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PENALE  

Recensione - Pensiero causale e pensare complesso. Contributo di un penalista di S. Aleo

  Penale 
 giovedì, 29 ottobre 2020

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a cura di Enrico LANZA, Ricercatore di diritto penale presso l’Università degli Studi di Catania

 
 

Questo lavoro di Salvatore Aleo, Pensiero causale e pensare complesso. Contributo di un penalista, edito per i tipi di Pacini Giuridica nel 2020, costituisce la sintesi, forse anche l’approdo, di un percorso di ricerca più che ventennale compiuto dall’Autore sul tema della causalità come categoria generale della scienza e sull’uso – improprio – che ne è stato fatto, anche a livello giurisprudenziale, nel diritto penale.
Percorso, lungo il quale sono state raggiunte tappe “intermedie” costituite da approfonditi lavori monografici (Diritto penale e complessità. La problematica dell’organizzazione e il contributo dell’analisi funzionalistica, Giappichelli, Torino, 1999; Sistema penale e criminalità organizzata. Le figure delittuose associative, Giuffrè, Milano, 1999, II ed., 2005, III ed., 2009; Causalità, complessità e funzione penale. Per un’analisi funzionalistica dei problemi della responsabilità penale, Giuffrè, Milano, 2003, II ed., 2009; insieme con Giorgio Pica, Sistemi giuridici Complessità @ Comunicazione, Bonanno, Acireale-Roma, 2009; insieme con Santo Di Nuovo, Responsabilità penale e complessità. Il diritto penale di fronte alle altre scienze sociali. Colpevolezza, imputabilità, pericolosità sociale, Giuffrè, Milano, 2011) e numerosi saggi e articoli (fra i molti si possono citare: Il diritto flessibile. Considerazioni su alcune caratteristiche e tendenze del sistema penale nella società attuale, con riferimento particolare alla criminalità organizzata, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2004, n. 2, pp. 1-76; Delitti associativi e criminalità organizzata.
I contributi della teoria dell’organizzazione, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2012, n. 3, pp. 7-41; Epistemologia della complessità, Stato di diritto e criminalità organizzata, in Decisioni e scelte in contesti complessi, a cura di S. Barile, V. Eletti, M. Matteuzzi, CEDAM, Padova, 2013, pp. 221-259; Complessità e diritto penale. I limiti della causalità nell’analisi del molteplice e i contributi dell’analisi funzionalistica, in Studi in onore di Augusto Sinagra, Aracne, Roma, 2013, vol. V, Miscellanea giuridica, pp. 13-32; Delitti associativi, teoria dell’organizzazione, modello della legalità, in Studi in onore di Alessio Lanzi, Dike, Roma, 2020, pp. 3-18), in cui sono stati via via rappresentati i limiti dell’approccio metodologico convenzionale nell’analisi del nesso eziologico fra condotta ed evento ed è stata manifestata la preferenza per un metodo – quello della complessità – che appartiene soprattutto alle scienze diverse da quella giuridica. E, in questo percorso, alla “complessità” degli argomenti si è aggiunto un linguaggio sempre più “semplificato”, accessibile, riprova del nitore con il quale l’Autore riesce ormai a osservare, comprendere e, soprattutto, spiegare il fondamento della causalità e il rapporto con l’analisi funzionale, la teoria dei sistemi, la teoria dell’organizzazione. Il libro è caratterizzato da un approccio multi-disciplinare, per l’importanza che il prof. Aleo ha sempre attribuito alla contaminazione fra saperi diversi nella ricerca scientifica, troppo spesso racchiusa nel proprio alveo di settore.

