natura apologetica, rilevanti ai sensi degli artt. 414 e 415 c.p., in termini analoghi a quanto si è affermato a proposito delle organizzazioni terroristiche di matrice brigatista.

D’altra parte, una dilatazione eccessiva della nozione di terrorismo, inevitabilmente, rischia di condizionare meccanismi di pressione politica o di protesta pienamente legittimi, sul piano costituzionale, finalizzati a orientare le scelte politiche delle istituzioni governative. Non assumono, pertanto, un rilievo decisivo formule generiche, come i riferimenti ai possibili danni per il Paese; ai ritardi nella realizzazione dell’opera pubblica controversa; alle spese sostenute per il controllo dell’ordine pubblico, necessitate dalle proteste ambientaliste.

Si impone, al contempo, la contestualizzazione, territoriale e ideologica, dell’azione illecita, essendo necessario che «l’idoneità sia misurata con riferimento al tempo in cui il fatto viene commesso, e con riguardo ad attività conosciute dall’agente, che può quindi rappresentarsele come fattori causali concorrenti nella produzione del rischio tipico»[32].

 

4.1. L’accertamento processuale del contesto nel quale l’attentato di matrice no-global e ambientalista si verifica: l’individuazione delle finalità perseguite.

Dalle considerazioni espresse nel paragrafo precedente discende che la contestualizzazione, territoriale e ideologica, delle azioni terroristiche delle organizzazioni ambientaliste deve essere effettuata tenendo conto degli obiettivi eversivi perseguiti con le condotte illecite rilevanti ex artt. 280 e 280-bis c.p., che devono essere valutati dal giudice di merito caso per caso.

La matrice terroristica di un attentato di ispirazione no-global e ambientalista, pertanto, comporta l’esistenza di una correlazione tra i danni materiali provocati dall’azione criminosa e l’evento eversivo, al quale sono collegate le fattispecie previste dagli artt. 280 e 280-bis c.p., su cui deve essere effettuata una verifica giurisdizionale particolarmente rigorosa.

Non si può, infatti, mai prescindere dalle esigenze di offensività e di tassatività delle condotte illecite di cui agli artt. 280 e 280-bis c.p., che devono essere garantite sul piano dell’accertamento giurisdizionale, mediante una verifica stringente delle potenzialità lesive dei comportamenti sovversivi, che deve essere valutata in termini obiettivi, alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizzano gli attentati, di volta in volta, considerati.

Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza di legittimità, consolidatasi in tema di configurazione della fattispecie prevista dall’art. 280 c.p., secondo cui: «Per la configurabilità del delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione, ex art. 280 c.p., è necessario che la condotta di chi attenta alla vita o alla incolumità di una persona, finalizzata al terrorismo secondo le definizioni di cui all’art. 270-sexies c.p., possa, per natura o contesto, arrecare grave danno al Paese ovvero che la stessa, tenuto conto del contesto oggettivo e soggettivo in cui si inserisce, sia volta alla sostanziale deviazione dai principi che regolano l’essenza della vita democratica»[33].

Occorre, allora, verificare, caso per caso, se, per gli effetti direttamente riferibili al fatto di reato contestato, come tali rappresentati e voluti dagli autori nel contesto consortile no-global e ambientalista in cui si concretizza la loro azione, si è creata un’apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera pubblica, dalla quale è derivato un danno grave e di consistenti proporzioni, che sia effettivamente connesso a tale rinuncia o, comunque, all’azione terroristica indirizzata al perseguimento di quell’obiettivo.

La contestualizzazione dell’azione terroristica di matrice no-global e ambientalista, del resto, risponde alla stessa formulazione dell’art. 280 c.p., che non ritiene sufficiente il generico perseguimento di finalità eversive, atteso che, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, per integrare «il delitto di attentato per finalità terroristiche o eversive di cui all’art. 280 c.p., non è sufficiente la sola rappresentazione ed accettazione del rischio dell’evento lesivo, ma è necessario che la condotta dell’agente sia intenzionalmente diretta a ledere la vita o l’incolumità di una persona, quali beni protetti dalla norma»[34].



