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Magistratura Indipendente

CIVILE  

QUESTIONI ATTUALI E CONTROVERSE IN TEMA DI FILIAZIONE E GENITORIALITA'

  Civile 
 mercoledì, 5 luglio 2023

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di Donatella MONTANARI, giudice presso il tribunale di Como

 
 

Le seguenti riflessioni sono nate in occasione di un  intervento ad un evento formativo dedicato ad avvocati di Como e Milano svoltosi a Como il 30 giugno 2023; la relazione esordiva  osservando che benchè il tema riguardasse  questioni che, oltre ad essere obbiettivamente controverse, potrebbero apparire di nicchia, altamente specialistiche o comunque risultare interessanti solo per coloro che a livello giuridico si occupano di questioni familiari, credo invece fermamente che, almeno nella classe forense, debbano interessare tutti, anche coloro che non si occupano specificamente di diritto di famiglia, data la funzione, oserei dire vocazione, che la avvocatura è chiamata a svolgere nel momento attuale;  infatti oltre alla funzione di assistenza professionale, sotto forma di consulenza e/o assistenza in giudizio, sempre più necessaria in una società sempre più globalizzata e con dinamiche sempre più complesse ( diventa complicato anche acquistare un bene qualsiasi o accendere un mutuo bancario),  ugualmente importante e necessaria, a livello culturale, è una altra funzione, quella di esercitare un pensiero critico su tutte le questioni cosiddette sensibili sulle quali la nostra società si interroga nel momento attuale, questioni che hanno a che fare con la vita delle persone e quindi inevitabilmente con il mondo del diritto.

Quando si sente parlare (o si legge in provvedimenti giudiziari, anche della Suprema Corte) di evoluzione del costume, di cambiamento della mentalità, è lecito chiedersi: chi è il soggetto di questo cambiamento? Chi o che cosa determina questa evoluzione? Oppure, chi semplicemente ne prende atto, adeguandosi alla mentalità dominante? Su tante questioni sensibili, quali quelle oggetto di queste riflessioni, è possibile e lecito avere opinioni diverse, ma prima di esprimere una opinione è necessario conoscere ciò di cui si sta parlando; solo la conoscenza di tutti i fattori in gioco consente una riflessione critica su questioni che sono antropologiche ma anche giuridiche, almeno in uno stato di diritto come il nostro; questo ruolo di pensiero critico è proprio dei giuristi, quindi anche della avvocatura, senza lasciarsene espropriare dalla magistratura, la quale, a meno di diventare autoreferenziale, non può e non deve essere l'unica interprete dei mutamenti sociali, o presunti tali, di quello che si dice essere il sentire comune.

     Non può parlarsi di genitorialità se non a partire dalla filiazione, posto che senza il figlio non c'è il genitore; lo stato di figlio deriva dal riconoscimento, evento cui si ricollegano plurimi importanti effetti.

Benché l’art. 315 c.c. (introdotto dall’art. 1 della legge n. 219 del 2012) disponga testualmente che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, permangono taluni profili di differenziazione.

Sul piano di costituzione del rapporto, la presunzione di paternità del marito della madre distingue tuttora i due tipi di filiazione (tratto distintivo la sua conservazione è controversa, mancando un orientamento unitario nei paesi europei);  tale distinzione  discende da una radicata tradizione sul presupposto che la filiazione legittima abbia un valore sociale più alto, quindi è in re ipsa lo interesse del minore ad appartenervi, mentre nel caso della filiazione naturale si renderebbe necessaria una valutazione caso per caso; in ogni caso la mancanza del riconoscimento contestuale al momento della formazione dell'atto di nascita rende incerta la esistenza di un progetto procreativo comune, sicchè il figlio sembra appartenere socialmente alla sola madre, che lo ha riconosciuto inizialmente.

La presunzione di paternità per i figli nati nel matrimonio risparmia agli interessati l'onere di fare dichiarazioni espresse e comunque si giustifica socialmente anche sulla base dei parametri esteriori che caratterizzano la coppia coniugata, soggetta al dovere di convivenza di cui all’art. 143 c.c., che comporta la condivisione della quotidianità anche sotto il profilo della intimità sessuale, quindi con apertura alla procreazione.

 In realtà secondo un costume attualmente assai diffuso anche la decisione di convivenza more uxorio manifesta un analogo progetto di vita comune, anch'esso aperto o suscettibile di procreazione; ciò tanto è vero che per le coppie affette da problemi di fertilità la legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita pone sullo stesso piano il matrimonio e la convivenza riguardo alle scelte procreative: l'art 5 indica tra i requisiti necessari il matrimonio o la convivenza stabile.

Per questi motivi la dottrina ha formulato proposte, volte, se non a superare la presunzione, a modificarla ancorandola al parametro oggettivo della convivenza desumibile dalla certificazione anagrafica, così evitandosi il profilo discriminatorio (1); ciò tanto più che attualmente la presunzione di paternità legittima è depotenziata fortemente, in modo unilaterale, posto che la madre coniugata può far sì che si formi un atto di nascita di suo figlio naturale, con una dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile, sulla cui veridicità egli non può fare un effettivo accertamento.

Quindi il padre genetico di un figlio concepito con una donna sposata può effettuare il riconoscimento solo se la madre al momento della formazione dell'atto di nascita dichiara che il nato non è figlio del proprio marito, così evitando che operi la presunzione di paternità e ottenendo che che si formi lo stato di figlio naturale; ne deriva che la posizione del padre biologico è totalmente subordinata al comportamento materno, non potendo egli neppure attivare direttamente il procedimento di disconoscimento di paternità; come affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 429 del 27 novembre 1991 questa procedura può essere attivata non per perseguire la suddetta finalità ma per tutelare lo interesse del minore;  a questo scopo è infatti prevista la nomina del curatore del minore, che va richiesta dai soggetti legittimati ovvero il minore stesso o il Pubblico Ministero se il minore è infra quattordicenne.

A questo proposito in dottrina si è auspicata una riforma volta a tenere in considerazione la posizione del padre biologico effettivo attribuendogli la legittimazione attiva al disconoscimento quantomeno in circostanze limitate (ispirandosi alla attuale disciplina tedesca) , per esempio nel caso in cui non si siano instaurati rapporti sociali e familiari tra il nato e padre legale e il padre biologico dimostri la sua paternità genetica previa dichiarazione giurata di avere avuto rapporti sessuali con la madre nel periodo del concepimento; in questi casi, nel nostro ordinamento è presumibile che la paternità del marito sia stata già esclusa dalla dichiarazione resa dalla madre in occasione dell'atto di nascita, sicchè nella pratica l’auspicabile riforma avrebbe una incidenza modesta (2).

Merita di essere citato l'art. 252 c.c. che regola l’affidamento del figlio nato fuori del matrimonio di uno dei coniugi ed il  suo inserimento nella famiglia legittima, norma che secondo la dottrina dovrebbe essere abolita per rispettare il principio della unicità dello stato di figlio poiché esprime una discriminazione verso il figlio naturale cui è attribuito un diritto meno forte, rispetto al figlio legittimo, di crescere nella famiglia di colui che lo ha generato; la questione del luogo di educazione del figlio naturale di un genitore coniugato in realtà non diverge da quella dei figli di genitori non sposati e non conviventi, né da quella del figlio legittimo di genitori sposati ma non conviventi; in tutti questi casi la questione si risolve con lo accordo dei genitori, come un fatto privato di coppia e il controllo del giudice è inesistente o limitato ( intervenendo cioè in caso di crisi della coppia); una ragion d'essere residuale della norma in realtà sussiste: permettere lo intervento della autorità giudiziaria in caso di supposta compravendita del bambino, situazione che si può ipotizzare quando il bimbo sia stato riconosciuto solo dal padre coniugato  mentre la madre è rimasta anonima; ma allora,  se la funzione effettiva è quella, la norma ,come già osservato dalla dottrina dovrebbe essere riscritta coordinandola con la regola (art. 74 L 184/1983) che prevede la segnalazione di tale fatto  al Tribunale dei minori (3).