È corposa la citazione di autori e brani che potrebbero apparire alieni dalla prospettiva penalistica, ma che, invece, servono a comprendere la dimensione generale (culturale) del tema della causalità, dalla quale non si può prescindere se si vuole giungere a esiti scientificamente significativi. Avere riportato per esteso alcuni brani di opere antiche o di non facile reperimento o, comunque, di lettura non diffusa, spesso, oltretutto, di estrazione diversa da quella giuridica, contribuisce a rendere il volume sia fruibile da parte di un pubblico di non “addetti ai lavori”, sia espressione di un approccio culturale poliedrico.
Il titolo Pensiero causale e pensare complesso, come scrive lo stesso Autore (a p. 9 della prefazione), è determinato dal fatto che «[…] quello causale è, in fondo, un unico pensiero (o un pensiero unico), un’unica idea, che costruisce e implementa (nonché presuppone) una logica semplificatoria, che ha condizionato la nostra cultura, e rimanda, vuole rimandare, in ultima analisi, a un unico fatto e a un singolo comportamento: nella forma più tipica, un evento da spiegare e un comportamento che lo spiega, ma anche, più in generale, un evento che ne spiega un altro. Pensare complesso è un modo di esprimere una forma mentale, che nasce dalla percezione del molteplice e confida nel dissenso, come nella fantasia, ovvero anche nasce dalla fantasia e dal dissenso e crede nel molteplice». La causalità è categoria che aspira alla spiegazione scientifica dei fenomeni, dei rapporti fra gli accadimenti, con livelli di sostanziale certezza, univocità. La nozione di causa, nella cultura giuridica, è fondamentale come canone argomentativo della responsabilità. Tutta la prima parte del volume è dedicata alla puntuale ricostruzione storica dell’origine del pensiero causale, a partire dal brocardo medievale sublata causa, tollitur effectus, la cui matrice risalirebbe a Ippocrate nel V secolo a.C., attraverso Platone, Aristotele, sino al pensiero giuridico romanistico; dalla corrispondenza fra il concetto greco di causa e quello di colpa si passa alla sua origine antropomorfa, alla legislazione longobardo-franca, fino alla cultura moderna: Bacone, con l’accostamento della causalità con le leggi (di natura), e poi Galilei, Cartesio, Spinoza, Malebranche, Leibniz, Hume, Kant. Congruo spazio è dedicato agli studiosi dell’ottocento (Comte, Mill), secolo in cui videro la luce le teorie causali più note ai giuristi: elaborate da Glaser, von Buri, von Kries. La ricostruzione storica è completata con l’analisi dell’approccio seguito nel codice Rocco, con la teoria della causalità umana formulata da Antolisei, con il modello della sussunzione sotto leggi naturali di Engisch, che tanta influenza ha esercitato nell’impostazione della dottrina penalistica italiana.
La parte più innovativa del volume – rispetto alle trattazioni giuridiche che rimangono tuttora ancorate a un approccio “tradizionale” al tema della causalità – è proprio la ricostruzione del superamento della logica causale e dello sviluppo dell’approccio funzionale (Mach, Russell), l’individuazione delle influenze che su questa transizione sono state esercitate dalla meccanica quantistica, dal principio di indeterminazione di Heisenberg, dalla teoria della relatività di Einstein. E poi riferimenti alla psicologia, alla filosofia, alla logica, all’analisi storica degli eventi, che sono riuscite a emanciparsi dalla tradizione causale. Gli ambiti giuridici in cui i limiti della spiegazione causale degli eventi sono più manifesti sono il concorso di persone nel reato (il contributo del singolo alla condotta collettiva e/o organizzata) e i reati omissivi (in particolar modo, da quest’ultimo punto di vista, è attualissimo il tema della responsabilità medica colposa), ove i nessi appaiono più propriamente funzionali che non causali. Chiarissimo è l’esempio, effettuato dall’Autore, del palo nella rapina, la cui responsabilità penale a titolo concorsuale non può essere esclusa, ma il cui contributo non può certo definirsi causale: perché il giudizio di causalità presuppone la necessità della condizione e la rapina potrebbe essere effettuata invero anche senza il palo.