[1] Relazione di presentazione al gruppo di lavoro denominato “Punti fermi e questioni ancora controverse nella giurisprudenza in tema di terrorismo”, svoltosi il 19 luglio 2022, nell’ambito dell’incontro di studi organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura a Milano, intitolato “Il contrasto al terrorismo” (Corso intitolato a Emilio Alessandrini e Guido Galli).

[2] Ritengo opportuno segnalare che ho seguito questo metodo espositivo in alcuni precedenti interventi formativi, i cui esiti sono sintetizzati in A. Centonze, La finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico e le esperienze emerse con riferimento al terrorismo “nazionale”, in Dir. viv., 2019, 3, pp. 16 ss.; Id., La partecipazione alle associazioni terroristiche: le macro-aree dell’eversione interna, i reati fine e le fattispecie monosoggettive. Riflessioni in memoria di Guido Galli, in Giustizia Insieme (www.giustiziainsieme.it), 8 settembre 2021, pp. 1 ss.

Per uno sguardo d’insieme sulle tematiche affrontate in questa sessione si ritiene utile richiamare anche gli interventi di A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al D.L. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 31 marzo 2015, pp. 1 ss.; M. Donini, Il diritto penale di fronte al nemico, in Cass. pen., 2006, 2, pp. 753 ss.; F. Fasani, Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2015, 8, pp. 926 ss.; F. Resta, Ancora su terrorismo e stato di crisi, in Ind. pen., 2011, 505 ss.; A. Valsecchi, I requisiti oggettivi della condotta terroristica ai sensi dell’art. 270 sexies c.p. (Prendendo spunto da un’azione dimostrativa dell’Animal Liberation Front), in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 21 febbraio 2013, pp. 1 ss.; F. Viganò, Terrorismo, guerra e sistema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, 2, pp. 655 ss.

[3] Mi sono, in particolare, occupato del “terrorismo secessionista”, nel più ampio contesto del “terrorismo separatista” attivo in alcuni Paesi europei, in A. Centonze, La finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico e le esperienze emerse con riferimento al terrorismo “nazionale”, cit., pp. 29-32.

[4] Sulle connotazioni apologetiche delle comunicazioni e delle pubblicazioni di ispirazione terroristica, in termini generali, si rinvia a Cass. pen., Sez. V, 26 settembre 2018, El Mahdi, n. 1970, in C.E.D. Cass., n. 276453-01; Cass. pen., Sez. I, 4 aprile 2017, Dibrani, n. 24103, in C.E.D. Cass., n. 270604-01; Cass. pen., Sez. I, 6 ottobre 2015, Halili, n. 47489, in C.E.D. Cass., n. 265265-01; Cass. pen., Sez. I, 3 novembre 1997, Galeotto, n. 10641, in C.E.D. Cass., n. 209166-01.

Queste pronunzie di legittimità, a loro volta, traggono origine dall’arresto giurisprudenziale risalente, espresso dalla sentenza Cass. pen., Sez. I, 27 settembre 1991, Mazzucchelli, n. 3422, in C.E.D. Cass., n. 188454-01, nella quale veniva affermato il seguente principio di diritto: «È configurabile l’apologia di reato sotto forma di istigazione a delinquere nel fatto di erigere un monumento a perenne memoria – additandola ad esempio – a persona nota per avere spento la vita di un capo di Stato, qualora si accerti che, nonostante la lontananza storica dell'assassinio, sussiste attualmente e concretamente la possibilità che l’erezione del monumento eserciti una forza di suggestione e di persuasione tale da poter stimolare la commissione di altri fatti criminosi, corrispondenti o similari a quello esaltato».

[5] Si tratta, com’è noto, di una strategia eversiva affermatasi nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, in conseguenza della quale vennero assassinati numerosi esponenti delle istituzioni nostrane, tra cui diversi magistrati, come Guido Galli, alla memoria del quale l’incontro di studi nel quale è stato presentato questo intervento è dedicato.