L’art. 250 c.c.: il figlio naturale può essere riconosciuto nei modi previsti ex art. 254 c.c. dalla madre e dal padre, nel caso del secondo riconoscimento (quindi non contestuale) occorre il consenso dell'altro genitore se il figlio è infraquattordicenne, previsione volta a tutelare il minore nel caso di riconoscimenti che intervengano a distanza di notevole tempo dalla sua nascita, quindi suscettibili di alterare equilibri mentali ed affettivi del minore; la dottrina subito dopo la riforma del 2012 ( che ha modificato il limite di età da 16 a 14 anni) aveva stigmatizzato il fatto che l'ambito di applicazione della norma non fosse stato circoscritto ai soli casi di riconoscimenti effettivamente tardivi (non quelli semplicemente contestuali) evitandosi cioè di attribuire al primo genitore riconoscente un potere di veto tout court, che si presta ad abusi.

Resta comunque fermo che il consenso non può essere rifiutato se il riconoscimento dell'altro genitore corrisponde allo interesse del figlio ; il genitore interessato a rimuovere lo ostacolo del veto deve adire il giudice (Tribunale ordinario) con ricorso che viene notificato all'altro genitore, il quale ha 30 giorni di tempo per proporre opposizione; in difetto di opposizione il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante, disposizione ispirata al favor della bigenitorialità, considerata in via di principio un valore da tutelare nello interesse del figlio, soprattutto ove non emergano processualmente ragioni tali da giustificare il rifiuto al consenso da parte del genitore riottoso.

Diversamente in caso di opposizione, il giudice assume informazioni, ivi compresa la audizione del figlio, e assume provvedimenti urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la opposizione non sia palesemente fondata; infine, con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, assume i provvedimenti relativi ad affidamento, mantenimento e cognome del figlio.

Quanto a questi ultimi provvedimenti la lettera dello art. 250, comma 4, comma c.c. non distingue tra la sentenza che segue la mancata opposizione e quella che conclude il giudizio di opposizione, ma essi  devono ritenersi applicabili solo nella  seconda ipotesi; nel primo caso, infatti, il giudice neppure deve valutare se il riconoscimento è conforme allo interesse del minore (il che può essere contestato solo dall'altro genitore) sicchè ha solo il compito di verificare la regolarità della notifica; in tale contesto (in cui l'altro genitore viene interpellato solo per esprimersi sul riconoscimento) sembra impensabile che il giudice possa assumere decisioni di tale importanza e delicatezza che impongono la presenza di entrambe le parti in contraddittorio tra loro ed una adeguata istruttoria.

La riforma del 2012 conferma il limite di età di anni 16 per effettuare il riconoscimento, ma rendendolo derogabile con la autorizzazione giudiziaria: il giudice può autorizzare il riconoscimento valutate le circostanze e avuto riguardo allo interesse del figlio, ergo tenendo conto di una pluralità di fattori quali la adeguata maturità del genitore, la esistenza di una rete parentale di sostegno e la esistenza del riconoscimento da parte dell'altro genitore.

Quanto alla incidenza del riconoscimento, lo art. 258 c.c. innovando la formulazione originaria che si prestava ad ambiguità (il riconoscimento non produce effetto che riguardo al genitore da cui fu fatto) prevede che gli effetti riguardano il genitore autore del riconoscimento e i suoi parenti (quindi superandosi  la vexata questio circa la rilevanza giuridica che dei rapporti che si instaurano tra il minore riconosciuto e i parenti dello autore del riconoscimento), diretta conseguenza della nuova formulazione dello art. 74 c.c. che identifica la parentela.

Anche in tema di attribuzione di maternità la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio si differenzia dall'altro, posto che  solo per la donna sposata vige lo automatismo della attribuzione di maternità; per la donna non coniugata occorre la dichiarazione espressa; anche su questo punto in dottrina si è stigmatizzato che la riforma non abbia previsto l’attribuzione di diritto della maternità,  come se questa fosse incompatibile  con la garanzia del parto anonimo; in realtà non è così, basterebbe prevedere che la maternità è attribuita di diritto alla partoriente, ferma restando la facoltà di quest'ultima di avvalersi dello anonimato; la riforma si renderebbe quindi necessaria nella prospettiva di una completa unificazione dello stato di figlio ma anche opportuna (onde garantire al bambino lo acquisto immediato dello stato) nei casi, fortunatamente rari, in cui la madre muoia di parto senza poter effettuare il riconoscimento o resti in coma per un tempo significativo  (4).

Questo  excursus sulla filiazione ha riguardato le fattispecie disciplinate dal codice civile, attinenti alla  generazione biologica, ma da oltre un decennio è venuta in rilievo la figura del genitore sociale, data la rilevanza assunta a livello normativo e giurisprudenziale dal concetto di responsabilità genitoriale, che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed educare il nato, anche ove difettino legami biologici con lo stesso, come avviene nelle ipotesi della adozione e della procreazione assistita con fecondazione eterologa (fattispecie estranee alla disciplina codicistica, che si occupa solo della procreazione naturale) ; queste fattispecie trovano comunque una regolamentazione tramite leggi speciali, ma esiste anche una area “grigia” priva di regolamentazione ad hoc in cui si discute della  pretesa di riconoscimento della genitorialità sociale, detta anche “intenzionale”, area in cui è intervenuta la giurisprudenza.

Personalmente mi sono occupata della questione in una procedura definita dalla  sentenza del Tribunale di Como  18 aprile 2019, che riconosceva il ruolo di genitore sociale ad un signore la cui paternità era stata disconosciuta giudizialmente, ma che intratteneva un legame affettivo molto intenso con la bambina, nata da una relazione extraconiugale della moglie, ma che lui credeva fosse sua figlia; stante la inidoneità genitoriale della madre, affetta da disturbi seri, che pure richiedeva lo affido esclusivo della figlia, questa era stata affidata ai sevizi sociali con collocamento presso il padre; la sentenza dava soluzione al problema di affidamento e collocamento richiamando in particolare la sentenza della Corte Costituzionale 225 del 2016, pronuncia colla quale la Corte escludeva la sussistenza di un vuoto normativo (ravvisato dal giudice remittente in riferimento all’art. 337 ter c.c.) con riguardo allo intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a conservare rapporti significativi con persone diverse da genitori o comunque a lui non legati da vincoli parentali; il giudice delle leggi, infatti, sul presupposto che la condotta del genitore finalizzata alla lesione del rapporto significativo intrattenuto dal minore con soggetti non consanguinei sia da considerare “comunque pregiudizievole al figlio”, sì da consentire al giudice ex art. 333 c.c. di adottare “i provvedimenti convenienti “ nel caso concreto, ha affermato la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale in proposito sollevata dal Tribunale di Palermo; il caso sottoposto allo esame di detto giudice riguardava la relazione affettiva intrattenuta da due bambine, già inserite in un nucleo familiare omosessuale, con l’ex compagna della loro madre biologica, relazione reputata degna di ricevere tutela, atteso lo interesse delle minori alla stabilità dei legami affettivi con le persone con cui hanno vissuto.

La sentenza è stata pubblicata e commentata sul Foro Italiano del 2019 in un “castello” che raggruppa una serie di interventi giudiziari sul tema della procreazione non naturale (5); i casi riportati sono quelli, fino all'anno 2019, della omogenitorialità, ma il problema della genitorialità sociale si pone anche in casi che non hanno nulla a che vedere con le famiglie omosessuali, infatti in dottrina si è dibattuto sul fenomeno delle c.d famiglie ricomposte.

        Parlare di genitorialità sociale o intenzionale significa porsi la domanda circa la esistenza, sul piano giuridico, di limiti della stessa.

Il problema è spinoso perché le tecniche di procreazione consentono oggi di scindere il dato biologico da quello procreativo e possono sorgere interrogativi anche drammatici sul piano etico.