Come evidenzia il prof. Aleo, la rapina potrebbe farsi anche con più pali o senza pali, incidendo sulla entità del rischio attraversato e sulla porzione di bottino da assegnare a ciascun correo. Siamo nell’ambito del rapporto costi-benefici, che riguarda non la spiegazione causale, quanto la teoria dell’organizzazione e, in modo più ampio, la teoria generale dei sistemi, l’epistemologia della complessità (la logica del molteplice, multifattoriale e contestuale). In rappresentazioni come questa appare del tutto evidente l’insufficienza del modello causale nell’analisi – e nella spiegazione – del molteplice. Secondo l’Autore, l’unico rimedio per questa carenza è il ricorso all’analisi funzionalistica, alla valutazione, cioè, della relazione di utilità esistente fra la parte e il tutto, nell’ambito di un contesto spazio-temporale. E, a sostegno del modello epistemologico da lui sostenuto, il prof. Aleo richiama Weaver, von Bertalanffy, Luhmann, Radcliffe-Brown, Coase, Prigogine e Stengers, Lyotard, Ost e van de Kerchove, la Delmas-Marty, che sono solo alcune delle fonti (culturali), certamente le più significative, alle quali egli attinge. Ma qual è la conseguenza “ordinamentale”, dal punto di vista prettamente giuridico, dell’accoglimento di un tale modello epistemologico? L’inadeguatezza degli strumenti di garanzia che il sistema ha finora elaborato seguendo un approccio formalistico. L’idea della corrispondenza tra fatto e modello astratto e generale, il ruolo meramente ricognitivo del giudice, il procedimento di sussunzione (sillogistico) dell’evento nella norma sono strumenti di una legalità formale, che è puramente teorica. Occorrono garanzie diverse – la collegialità delle decisioni, la rivedibilità delle medesime, la responsabilizzazione dei decisori, la discrezionalità dell’azione penale –, tutti rimedi che l’Autore propone per sopperire alle storture che il mantenimento di un modello causalistico produce. Il modo migliore di chiudere questa breve recensione credo sia rifarsi alle parole con cui il nostro prof. Aleo conclude il suo saggio: «Ho fatto un lungo percorso, accompagnando il lettore a una porta, ch’egli, se vuole, può attraversare, da cui mi sono limitato a mostrargli una nuova prospettiva, da cui, secondo me, si capisce perché con certi strumenti tradizionali – segnatamente quelli dei giuristi, universalmente per lunghissimo tempo ritenuti fondamentali – non si ottengano più risultati sul cui valore sia possibile ottenere e raccogliere consenso ragionevole e diffuso».
«La semplicità della logica binaria ha contribuito alla realizzazione, e contribuisce alla spiegazione, delle leggi di natura e della codificazione, in un mondo caratterizzato da rapporti di potere disuguali e autoritari, dalla violenza che ne è dipesa: violenza organizzata, come quella delle guerre, delle persecuzioni e delle repressioni».
«Quel modello di spiegazione, che è stato strumento di legittimazione di posizioni di potere, e l’assetto istituzionale che vi è stato collegato, sono entrati in contraddizione con la cultura nel frattempo prevalente: della relatività e del relativismo, delle reti, della scomposizione della verità e delle immagini, delle forme. Il linguaggio più innocente e involontario dei giovani mi sembra meno distonico rispetto a questo: ripeto, della relatività e del relativismo, delle reti, della scomposizione della verità e delle immagini, delle forme».
«In modo particolare, per ciò che mi (ci) riguarda, da un canto, la struttura binaria inter-individuale della codificazione (il delitto, così come il contratto), ma ancora del modo tradizionale di fare diritto, non è adeguata a comprendere e a governare la dimensione del molteplice, che caratterizza le nostre attività, lecite e illecite, d’altro canto, le forme e i meccanismi della repressione appaiono brutalmente semplificatori, per non dire altro, in confronto alle problematiche che pretendono di affrontare e risolvere; ancora, le forme della sedicente giustizia mostrano tutte le loro vergogne».
«Per creare una nuova cassetta degli attrezzi bisogna, prima, arieggiare l’ambiente, respirare aria nuova e ascoltare linguaggi diversi, quel che è diverso da noi, creando così le premesse per realizzare modalità di collegamento fra settori e assetti culturali tradizionalmente distanti, per definire insomma un nuovo terreno di gioco e di confronto, di discussione, anche accesa, ma civile, democratica e non stantia».
«Ho provato, mettendo in discussione le mie e le nostre conoscenze (dei giuristi), a presentare alcune possibilità, opportunità, metodologiche, maturate e sperimentate in diversi e svariati settori della conoscenza, ritenendole utili ai fini del dialogo, più conformi alle nuove condizioni, definite di complessità organizzativa delle attività umane, di complessità e liquidità culturale e politica, delle forme di rappresentazione e della comunicazione, del governo, dei rapporti fra le persone».
«Chi vuole, chi è scontento, chi è insoddisfatto, chi non ha potere, se ne può servire, per provare a ricominciare».

 
 
 
 
 
 

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