Su queste tematiche, da un punto di vista storico-giornalistico, senza alcuna pretesa di esaustività, si rinvia agli studi di P. Bonetti, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, il Mulino, Bologna, 2006; M. Calvi - A. Ceci - A. Sessa - G. Vasaturo, Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima dell'eversione dal 1945 al 2003, Sossella, Roma, 2003; L. Scialò, Le stragi dimenticate. La strategia della tensione secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia, Boopen. Napoli, 2008; B. Tobagi, Piazza Fontana. Il processo impossibile, Einaudi, Torino, 2019.

[6] Sul problema della punibilità degli atti pretipici, con particolare riferimento, alle attività propedeutiche all’esecuzione di un omicidio, si rinvia a Cass. pen., Sez. II, 12 luglio 2019, Raicevic, n. 36311, in C.E.D. Cass., n. 277032-01; Cass. pen., Sez. I, 4 marzo 2010, Resa, n. 27918, in C.E.D. Cass., n. 248305-01; Cass. pen., Sez. I, 12 ottobre 2001, Mereu, n. 43406, in C.E.D. Cass., n. 220145-01; Cass. pen., Sez. I, 2 ottobre 1997, Tundo, n. 1365, in C.E.D. Cass., n. 209688-01; più in generale, sull’importanza dei canoni della proporzionalità e dell’offensività, rilevanti ex art. 3 Cost., rispetto alla legittimazione di scelte di anticipazione della tutela penale, si ritiene opportuno rinviare agli studi di A. Cadoppi, «Non evento» e beni giuridici «relativi»: spunti per un reinterpretazione dei reati omissivi propri in chiave di offensività, in Ind. pen., 1990, pp. 373 ss.; C. Fiore, Il principio di offensività, in Ind. pen., 1994, pp. 275 ss.; V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale, Giappichelli, Torino, Milano, 2005, pp. 279 ss.

[7] La Convenzione per la repressione del finanziamento al terrorismo è stata adottata a New York il 9 dicembre 1999 e aperta alla firma il 10 gennaio 2000, anche se fino all’11 settembre 2001 solo quattro Stati avevano provveduto a ratificare l’accordo convenzionale; tuttavia, gli efferati attentati statunitensi e la consapevolezza del rilievo determinante delle disponibilità finanziarie di cui i terroristi beneficiavano davano uno straordinario impulso all’accordo, tanto è che vero che oggi la Convenzione conta 169 Stati parte e 132 Stati firmatari.

[8] Nella direzione ermeneutica richiamata nel testo, si ritiene esemplare la sentenza Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2012, Bortolato, n. 12252, in C.E.D. Cass., n. 251920-01, che riguarda l’operatività e i reati-fine commessi nell’interesse dell’organizzazione terroristica denominata “Partito Comunista Politico Militare” (PCPM); si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. pen., Sez. I, 11 maggio 2000, Paiano, n. 3486, in C.E.D. Cass., n. 216253-01; Cass. pen., Sez. I, 4 novembre 1987, Adinolfi, n. 6952, in C.E.D. Cass., n. 178586; Cass. pen., Sez. I, 7 aprile 1987, Angelini, n. 8952, in C.E.D. Cass., n. 176516-01.

[9] Si veda Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2012, Bortolato, n. 12252, cit. ; su questi temi, si rinvia anche all’intervento di A. Valsecchi, I requisiti oggettivi della condotta terroristica ai sensi dell’art. 270 sexies c.p., cit., pp. 1 ss.

[10] Si veda Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2012, Bortolato, n. 12252, cit.

[11] Si vedano Cass. pen., Sez. II, 22 aprile 2020, Bekaj, n. 14704, in C.E.D. Cass., n. 279408-01; Cass. pen., Sez. VI, 5 marzo 2019, Shalabi, n. 13421, in C.E.D. Cass., n. 275983; Cass. pen., Sez. II, 25 giugno 2006, Bouhrama, n. 24994, in C.E.D. Cass., n. 234345-01.

[12] Si vedano Cass. pen., Sez. V, 7 febbraio 2019, Koraichi, n. 10380, in C.E.D. Cass., n. 277239-01; Cass. pen., Sez. I, 21 giugno 2005, Drissi, n. 35427, in C.E.D. Cass., n. 232280-01.