I caratteri fondamentali della genitorialità da PMA (acronimo di procreazione medicalmente assistita) si rinvengono nella legge n. 40 del 2004 così come riscritta dalle sentenze della Corte Costituzionale (soprattutto Corte Costituzione n. 162 del 2014):

la PMA è ammessa solo per coppie etero sessuali coniugate o conviventi stabilmente;

il nato da PMA ha lo status di figlio della coppia che esprime il consenso alla pratica;

il donatore di gameti non ha relazione giuridica con il nato;

la madre non ha la facoltà del parto anonimo;

         in caso di fecondazione eterologa (originariamente vietata) l'uomo che presta il consenso non può più mettere in discussione la sua paternità cioè esercitare la azione di disconoscimento ( per il figlio legittimo) o impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità (per il figlio naturale);

è penalmente vietata la gestazione surrogata o per conto di altri, nonché la commercializzazione di gameti ed embrioni;

lo status di figlio opera anticipatamente (ma solo se verrà alla luce), perchè il consenso della coppia alla pratica di PMA diviene irrevocabile una volta avvenuta la fecondazione; si è detto che lo status opera anticipatamente ma a condizione che la nascita avvenga perchè la madre può sempre rifiutare lo impianto anche dopo la formazione dell’embrione (Corte Cost. 13 aprile 2016 n. 84), e proprio questo (cioè questa facoltà della madre) spiega perchè vi sia un gran numero di embrioni congelati (si dice 30.000 solo in Italia, personalmente in una causa di separazione coniugale ho raccolto la dichiarazione di una signora che riferiva di aver rifiutato lo impianto degli embrioni-testualmente confessava di averli “abbandonati” - perchè aveva da poco scoperto una relazione extraconiugale del marito).

Le ragioni giuridiche del proliferare di embrioni ibernati vengono spiegate nella citata sentenza n. 84 del 2016 della Corte Costituzionale che a sua volta richiama precedenti arresti della Corte stessa che hanno profondamente inciso sulle dinamiche della PMA ; la Corte viene interpellata dal Tribunale di Firenze che deve esaminare il ricorso di urgenza di una donna che voleva farsi consegnare dal centro medico 10 embrioni che non voleva impiantare (9 difettosi perchè non sani o non biopsabili e 1 di “media qualità” - i particolari a mio avviso sono raccapriccianti) volendo destinare i primi 9 alla ricerca scientifica e  revocare  il consenso allo impianto anche per quello sano; il tribunale aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, che vieta sperimentazione e ricerca sullo embrione, se non per la cura dello embrione stesso, e dello art. 6 che vieta di revocare il consenso alla PMA dopo la fecondazione dell'ovulo.

Affrontando il problema della sorte degli embrioni soprannumerari ibernati,  la Corte premette che la possibilità di creare embrioni soprannumerari a livello giuridico è sorta con la sentenza n. 151 del 2009 Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo lo art. 14 nella parte in cui vietava di produrre più di 3 embrioni e imponeva di impiantarli tutti contemporaneamente, ergo caduto questo divieto si è reso necessario il congelamento di quelli prodotti e non impiantati; il loro numero si è poi incrementato dopo la sentenza 96 del 2015 Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi gli artt. 1 e 2 nella parte in cui non consentivano lo accesso alla PMA alle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche trasmissibili; quindi per queste coppie viene praticata la diagnosi pre-impianto onde selezionare gli embrioni sani da quelli malati.

La sentenza n. 84 del 2016 prosegue affermando che la questione della donazione e destinazione degli embrioni sovranumerari è gravida di implicazioni etiche oltre che giuridiche, coinvolgendo il conflitto tra le ragioni della scienza e i diritti dell'embrione, da valutarsi in funzione del più o meno ampio grado di soggettività e dignità antropologiche che gli venga riconosciuto (se non si tratta solo di materiale biologico, che grado di tutela merita? È preferibile destinarlo ad una ibernazione indefinita piuttosto che sopprimerlo per salvare vite umane? Le persone possono disporre del proprio corpo per la sperimentazione, ma i genitori possono decidere per lui?); segnalando i due contrapposti orientamenti ( a favore e contro), a  mio avviso la Corte omette consapevolmente di menzionare (tra gli argomenti a favore) la fattispecie della interruzione volontaria di gravidanza  regolata dalla legge n. 194 del 1978, che consente alla madre (anche senza il consenso del padre) di disporre dei diritti del feto (anche se sanissimo), essere ad uno stadio ben più avanzato dello embrione, argomento “pericoloso” perchè tuttora oggetto di intenso dibattito; la Corte osserva che difetta un vasto consenso, anche a livello europeo e rammenta che in Italia permane il divieto penale di soppressione degli embrioni anche se malati e non impiantabili; conclude dichiarando inammissibile la questione sotto due profili: per il decimo embrione la madre ci aveva ripensato sottoponendosi allo impianto (seppure con esito infausto), quindi la questione aveva  perso rilevanza, per gli altri la soluzione del conflitto, suscettibile di  plurime opzioni, presuppone il  bilanciamento di interessi che compete alla discrezionalità del legislatore.

Il rilievo del consenso della coppia nella genitorialità da PMA ha attinenza anche con la problematica della fecondazione post mortem; lo art. 5 della legge 40/04 limita lo accesso alla pratica alle coppie i cui componenti siano entrambi viventi (senza chiarire sino a quale momento, ovvero il limite temporale della sopravvivenza), ergo si é posta la questione della sorte del seme maschile crio-conservato in caso di morte dell'uomo prima della formazione dello embrione; a fronte del divieto previsto dalla legge italiana, la donna rimasta vedova, cioè la partner superstite della coppia, potrebbe avere interesse a farsi consegnare  dal centro medico il seme crio-conservato per poi procedere a proseguire all'estero (ove è consentita) la PMA ai fini della cioè fecondazione ed impianto dello embrione ; è nota la vicenda esaminata nel 2018 dal Tribunale di Roma: dapprima con ordinanza 19 novembre 2018 viene rigettato il ricorso d'urgenza proposto dalla signora con la motivazione che le dichiarazioni lasciate dal defunto ( delega e disposizione testamentaria) addotte a fondamento della richiesta, comunque non univoche, contrastano con la legge n. 40 del 2004 e con le obbligazioni   contrattuali assunte dal centro medico (che in questo caso prevedono la distruzione del seme); a seguito di reclamo, questo provvedimento viene riformato, accogliendosi la domanda con ordinanza 21 maggio 2019, con la motivazione che in virtù del principio di autodeterminazione personale ciascuno può disporre dei propri gameti revocando con successiva manifestazione di volontà le precedenti dichiarazioni di consenso informato volte alla distruzione del seme, né rilevano le finalità perseguite contra legem dalla ricorrente, in quanto oggetto del giudizio è solo il rilascio del seme non il suo utilizzo, sicchè di un eventuale uso riproduttivo di quel seme si potrà tener conto in altra sede giudiziaria; di fatto questo provvedimento allude alla non illiceità della PMA post mortem all'estero, quindi  ( a mio avviso ipocritamente ) non dà rilievo alla questione sottintesa (il cuore del problema) senza la quale  la domanda cautelare non avrebbe ragion d'essere, né tantomeno potrebbe ravvisarsi la urgenza in senso civilistico ( che in genere presuppone una utilità immediata del bene controverso)

Come era prevedibile, si giunge quindi alla fase successiva, esaminata nella sentenza n. 1300 del 2019 della Cassazione; ( i commentatori ne hanno parlato come del “trionfo dei morti nel mondo del diritto”); la vedova (non quella di Roma, evidentemente,  ma un'altra signora , posto  visto che la sentenza della Cassazione n. 1300 del 2019 è coeva alla ordinanza di reclamo di cui sopra ed inoltre nelle premesse cita il Tribunale di Ancona quale giudice del merito), aveva partorito in Italia una bambina a seguito di tecnica di PMA cui si era sottoposta all'estero dopo il decesso il marito, il quale aveva in precedenza acconsentito a ciò; oggetto del giudizio non era stabilire se il defunto fosse il padre biologico della bambina ma accertare se fosse legittimo o meno il diniego dello ufficiale di stato civile di iscrivere la sua paternità nell'atto di nascita della minore, rifiuto che il Tribunale di Ancona aveva reputato legittimo ; la questione è quella dello status del figlio nato e concepito quando il padre biologico è già morto ( cioè morto prima della formazione ed impianto dello embrione); gli ufficiali di stato civile tendono infatti a rifiutare la richiesta della vedova, sulla base di una dichiarazione della stessa, di attribuire la paternità ( con relativo cognome) al marito, quando la nascita è successiva di almeno 300 giorni alla morte dell'uomo, non operando in tal caso la presunzione di cui all'art. 232 c.c.