[13] Ci si riferisce, naturalmente, agli omicidi di Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli, Massimo D’Antona e Marco Biagi, citati nel paragrafo 2.

[14] Si veda Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2012, Bortolato, n. 12252, cit.

[15] Si vedano Cass. pen., Sez. VI, 2 novembre 2005, Sergi, n. 2310, in C.E.D. Cass., n. 233113-01; Cass. pen., Sez. 5, 17 settembre 2008, Morobianco, n. 40348, in C.E.D. Cass., n. 241859-01.

[16] Si veda Cass. pen., Sez. I, 27 ottobre 2020, Cropo, n. 36816, in C.E.D. Cass., n. 280761-01.

[17] Si veda Cass. pen., Sez. V, 13 marzo 2012, Bonetti, n. 25428, in C.E.D. Cass., n. 253305-01.

[18] Per l’inquadramento della fattispecie di cui all’art. 285 c.p., si rinvia alla storica sentenza Cass. pen., Sez. Un., 26 marzo 1960, Neidermajer, n. 7, in C.E.D. Cass., n. 098430-01, che precede di oltre un decennio i processi penali sulla stagione stragista della destra eversiva, nel quale si affermava il seguente principio di diritto: «La distinzione tra i delitti di furto e di saccheggio, dal punto di vista materiale ed a parte le differenze qualitative, si fonda precipuamente su due elementi (pluralità degli agenti e molteplicità indiscriminata degli impossessamenti), che, necessari solo nel secondo delitto, lo rendono assai più pericoloso del primo dal punto di vista dell'ordine giuridico: tale maggiore pericolosità, dovuta alla costante presenza dei due elementi suddetti, si riflette nella diversa obiettività giuridica, che, nei reati di saccheggio, non si esaurisce nella protezione del patrimonio ma si dirige a quella assorbente dell’ordine pubblico (art. 419 cod. pen.) o, addirittura, della stessa personalità dello stato (art. 285 C.P.), quando in questa ultima ipotesi, ricorra il relativo dolo specifico (scopo di attenuare alla sicurezza dello stato».

[19] Questi dati ci provengono dall’attività svolta dalle commissioni di inchiesta sul fenomeno terroristico istituite nel nostro Paese nell’ultimo quarantennio, che si sono avvalse degli esiti dei diversi procedimenti penali celebrati sugli episodi stragisti verificatisi a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Tali conclusioni, sul piano giurisdizionale, hanno ricevuto una conferma definitiva negli esiti del processo sulla “Strage di Piazza della Loggia”, per il quale si rinvia alle successive note 19, 20 e 21.

[20] Su questi temi, si ritiene opportuno segnalare la sentenza Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2017, Maggi, n. 41585, in C.E.D. Cass., n. 271252-01, con cui, all’esito di un procedimento svoltosi lungo sette gradi di giudizio, si concludeva il processo penale sulla “Strage di Piazza della Loggia”; la prima sentenza sulla strage bresciana veniva emessa dalla Corte di assise di Brescia il 2 luglio 1979 e, con tale pronuncia, veniva condannato uno degli autori materiali dell’attentato, ucciso prima della decisione di appello, pronunciata dalla Corte di assise di appello di Brescia il 2 marzo 1982, con cui veniva assolto l’altro imputato.

All’esito di tale complesso percorso processuale venivano condannati due degli autori dell’attentato in questione, commesso il 25 maggio 1974, a Brescia, in Piazza della Loggia, nel corso di una manifestazione indetta dal Comitato Permanente Antifascista e dalle Segreterie Provinciali della C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., mediante la collocazione di un ordigno in un cestino metallico per i rifiuti, posto in aderenza a una colonna dei portici delimitanti la piazza e provocandone l’esplosione.

[21] Si veda Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2017, Maggi, n. 41585, cit.

[22] Si veda Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2017, Maggi, n. 41585, cit.