La Corte accoglie il ricorso della vedova muovendo dalla considerazione della inadeguatezza della applicazione delle disposizioni codicistiche (che presuppongono la procreazione naturale) anche alle nuove modalità di procreazione che la evoluzione, non solo della scienza medica, ma  anche del costume, rendono possibili, giungendo ad affermare una sorta di tripartizione di genitorialità ( con attribuzione di status) ovvero quella da procreazione naturale, quella da PMA e quella da adozione ; la genitorialità da PMA in particolare trova fondamento normativo nella PMA e può anche prescindere del tutto dal legame biologico col nato; lo elemento volontaristico-consensuale è assolutamente prevalente rispetto al dato genetico ; il minore nato da tale pratica ha lo status di figlio dell’uomo che ha prestato il consenso allo utilizzo dei suoi gameti perché lo art. 8 legge 40/2004 indica il consenso come determinante ai fini della attribuzione di paternità; risultano  quindi inapplicabili le disposizioni codicistiche che pongono dei limiti temporali alla presunzione di paternità legittima.

Secondo la Corte non rileva neppure la eventuale illiceità (in Italia) della PMA  post mortem, perché il rilievo fondamentale è dato alla tutela del minore, alla certezza del suo status quali che siano stati i modi cui si è giunti alla sua nascita , né egli potrebbe rispondere di illeciti dei suoi genitori; si richiama in proposito la vicenda della fecondazione eterologa che la legge 40/2004 nel testo originario (prima della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014) vietava,  assicurando però piena tutela al figlio comunque nato da tale pratica; nega che vi sia lesione del diritto del minore alla bigenitorialità (benchè nasca orfano) perchè la alternativa per lui sarebbe non nascere.

Molteplici sono le implicazioni di questa pronuncia, sotto vari profili, anche   interrogativi (non affrontati dalla sentenza):

  • non operando la presunzione di paternità, la attribuzione di status post mortem si fonderà sugli stessi principi per i figli di coppie coniugate e per i figli di coppie non coniugate; ergo è lecito chiedersi chi renderà la dichiarazione per la attribuzione di paternità in questo secondo caso?
  • Il riconoscimento può avvenire anche per testamento , ma ci troviamo di fronte ad un testamento (che deve possedere determinati requisiti anche formali) ? Il consenso all’utilizzo del seme equivale al riconoscimento?
  • il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, posteriore alla nascita o al concepimento, si attua con dichiarazione apposta nell'atto di nascita, davanti allo ufficiale di stato civile, o al GT ( di ex pretura, prima del giudice unico), o in un atto pubblico o in un testamento, quindi in deroga alla disciplina codicistica in questo caso si dovrebbe  ammettere un riconoscimento anteriore al  concepimento, fondato su una dichiarazione di consenso che non riveste nessuna di queste forme;
  • sul piano successorio: il figlio concepito post mortem, quindi quando la successione si è già aperta, è erede del defunto ? Lo art. 462 cc ammette la chiamata alla eredità, in caso di successione legittima, solo per coloro che sono nati o concepiti al tempo della apertura della successione, presumendosi concepiti quelli nati entro 300 giorni dalla morte del de cuius ; anche questa presunzione confligge con la fattispecie della fecondazione post mortem.  Potrebbero essere passati anni e la successione già definita; se difettano i presupposti per la successione legittima, a che pro lo status di figlio? Mancando il profilo patrimoniale, nonché quello personale legato allo esercizio della genitorialità da parte della figura paterna, per il minore si tratterebbe solo in un interesse morale a conservare il cognome paterno (irrilevanti i titoli nobiliari per effetto della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione), al massimo ai fini della cittadinanza;
  • circa la successione testamentaria : il testatore può istituire eredi i figli di una determinata persona vivente al momento della sua morte, benchè non ancora concepiti; la norma sottende che i figli futuri, ancora da concepire, siano i i figli di una persona diversa dal testatore, non i figli del testatore stesso, però il problema in questo caso potrebbe essere risolto istituendo erede il figlio della partner.                                                                                                                 

La  donazione del gamete può avvenite anche da parte femminile e questa fattispecie va inquadrata tra i profili controversi della maternità: spesso si ripete “madre è colei che partorisce”, in realtà questa  definizione nel codice civile non esiste o meglio ne esiste un'altra che esprime diversamente lo stesso concetto, si tratta dello art. 269 3°co cc che è una norma sulla prova: la maternità è provata dimostrando la identità tra colui che si assume essere figlio e di colui che fu partorito da quella donna che si assume essere madre:  il riferimento coerentemente alla nostra tradizione è sempre all'evento del parto, indissolubilmente legato alla gestazione,   restando irrilevante la modalità del concepimento; questa  regola trova conferma nella legge 40/04 il cui art. 9 afferma che il donatore di gameti non ha relazione giuridica con il nato, quindi la donna che partorisce è l'unica cui può essere attribuita la maternità

Le tecniche alternative alla procreazione naturale, sempre più evolute e diffuse, consentono però  una diversa espressione dell'evento parto-gestazione, anzi diverse espressioni, in cui la madre biologica non coincide con la madre gestante, oppure non coincide con la madre intenzionale, il cosiddetto genitore sociale o di intenzione

Possono ipotizzarsi 4 situazioni:

1) donazione di gameti, maschili o femminili a favore di una donna che porta a termine la gravidanza al fine di realizzare un progetto di genitorialità di coppia (ciò avviene con la PMA tramite la fecondazione eterologa, che in Italia è consentita alle coppie eterosessuali, in questo caso il nato ha lo status di figlio di quella coppia e la maternità è attribuita alla donna che ha partorito)

2) donazione di ovociti nell'ambito di una coppia omosessuale femminile: una delle donne fornisce l'ovocita che viene impiantato nell'utero della compagna e fecondato tramite un terzo donatore;
3) maternità surrogata, in cui il marito col consenso della moglie feconda lo ovocita di una donna che si impegna a portare a termine la gravidanza e consegnare il bambino alla coppia; il materiale biologico femminile è quello della gestante;
4) il cosiddetto utero in affitto in cui lo embrione viene formato extra utero con materiale genetico della coppia committente e successivamente impiantato nell' utero di una donna che si presta a portare a termine la gravidanza e consegnare il bambino alla coppia.

Solo la prima ipotesi trova una disciplina e un riconoscimento nella legge della PMA; tutte le altre non sono regolamentate positivamente, anzi risultano illecite in Italia, ma non mancano persone che ricorrono a queste pratiche all'estero nei paesi ove, seppure con diverse modalità, vengono consentite; queste ipotesi si prestano anche a soddisfare il progetto di genitorialità delle coppie omosessuali o omoaffettive, ovviamente ricorrendo alla donazione di gameti, generando un bambino che ha un legame genetico con uno dei due partner, e nel caso di coppia femminile potrebbe avere anche un legame gestazionale con la donna che lo partorisce.

Si pone quindi il problema dello status di questi figli, posto che la aspirazione alla genitorialità, una volta soddisfatta sul piano della procreazione, conduce alla pretesa di ottenerne un riconoscimento giuridico, quello che sul piano personale nasce come desiderio si vorrebbe che divenga un diritto, facendosi valere lo interesse del minore alla bigenitorialità nonché lo interesse del genitore intenzionale a creare un vincolo col bambino che sopravviva alla disgregazione della coppia;

quindi se il minore è nato all'estero tramite queste pratiche, si vorrebbe  richiedere la trascrizione in Italia dell'atto di nascita straniero che riporta la genitorialità dei committenti, due padri o due madri; secondo i principi generali del nostro diritto internazionale privato (art. 65 L 218/1995) la trascrivibilità di un atto formato all'estero, seppure legittimo secondo la legislazione straniera, è subordinata alla non contrarietà all'ordine pubblico, quindi tutto si gioca sulla nozione di ordine pubblico.

A proposito della genitorialità omosessuale maschile da maternità surrogata muoviamo le mosse dalla Sentenza Cass. SU n. 12193 del 2019, molto attesa dagli operatori giuridici e dal variegato mondo Lgbt; la Corte di Cassazione doveva  esaminare il provvedimento impugnato, cioè l'ordinanza 23 febbraio 2017 della Corte di Appello di Trento; in estrema sintesi la ordinanza di Trento aveva affermato che non contrasta con lo ordine pubblico l'atto straniero che indica per due bambini nati da maternità surrogata la doppia paternità, cioè il padre biologico e il padre intenzionale, riteneva conforme allo interesse dei minori conservare la identità acquisita all'estero, non riteneva ostativo il divieto, in Italia, della maternità surrogata, né il difetto di legame biologico con il padre intenzionale, rilevando piuttosto la consapevole assunzione della responsabilità genitoriale; la ordinanza non è un fulmine a ciel sereno, cioè si inserisce in un filone giurisprudenziale già in corso, infatti cita il precedente Cass. 19599/2016 che riguardava il caso di due madri, ammettendo la trascrizione dell'atto di nascita di un figlio da due donne, una che ha donato l'ovulo e l'altra che l'ha partorito, sulla base di una nozione piuttosto restrittiva dell'ordine pubblico internazionale; nel 2017 vi era stato un analogo arresto , Cass. 14878/17, sempre in riferimento ad una coppia di donne, sicchè queste pronunce, dalla portata apparentemente generale,  avevano portato parte della giurisprudenza di merito ad ammettere la efficacia in Italia di atti di nascita stranieri che prevedono una doppia genitorialità maschile ; ricordiamo in particolare il caso molto problematico della ordinanza 28 dicembre 2016 della Corte di Appello di Milano (nascita di due gemelli in California a seguito di una gravidanza gemellare surrogata ottenuta tramite due ovociti donati da una diversa donna -diversa dalla gestante- e fecondati da due uomini diversi, quindi i due bambini benchè gemelli hanno due padri diversi ; in sintesi la giurisprudenza di merito favorevole alla trascrizione in Italia affermava che il divieto in Italia della maternità surrogata non implica la contrarietà all'ordine pubblico poiché si tratterebbe di un limite interno scevro da vincoli costituzionali, tanto più che le fonti sovranazionali impongono di tutelare il superiore interesse del minore ; il riconoscimento della sua filiazione dal padre intenzionale ha infatti effetti patrimoniali (mantenimento e successione) e incide sul diritto alla identità personale del minore; inoltre viene ammessa la efficacia in Italia di sentenze straniera di adozione piena da parte del padre omosessuale maschile, e la possibilità di adozione mite (art. 44 1° comma lett. D Legge 184/83) in Italia.

In questo panorama giurisprudenziale si inserisce appunto la Cassazione 22-2-2018 n. 4382 che dovendo scrutinare la ordinanza di Trento, impugnata dalle autorità amministrative, invece di decidere nel merito, chiede al primo presidente la rimessione alle sezioni unite delle questioni di massima importanza, che attengono, quanto ai profili procedurali, alla legittimazione delle autorità amministrative (sindaco e ministro dello interno) e, quanto a quelli sostanziali, alla controversa nozione di ordine pubblico; diciamo che la nozione è controversa perchè trattandosi di clausola generale occorre riempirla di contenuto e questa operazione è complessa quando interferisce con istituti estranei alla nostra tradizione giuridica; la ordinanza di rimessione alle sezioni unite del 2018 segnala infatti che vi sono stati interventi contrastanti della stessa Corte sul tema: quella (che potremmo definire di apertura ) 19599/2016 ( la stessa a cui si era adeguata la Corte di Appello di Trento) e altra (Cass. 16601/17 a sezioni unite) che pur facendo propria una nozione di ordine pubblico aperta ad esperienze straniere chiarisce che Costituzione e tradizioni giuridiche costituiscono un limite ancora vivo allo ingresso di istituti e sentenze straniere nel nostro sistema.

Della soluzione adottata dalla  Cassazione a sezioni unite 12193/19 si è detto da parte dei commentatori che la Corte ha fatto un gioco di prestigio, cioè lo insostenibile sforzo di negazione del contrasto suddetto; configura lo ordine pubblico come una sorta di mosaico composito in cui concorrono principi desumibili dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali, ma anche la legge ordinaria italiana (letta conforrmemente alla Costituzione) perchè nella nostra legge ordinaria, quindi nella disciplina dei singoli istituti, si incarnano i valori consacrati dalla Costituzione, tenuto conto, contemporaneamente, della mutevolezza e relatività, nel tempo, della nozione di ordine pubblico, soggetta a modificazioni in dipendenza della evoluzione dei rapporti politici, economici e sociali; ergo si tratta di un diritto vivente, alla cui composizione concorre anche la giurisprudenza, quella della Corte Costituzionale e quella della magistratura ordinaria.

Detto ciò, la sentenza esamina il caso sub iudice, cioè il provvedimento straniero che riconosce sotto il profilo dello status la doppia genitorialità maschile, derivata da una maternità surrogata;  uno soltanto dei due è padre biologico, come risulta in forza del provvedimento canadese già trascritto, mentre la parte in discussione concerne l'altro partner indicato come co-padre; la sentenza afferma che questo provvedimento non può essere trascritto perchè contrastante con l'ordine pubblico: il divieto di maternità surrogata è sanzionato penalmente ( diversamente dallo originario divieto della fecondazione eterologa , che era passibile solo di sanzione amministrativa), ergo per scelta del legislatore è un limite di ordine pubblico che prevale anche sullo interesse del minore alla stabilità dello status; il divieto di maternità surrogata è qualificabile come principio di ordine pubblico poiché posto a tutela di valori fondamentali quali la dignità umana della gestante e l'istituto di adozione; quindi non vi sarebbe un contrasto con i precedenti arresti favorevoli alla trascrizione di atti stranieri, che riguardavano la doppia genitorialità femminile, ove non si trattava di maternità surrogata ma di fecondazione eterologa; la Corte afferma infine di non porsi in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale, in particolare con quella della Cedu, che riconosce ampio margine di apprezzamento agli stati membri in caso di maternità surrogata; la volontarietà del divenire genitori non può essere esercitata senza limiti , tra i quali rientra appunto il divieto della maternità surrogata; la sentenza conclude succintamente circa la posizione del minore affermando la possibilità di dare rilievo al rapporto genitoriale intercorso con il genitore di intenzione tramite altri strumenti giuridici come la adozione in casi particolari prevista dallo art. 44 1°co. Lett d legge 184/1983

Circa la indagine sullo ordine pubblico, a mio avviso nella complessa ricostruzione del  mosaico composito di cui sopra non si potrebbe obliterare il dato di realtà, posto che il nostro   ordinamento di stato civile è ispirato ad un principio di realismo, che si esprime anche nelle norme ordinarie sulla filiazione , per esempio la maternità di colei che partorisce, ergo è difficile ammettere la efficacia di un atto straniero che riporti indicazioni fantasiose;  in un certo senso, dire che un tale è nato da padri è come dire che l'ha portato la cicogna, cioè non corrisponde alla realtà fattuale; si potrebbe obbiettare che gli atti stranieri qui in esame non hanno a che vedere con miti o favole, ma non possiamo escludere fattispecie assai vicine: in proposito ricordo il caso  giudiziario dello atto di nascita ucraino (poi trascritto in Italia)  che indicava un tale come padre naturale di una bambina;  la madre (interessata ad ottenere come madre single gli assegni familiari per la figlia) ne chiedeva la rettifica, dimostrando documentalmente che si trattava di  nominativo “di fantasia”, ovvero di padre inesistente, menzionato fittiziamente nell'atto di nascita in conformità alla legislazione locale, che tradizionalmente reputa disdicevole  per il nato l'essere definito “figlio di n.n” cioè il non venir riconosciuto dal padre; l'atto venne  rettificato dal Tribunale di Como sulla base di una serie di argomenti giuridici ma fondamentalmente perchè urta con la nostra sensibilità giuridica indicare scientemente  una falsità in un atto della anagrafe e legittimare una falsità sulla discendenza di una persona, escludendosi che  la falsità possa coincidere con lo interesse del minore

La  sentenza del 2019 delle sezioni unite in tema di maternità surrogata e trascrizione di atti stranieri segna un punto miliare su questi temi,  ma non è lo intervento definitivo perchè una successiva ordinanza della Cassazione (1°sezione 29 aprile 2020 n. 8325) dovendo decidere di un caso analogo solleva la questione di legittimità costituzionale di tutta una serie di norme, così come interpretate dalla sezioni unite, osservando che il diritto vivente incarnato da tale pronuncia potrebbe porsi in contrasto con le norme costituzionali e e convenzioni internazionali relative ai diritti del minore, a causa del mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione, non apparendo sufficiente alla tutela del minore il rimedio della cosiddetta adozione mite.