[23] Si vedano Cass. pen., Sez. I, 18 aprile 2013, Stasi, n. 44324, in C.E.D. Cass., n. 258321-01; Cass. pen., Sez. I, 26 marzo 2013, Knox, n. 26455, in C.E.D. Cass., n. 255677-01; Cass. pen., Sez. I, 26 novembre 1998, Buiono, n. 13671, in C.E.D. Cass., n. 212026-01.

[24] Si veda Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2017, Maggi, n. 41585, cit.

[25] Si vedano Cass. pen., Sez. I, 30 novembre 2017, Mangafic, n. 1790, in C.E.D. Cass., n. 272056-01; Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2016, Graziadei, n. 20461, in C.E.D. Cass., n. 266941-01; Cass. pen., Sez. II, 19 settembre 2013, Kuzmanovic, n. 42482, in C.E.D. Cass., n. 256967-01.

[26] Si veda Cass. pen., Sez. I, 20 giugno 2017, n. 41585, Maggi, cit.

[27] Si veda Cass. pen., Sez. Un., 28 aprile 2016, Dasgupta, n. 27620, in C.E.D. Cass., n. 267491-01; nella stessa direzione, si vedano le successive pronunzie delle Sezioni Unite Cass. pen., Sez. Un., 28 gennaio 2021, Cremonini, n. 22065, in Cass. C.E.D., n. 281228-01; Cass. pen., Sez. Un., 28 gennaio 2019, Pavan, n. 14426, in Cass. C.E.D., n. 275112-01; Cass. pen., Sez. Un., 19 gennaio 2017, Patalano, n. 18620, in C.E.D. Cass., n. 269786-01.

Su queste fondamentali pronunzie delle Sezioni Unite si vedano i commenti di R. Aprati, “Overturning” sfavorevole in appello e mancanza del riesame, in Cass. pen., 2017, 7-8, pp. 2672 ss.; V. Aiuti, Poteri d’ufficio della Cassazione e diritto all’equo processo, in Cass. pen., 2016, 9, pp. 1125 ss.; F.M. Damosso, Rinnovazione e rinvio ai soli effetti civili. Tra soluzioni necessitate e incongruenze processuali, in Cass. pen., 2021, 9, pp. 2694 ss.;

S. Recchione, Il processo a statuto probatorio variabile: la rinnovazione in appello della prova scientifica, in www.sistemapenale, 23 giugno 2020.

[28] Mi sembra opportuno sottolineare che i fenomeni terroristici di matrice no-global e ambientalista rappresentano un ambito criminale in crescente espansione, che investe vari settori operativi, che riguardano, oltre alla protezione ambientale stricto sensu intesa, anche le istanze di tutela animalista, delle quali, per ragioni di sintesi espositiva, non ci si occupa, ma il cui richiamo è utile per inquadrare, in termini generali, le questioni affrontate nella parte conclusiva di questa introduzione.

[29] Si vedano Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, Gai, n. 34782, in C.E.D. Cass., n. 264417-01; Cass. pen., Sez. I, 10 maggio 1993, Algranati, n. 11344, in C.E.D. Cass., n. 195771-01; Cass. pen., Sez. I, 18 dicembre 1987, Berardi, n. 10233, in C.E.D. Cass., n. 179470-01.

[30] Si veda Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2014, Alberto, n. 28009, in C.E.D. Cass., n. 260078-01; questa pronuncia appare meritevole di essere segnalata, oltre che per la completezza degli argomenti esposti, perché riguarda un caso emblematico delle tematiche ambientaliste che si stanno considerando, quale l’attentato di Chiomonte verificatosi il 14 maggio 2013, a margine della realizzazione delle opere infrastrutturali di collegamento tra l’Italia e la Francia nella Val di Susa.

[31] Si veda Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2014, Alberto, n. 28009, cit.

[32] Si veda Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2014, Alberto, n. 28009, cit.

[33] Si veda Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, Gai, n. 34782, cit.; su questa importante pronunzia di legittimità si veda anche il commento di A. Siberti, Gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 280 c.p., in Cass. pen., 2016, 4, pp. 1537 ss.

[34] Si veda Cass. pen., Sez. I, 16 luglio 2015, Alberti, n. 47479, in C.E.D. Cass., n. 265404-01.



 

 

 
 
 
 
 
 

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