A proposito della adozione in casi particolari (c.d mite), che la Cassazione aveva ritenuto valvola di chiusura per tutelare la relazione del minore con il genitore sociale o intenzionale, va rilevato che, nonostante la denominazione dello istituto, non si tratta di un fenomeno di nicchia, all'indomani della legge del 2012 sulla filiazione uno studio segnalava che si trattava di un terzo di tutte le adozioni di minori che ogni anno vengono pronunciate in Italia (6) ed il dato non può che essersi incrementato nel successivo decennio;  si tratta di fattispecie in cui è consentita la adozione di un minore pur non ricorrendo tutti i requisiti previsti dalla legge 184/1983 in particolare lo stato di abbandono del bambino; il caso più noto è la adozione del figlio del coniuge ma vi sono anche altri casi come la adozione da parte di un parente, anche da parte di persone non coniugate e il caso in cui non sia possibile lo affidamento preadottivo cioè la lettera d dello art. 44 comma 1 legge 184/1983 (impossibilità da intendersi non solo come impossibilità di fatto ma anche in diritto) ; lo istituto veniva definito adozione “mite” per contrapporlo alla adozione “piena” cioè quella legittimante che riguarda i minori in stato di abbandono; si dice “mite”  perchè se il minore non è completamente orfano, si richiede il consenso del genitore biologico (che potrebbe mancare per varie ragioni ), e perchè il minore adottato conserva i legami parentali con la sua famiglia di origine, quindi si potrebbe dubitare della creazione di legami con i parenti dell'adottante (il bambino è sì  figlio di X ma anche nipote di Y, cugino di K.?) ; in dottrina (7) in realtà all'indomani della legge sulla filiazione del 2012 si era affermato che i legami si creavano eccome, visto il nuovo testo dello art. 74 cc che definisce la parentela, imponendo quindi la unicità dello stato di figlio con l'unica eccezione della adozione del maggiore di età, ma il dibattito era proseguito

La questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla ordinanza 8325/ 2020 viene ritenuta inammissibile da due sentenze della Corte Costituzionale; si tratta delle sentenze 32 e 33 del 2021 le quali appartengono al genere delle sentenze monitorie cioè pur rilevando aspetti di criticità dello istituto della adozione in casi particolari (quali la necessità di maggiore speditezza, la necessità del consenso del genitore biologico, il problema della parificazione alla adozione cosiddetta piena) hanno ritenuto di non poter intervenire direttamente in una materia devoluta alla valutazione discrezionale del legislatore in un terreno denso di implicazioni etiche e antropologiche prima ancora che giuridiche.

Ma non è ancora l'ultima parola: una nuova pronuncia della prima sezione della Cassazione ( 1°sezione 18 ottobre 2021/21 gennaio 2022) prende le mosse dallo intervento della Corte Costituzionale, invocando una evoluzione del diritto vivente e chiede di rimettere la decisione sugli stessi temi alle Sezioni unite, per valutare se sia superabile in via interpretativa il vuoto normativo circa la tutela del minore che si sarebbe creato a seguito delle citate sentenze della Corte Costituzionale, ; questo perchè benchè la Corte Costituzionale avesse rilevato la inadeguatezza dello istituto della adozione mite (quindi per così dire sconfessando lo orientamento delle sezioni unite del 2019), il legislatore non era ancora intervenuto in materia, nonostante il monito; la ordinanza di rimessione chiede inoltre se sia possibile selezionare le fattispecie di maternità surrogata onde indagare caso per caso sulla contrarietà all'ordine pubblico (verificare se sia o meno frutto di scelta libera e consapevole della donna gestante, revocabile fino alla nascita del bambino e scevra da motivazioni economiche)

Quindi interviene nuovamente sul tema la Cassazione a sezioni unite con la sentenza SU n. 38162 del 30 dicembre 2022 (è auspicabile che questo sia l'intervento definitivo sulla vexata questio della maternità surrogata) e, in sintesi affronta il problema nei seguenti termini:  afferma  il lamentato vuoto normativo non sussiste; è vero che la norma incriminatrice della maternità surrogata lascia scoperto il caso in cui essa venga praticata all'estero e nulla dice sulla sorte del nato, ma è altresì vero che i diritti del minore a mantenere la relazione col genitore sociale o intenzionale trovano adeguata tutela tramite la  adozione nei casi particolari per due motivi : in primo luogo perchè in forza di una recente sentenza della Corte Costituzionale ( sentenza 79 del 2022 successiva alla ordinanza di rimessione) è stato rimosso lo impedimento alla costituzione di rapporti civili con i parenti dell'adottante, quindi il minore adottato dal genitore intenzionale entra pacificamente  in relazioni giuridiche con i parenti di questo, come avviene con la adozione piena; in secondo luogo perchè la necessità del consenso del genitore biologico può essere superata quando il rifiuto a dare il consenso è ingiustificato, quindi contrario allo interesse del minore, secondo il modello normativo del dissenso al riconoscimento ; ergo il genitore biologico potrebbe negare l'assenso alla adozione solo quando il partner non abbia intrattenuto alcun rapporto di cura o affetto con il nato, cioè abbia partecipato al progetto procreativo ma poi si sia disinteressato del bambino; il riconoscimento della genitorialità quindi va affidato non al meccanismo automatico della trascrizione ma ad uno strumento giudiziario che presuppone una valutazione caso per caso dello effettivo interesse del minore e della idoneità genitoriale dell'adottante ; confutando le argomentazioni della parte ricorrente (due uomini che avevano realizzato un progetto procreativo tramite maternità surrogata nella British Columbia e ottenuto un provvedimento che li dichiarava entrambi padri del bambino) la Cassazione ribadisce che il divieto di maternità surrogata costituisce un limite invalicabile di ordine pubblico  trattandosi di pratica lesiva della dignità di ogni essere umano, ovvero offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; la trascrizione dell'atto straniero va impedita proprio per disincentivare ed arginare questa pratica; anche quando essa sia consentita nel paese straniero e non sia collegata a motivazioni economiche, la sanzione penale esprime l'alto grado di disvalore attribuitole dal legislatore che intende porre un confine al desiderio di genitorialità ad ogni costo, che pretenda di utilizzare il corpo di una altra persona per realizzare un progetto altrimenti irrealizzabile; posto questo confine, lo interprete non può selezionare le fattispecie onde ritagliare quelle ritenute  lecite cioè non idonee a vulnerare il bene protetto; lo ordinamento italiano mantiene fermo il divieto e rifugge dallo automatismo della trascrizione ma “non volta le spalle” al nato , ammettendo la possibilità della adozione previa verifica della esistenza di un rapporto di cura ed affettività.

A ques'ultimo proposito va da ultimo segnalato che con la recente ordinanza n°562 del 24-4-2023 il Tribunale di Milano ha ravvisato un vuoto di tutela nella ipotesi in cui il genitore biologico (del minore nato da maternità surrogata) sia deceduto prima che il genitore intenzionale potesse attivare la procedura di adozione in casi particolari, ed ha ritenuto doveroso colmarlo, a tutela dei diritti del minore, altrimenti “ orfano”, accogliendo il ricorso del genitore intenzionale ed autorizzando la rettifica dell'atto di nascita di un minore sulla base del certificato di nascita redatto a New York recante la doppia paternità; come emerge dalla articolata  motivazione, il Tribunale ha ritenuto impraticabile lo strumento della adozione a causa della impossibilità di recepire il consenso del genitore biologico, ma non ha inteso né interpretare la normativa della adozione in termini tali da superare il problema del “consenso impossibile” (ipotesi diversa da quella  del rifiuto del consenso, esaminata nella sentenza SU 38162 del 30-12-2022, ma a mio avviso non dissimile sul piano degli effetti pratici ) né sollevare la questione di costituzionalità  della normativa suddetta nella parte che qui interessa.

In margine a questa ricostruzione del percorso giurisprudenziale, alcuni cenni vanno dedicati alle  proposte di modifica della disciplina della maternità surrogata; in primo luogo va segnalato il testo base di una proposta di legge predisposta da membri del governo attuale (deputati Varchi e altri di Fratelli d'Italia) nel marzo 2023: la proposta intende far diventare la maternità surrogata un reato universale, posto che attualmente, pur essendo una pratica vietata penalmente in Italia, non ricorrono i presupposti di legge per perseguirla se commessa all'estero

Per contro, un opposto orientamento ritiene che trattandosi di pratica lecita in non pochi paesi, anche occidentali (Russia Ucraina Grecia Gran Bretagna, vari stati USA e province del Canada, non alieni dalla c.d civiltà giuridica, ) e ormai “sdoganata” da parte del comune sentire, si renderebbe opportuna una sua regolamentazione in Italia, ovvero da più parti si auspica che il legislatore,   o addirittura in sua vece la Corte Costituzionale esercitando un sorta di “creazionismo giudiziario” (vedasi intervento del prof. Zagrebelsky sul quotidiano “La Repubblica” del 25-5-2023) provveda in materia  regolamentando la pratica o la trascrizione degli atti stranieri che l'hanno legittimata, sulla base di una serie di considerazioni, giuridiche e metagiuridiche del tipo :

la legge consente a certe condizioni le donazioni di organi tra viventi;

la gratuità della pratica (o l'intento “solidale” della gestante) ne escluderebbe il disvalore;

la madre che partorisce per conto di altri non è poi  dissimile dalla madre che non riconosce il figlio o non vuole essere nominata;

il progetto genitoriale di queste coppie (anche eterosessuali) è assimilabile a quello della adozione internazionale.

      Sul punto mi limito a brevi  osservazioni personali circa alcuni importanti punti del dibattito: la gratuità (o lo intento altruistico dell'agente) non sempre esclude il disvalore anche penalistico di una condotta; in ogni caso la sanzione penale esprime a livello giuridico il disvalore dell'atto, il quale è punito poiché ritenuto oggettivamente un male ( male uguale antitesi al bene comune) , cioè non è male sol perchè vietato dalla legge penale;  mi sembra poi fuori luogo il paragone con la adozione internazionale, che è un percorso ispirato alla accoglienza di un bambino “diverso “ da sé, e comunque presuppone una valutazione ( da parte del giudice minorile) di idoneità in capo alla della coppia aspirante alla adozione, il che non avviene per le coppie  che decidono di ricorrere alla maternità surrogata.

Fra le varie proposte di regolamentazione segnalo per la sua particolarità lo schema di disegno di legge predisposto dalla redazione della rivista on line “wwwart. 29.it”(8) che prevede un controllo pubblicistico sulla procedura, tramite lo intervento del giudice (??) in ogni sua fase, e introduce nella legge 40/2004 l'art. 7 bis cioè il patto di gravidanza, una sorta di accordo civilistico tra la donna e la coppia di committenti, con facoltà di ripensamento per la donna e suo diritto di visita con il figlio, patto non necessariamente a titolo gratuito purchè la gestante non si trovi in condizioni di bisogno (è lecito chiedersi come tale condizione andrebbe verificata:  tramite dichiarazioni fiscali, modello ISEE,  indagini di polizia tributaria ecc...?).

 

Un discorso a parte merita la fattispecie della doppia maternità femminile: entrambe le donne ambiscono al ruolo di madre, una è la donatrice di ovocita e l'altra è la gestante, cioè si fa inseminare con lo ovocita fecondato da un anonimo donatore; la fattispecie si differenzia dalla gestazione per conto di altri poiché la gestante partecipa in prima persona al progetto procreativo, anche nel proprio interesse, ovvero per soddisfare il proprio desiderio di maternità nell'ambito della coppia omoaffettiva; si tratta quindi non di maternità surrogata ma di fecondazione eterologa, pratica che in Italia è vietata per le coppie omosessuali, ma quando venga eseguita all'estero nei paesi ove è consentita (per esempio Spagna) si porrà il problema del riconoscimento in Italia dell'atto di nascita straniero che indica la doppia maternità, la madre gestante e quella biologica; entrambe le donne hanno un legame naturale con il bambino ma una sola è quella che partorisce

 Come sopra esposto,  su questa tema vi era stata una apertura della Cassazione (vedasi anche Cass. 14007/2008 che teneva conto del diritto del minore alla stabilità familiare) che aveva indotto la giurisprudenza di merito ad “allargarsi” anche per la doppia paternità maschile, ma in seguito la Cassazione è tornata sui suoi passi : vedasi le sentenze Cass. 8029/2020, 7668/2020 6382/2022 che nel caso di minore nato in Italia dopo la eterologa eseguita all'estero dalle due donne hanno ritenuto inammissibile inserire nell'atto di nascita il nome della madre intenzionale o sociale accanto a quello della gestante; si è affermato che nel diritto interno solo una persona ha diritto di essere menzionata nell'atto di nascita come madre, cioè colei che partorisce; è irrilevante il consenso manifestato dalla madre intenzionale alla pratica di PMA così come il suo legame biologico con il nato perchè le norme della legge 40/2004 che regolano gli effetti del consenso nell'ambito della PMA, non si applicano alle coppie omosessuali, essendo loro vietato lo accesso alla pratica; queste sentenze presuppongono tutte la sentenza della Corte Costituzionale 23 ottobre 2019 n. 221 che ha respinto la questione di costituzionalità delle suddette norme limitatrici; la Corte Costituzionale aveva rilevato che la infertilità fisiologica della coppia omosessuale non è assimilabile alla infertilità patologica ed irreversibile della coppia eterosessuale, così come non lo è la infertilità fisiologica della donna sola e quella della coppia eterosessuale di età avanzata, trattandosi di fenomeni ontologicamente distinti, ergo la esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è fonte di discriminazione basata sull'orientamento sessuale.

La sentenza Cass. n. 7413/22, conforme alle precedenti, aggiunge che non sarebbe ammissibile una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme della legge 40/2004 che pongono questo limite, non potendosi ritenere tale operazione giurisprudenziale imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela, che richiede, in materia eticamente sensibile, lo intervento del ,legislatore; quindi, anche ammesso che vi sia la discriminazione e il vuoto di tutela, sul tema dovrebbe intervenire il legislatore.

Sempre in tema di trascrizione di atti di nascita si segnalano alcuni recenti avvenimenti:

il primo riguarda la proposta di regolamento comunitario avanzata dalla Commissione Europea il 7-12-2022 sottoposta alla consultazione del Parlamento europeo, che per essere approvata richiede la unanimità di tutti gli stati membri, regolamento finalizzato a dare una disciplina unitaria circa il riconoscimento degli atti pubblici e delle decisioni in materia di filiazione e alla creazione di un certificato europeo di filiazione; il regolamento proposto prevede il riconoscimento automatico da parte di ogni stato membro delle decisioni giudiziarie e degli atti pubblici relativi alla filiazione, indicandosi quale criterio prioritario per individuare la competenza ad emettere le decisioni e formare gli atti pubblici la residenza abituale della donna che partorisce (invece della cittadinanza del figlio o dei genitori), criterio peraltro facilmente modificabile ai fini del forum shopping; il certificato di filiazione emesso in uno stato membro avrebbe efficacia immediata anche in stati diversi da quello che ha emesso perchè si tratterebbe di un atto europeo, non straniero, soltanto eccezionalmente uno stato potrebbe invocare la clausola di ordine pubblico per impedire il riconoscimento del certificato nel proprio ordinamento; la commissione per le politiche europee del Senato italiano ha espresso un motivato parere contrario alla proposta di regolamento, per violazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità , affermando che esso potrebbe essere accettato solo a condizione di poter invocare la clausola di ordine pubblico in via generale

Altro recente avvenimento degno di rilievo è il provvedimento del prefetto di Milano che su indicazione del Viminale ha vietato al Comune di Milano di trascrivere gli atti di nascita di provenienza straniera in cui figurano come genitori i membri di una coppia omosessuale;  il divieto è per così dire definitivo per le coppie maschili perchè la procreazione è avvenuta tramite la maternità surrogata; la interdizione  è estesa agli atti di nascita dei minori nati in Italia che indicano due madri, per le coppie femminili, mentre la trascrizione degli atti che riportano le due madri di bimbi nati all'estero per il momento è sospesa ma la prefettura ha chiesto in merito un parere alla Avvocatura di Stato

 A titolo personale osservo che le procedure consentite dai sindaci “arcobaleno” (non solo a Milano) sono il frutto (quantomeno a titolo di concausa) della confusione generata dalle oscillazioni della giurisprudenza, posto che, metaforicamente, una volta aperta una porta, in queste materie, poi risulta difficile richiuderla.

In terzo luogo un recente provvedimento della CEDU, che ha avuto grande risalto mediatico  ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da diverse coppie omosessuali  italiane che chiedevano il riconoscimento degli atti di nascita, recanti la indicazione di due padri o due madri, relativi a  bambini nati all'estero da maternità surrogata o nati in Italia da coppie omosessuali femminili tramite fecondazione eterologa eseguita all'estero; la Cedu ha ribadito la necessità di riconoscere, a certe condizioni, il legame tra il minore ed il genitore intenzionale, atteso l'interesse del minore  alla identificazione delle persone che hanno la responsabilità della sua crescita, ma ha altresì affermato (confermando in parte qua un precedente arresto del 28-5-2021) che i singoli stati hanno un margine di apprezzamento nel decidere le forme con cui dare attuazione a tale riconoscimento, margine di apprezzamento in cui rientra, nel caso dell'Italia, lo strumento della  adozione in casi particolari, il quale non era stato attivato dai ricorrenti, pur avendone la facoltà.

Infine ha a che fare con la genitorialità anche la procedura di rettifica di sesso regolata dalla legge 164/1982 e novellata con legge 150/2011, così come applicata ed interpretata a seguito degli interventi della Corte Costituzionale (C.Cost- 221/2015 (sentenza che nella motivazione in realtà fa riferimento alla esiguità numerica del fenomeno, cosa evidentemente non più attuale);  attualmente è possibile pervenire alla rettificazione senza una vera e propria modificazione anatomica, ovvero senza modificare chirurgicamente gli organi sessuali primari e riproduttori, essendo sufficiente un imprecisato percorso di transizione e un comportamento sociale corrispondente alla percezione soggettiva; queste procedure sono ormai in continuo aumento innanzi ai tribunali ordinari (mi viene riferito che solo presso il Tribunale di Como ne vengono iscritte a ruolo almeno 10 all'anno), per persone sempre più giovani;  data la difficoltà di reperire i consulenti, anche a causa della ammissione al gratuito patrocinio dei ricorrenti, per necessità la indagine si limita ad esaminare la documentazione proveniente dai centri medici di Milano Niguarda e Torino, dove i ricorrenti hanno esperito un percorso pubblico di transizione, il che può essere un limite alla indagine, non potendo cioè emergere un diverso approccio medicale al problema; in sintesi i  presupposti della transizione sono rappresentati dalla autodeterminazione dell’io, intesa come facoltà di definire la propria identità superando il limite biologico e la “percezione” del sé.

Questi presupposti sono entrambi “scivolosi”, il primo perché totalmente autoreferenziale, il secondo perché “sentirsi” X o Y attiene alla sfera della emotività (nella quale il diritto dovrebbe entrare in punta di piedi) piuttosto che a quella della razionalità; a prescindere dal fatto che le scienze psicologiche predichino il benessere psichico della persona come equilibrio tra emotività e razionalità e che la emotività può essere condizionata dalla salute mentale o da una sofferenza psichica più generale, da traumi subiti ecc.. osservo che  viene assegnata alla componente emotiva della persona il ruolo di criterio di orientamento non solo delle scelte personologiche ed individuali ma anche dello intervento giudiziario.

 Tutto ciò deve far riflettere perché in altre ipotesi, anche in materie sensibili, lo ordinamento non riconosce questo ruolo dirimente alla percezione soggettiva. Ad esempio : nella procedura di riconoscimento di paternità non rileva il “non sentirsi genitore”( un tale potrebbe aver concepito un figlio tramite un rapporto occasionale, senza alcun progetto di genitorialità, come spesso emerge in queste procedure)  a fronte del diritto del figlio alla propria identità, al mantenimento ecc.., in caso di separazione coniugale non può essere omologata, cioè ratificata dal tribunale, la “separazione in casa” perché il sentirsi soggettivamente svincolati dai doveri matrimoniali non è ritenuto sufficiente per incrinare il vincolo.

Si potrebbe obbiettare che in questi ultimi casi la percezione soggettiva non rileva perché sono in gioco i diritti dei terzi (il figlio da riconoscere, l’altro coniuge separando ed i figli della coppia), ma in realtà anche la rettifica di sesso coinvolge potenzialmente soggetti minori, che potrebbero essere generati dai trans-gender, poiché questi ultimi  spesso (volontariamente) conservano la possibilità di divenire genitori conformemente al proprio sesso biologico; i trattamenti ormonali con i quali si ottiene un certo lifting per contrastare gli aspetti esteriori del proprio sesso biologico non hanno infatti effetti irreversibili e comunque possono essere sospesi, con la conseguenza che una “donna” potrebbe diventare padre e un “uomo” potrebbe essere “gravido”, come illustrato qualche tempo fa dalla famosa copertina de L’Espresso (mi viene riferito  essere pendente presso il Tribunale di Como  la procedura attinente ad un uomo che ha donato il seme e poi è diventato donna, quindi “madre” del figlio concepito, che vorrebbe riconoscere in qualità di padre), inoltre le attuali bio-tecnologie consentono ai soggetti che iniziano le terapie ormonali di congelare i propri gameti onde conservare la propria fertilità (questa prassi mi è stata personalmente riferita da un consulente tecnico d'ufficio, sanitario del reparto specialistico di Milano Niguarda); l’unico argine a questa deriva può essere dato da un uso consapevole dello strumento giudiziario, ove il giudice si faccia carico di una effettiva indagine, nell'ambito del percorso di transizione effettuato dalla persona, sul suo atteggiamento nei confronti della genitorialità : ad esempio se una donna, seppure dichiari di percepirsi come uomo, riferisce al giudice o al consulente di non volere asportare utero ed ovaie perchè “non si sa mai”, cioè conserva una aspettativa di fecondità in termini biologici di maternità, a mio avviso non si potrebbe considerare definito il suo percorso di transizione perchè la sua identità risulta ancora fluida; la sua scelta ovviamente sarebbe lecita sul piano privato, ma dubito che possa tradursi sul piano pubblicistico in una rettifica anagrafica (lo stato civile è una sfera della amministrazione statale che persegue finalità pubblicistiche); mi sembrerebbe cioè fuori luogo, in un panorama già così complesso, aggiungere confusione a confusione, anche a discapito dei figli che in futuro potrebbero nascere, privi di ogni certezza sulla propria origine.

Il problema è serio ed in effetti si è posto a livello europeo: è noto infatti che  l'art. 40 del codice civile turco impone la incapacità procreativa come requisito preliminare per accedere alla rettifica anagrafica del sesso ma  la Corte di Strasburgo (sentenza 11-3-2015) ha ritenuto che questa imposizione violi lo art. 8 della CEDU che tutela il diritto al rispetto della vita privata;  non può  dunque escludersi che per la nostra giurisprudenza si apra  un nuovo fronte, ovvero il tema di indagine circa procreazione e filiazione da trans-gender.

(1) L.Lenti “La sedicente riforma della filiazione”in Nuova giurisprudenza civile commentata 2013 parte II p. 201; cfr anche M.Mantovani “I fondamenti della filiazione” in Trattato di diritto di famiglia vol II p. 18 ss

(2) L:Lenti ibidem

(3) L.Lenti ibidem

(4) interventi di G. Ferrando e M.Mantovani in “Genitori e figli, quale riforma per le nuove famiglie”- Atti del Convegno di Genova 4-5-2012 a cura di G.Ferrando e G.Laurini

(5) Foro Italiano 2019, parte prima, pag.1952.

(6) L.Lenti ibidem che cita L.Fadiga “La adozione legittimante dei minori” in Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2020, vol. II, p. 918.

(7) P. Morozzo della Rocca in “Famiglia e Diritto” 8-9-2013 p.838. (8) Foro Italiano, 2019, parte prima, p. 2009.

 

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RIVISTA ISSN 2532 - 4853 Il Diritto Vivente [on line]

 

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